Pubblico impiego: per la validità delle dimissioni non occorre l’accettazione da parte del datore, costui deve solo accertarsi della loro genuinità e spontaneità (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 28 maggio 2021, n. 14993).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLOANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25019-2019 proposto da:

(OMISSIS) ALBA MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) n. 27, presso lo studio dell’avvocato MARCO (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato EZIO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1959/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 20/02/2019 R.G.N. 313/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/01/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. ROBERTO MUCCI, visto l’art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1959 del 20 febbraio 2019, decidendo sull’impugnazione del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in riforma della decisione del Tribunale di Monza, respingeva la domanda proposta da Alba Maria (OMISSIS) intesa ad ottenere la declaratoria dell’inefficacia delle dimissioni dalla medesima presentate in data 9.1.2015 (e revocate in data 9.6.2015) stante la non intervenuta accettazione e il conseguente accertamento del suo diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il Tribunale aveva accolto tale domanda sul rilievo che le dimissioni del dipendente pubblico si perfezionano con l’accettazione dell’amministrazione e sono revocabili finché l’accettazione delle dimissioni non sia stata formalmente comunicata al dipendente.

La Corte territoriale, invece, riteneva che le dimissioni in oggetto non necessitassero di convalida, nemmeno ai sensi dell’art. 4, commi da 16 a 22, della I. n. 92 del 2012.

Richiamava quanto affermato da questa Corte nelle decisioni. n. 5413/13, n. 2795/15, n. 57/2009 e sosteneva che, a seguito della privatizzazione dei rapporti di pubblico impiego non era più compatibile con il nuovo regime la disciplina delle dimissioni dettata dall’art. 124 t.u. n. 3 del 1957, dovendosi applicare i criteri civilistici con la conseguenza che la dichiarazione di dimissioni, in quanto atto unilaterale recettizio ha l’effetto di risolvere il rapporto di lavoro dal momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro.

Riteneva che non fosse automatica l’applicazione delle disposizioni di cui alla I. n. 92 del 2012 in tema di convalida delle dimissioni, essendo a tal fine necessario un intervento legislativo di armonizzazione.

2. Avverso tale sentenza Maria (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

3. Il Miur ha resistito con controricorso.

4. Il Collegio ha proceduto in camera di consiglio ai sensi dell’art. 23, comma 8 – bis d.l. n. 137 del 2020, convertito con I. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale.

5. Il Procuratore generale ha formulato le sue conclusioni motivate, ritualmente comunicate alle parti, insistendo per il rigetto del ricorso.

6. La ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4, commi da 17 a 22, della I. n. 92 del 2012, ratione temporis vigenti, in combinato disposto con l’art. 1, commi 7 e 8, della I. n. 92 del 2012.

Sostiene l’applicabilità al pubblico impiego della I. n. 92 del 2012 e richiama a fondamento dell’assunto Cass. 26 novembre 2015, n. 24157 che tale applicabilità ha affermato “a prescindere dalla iniziative normative di armonizzazione previste dalla legge c.d. Fornero”.

2. Il motivo è infondato.

3. Questa Corte ha da tempo affermato che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 29 del 1993, essendo il cd. rapporto di pubblico impiego privatizzato regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro, nonché dalle norme sul pubblico impiego, solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio, idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui vengano a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo di accettarle, sicché non necessitano più, per divenire efficaci, di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione (cfr. in tal senso Cass. 5 marzo 2009, n. 57; Cass. 5 marzo 2013, n. 5413).

3.1. L’amministrazione, dunque, non può rigettare l’istanza del dipendente di dimissioni, ma si deve limitare ad accertare che non esistano impedimenti legali alla risoluzione del rapporto (v. anche Consiglio di Stato, Ad. Pl., 29 dicembre 2000, n. 17 e Consiglio di Stato, sez. IV, 2 novembre 2009, n. 6790 secondo cui nel pubblico impiego privatizzato non sussiste la necessità dell’accettazione delle dimissioni da parte della p.a., quale elemento di completamento della fattispecie complessa prevista dall’art. 124 del T.U. n. 3 del 1957, il cui comma 3 dispone che “L’impiegato che ha presentato le dimissioni deve proseguire nell’adempimento dei doveri di ufficio finché non gli venga comunicata l’accettazione delle dimissioni”: l’inapplicabilità di tale norma consegue al fatto delle sopravvenute discipline pattizie e della loro portata derogatoria rispetto alla previgente legge del 1957, secondo il meccanismo dell’art. 2, comma 2, d. Igs. n. 29 del 1993).

3.2. Il principio è stato ribadito anche da Cass. 21 novembre 2018, n. 30126 che, proprio per l’affermata necessità di accertare esclusivamente l’intento risolutorio del soggetto che ha posto in essere il negozio, ha affermato che deve essere particolarmente rigorosa l’indagine diretta ad accertare che, da parte del lavoratore, sia stata effettivamente manifestata in modo univoco l’incondizionata e genuina volontà di porre fine al rapporto (nella specie, non risulta che l’atto di dimissioni de quo sia stato impugnato per essere frutto di un presupposto erroneo convincimento).

3.3. È stato, altresì, affermato (v. Cass. 10 febbraio 2009, n. 3267) che, proprio in ragione dell’effetto immediato di tali dimissioni, la successiva revoca è inidonea ad eliminare l’effetto risolutivo già prodottosi, restando peraltro salva la possibilità, per le parti, in applicazione del principio generale di libertà negoziale, di porre nel nulla le dimissioni con la conseguente prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto stesso, e con l’onere, in tal caso, di fornire la dimostrazione del raggiungimento del contrario accordo, a carico del lavoratore (nel caso in esame, una tale evenienza non è stata giammai prospettata).

4. Tanto precisato in termini generali, va verificato se deroghe siano state introdotte dalla normativa successiva.

4.1. Va, al riguardo, osservato che, ai sensi dell’art. 1, comma 7, della legge n. 92 del 2012, le disposizioni normative di cui alla medesima legge costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, e succ. mod., ferme restando le deroghe contemplate per il personale appartenente agli ordinamenti di cui all’art. 3 del medesimo d.lgs..

A sua volta, il successivo comma 8 prevede espressamente che, al fine dell’applicazione del comma 7, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce, anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche.

4.2. Questa Corte, con la sentenza Cass. 9 giugno 2016, n. 11868, che peraltro ha preso in esame, disattendendola, la precedente Cass. 26 novembre 2015, n. 24157 richiamata dalla ricorrente, ha affermato che sebbene la norma, che risulta dal combinato disposto dei commi 7 e 8 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012, sia stata formulata in termini diversi rispetto ad altre disposizioni, con le quali è stata esclusa l’automatica estensione all’impiego pubblico contrattualizzato di norme dettate per l’impiego privato (si pensi, ad esempio, all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 276 dei 2003), tuttavia a fini interpretativi assume peculiare rilievo il rinvio ad un successivo intervento normativo contenuto nel comma 8, non dissimile da quello previsto dall’art. 86, comma 8, del d.lgs. n. 276 del 2003, che ha, appunto, demandato al Ministro della funzione pubblica, previa consultazione delle organizzazioni sindacali, di assumere le iniziative necessarie per armonizzare la disciplina del pubblico impiego con la nuova normativa, pacificamente applicabile al solo impiego privato.

4.3. La circostanza che il comma 7 faccia salve le disposizioni della legge n. 92 del 2012 che dispongano in senso diverso, si giustifica considerando che la stessa legge contiene anche norme che si riferiscono espressamente all’impiego pubblico (si pensi, ad esempio, all’art. 2, comma 2, che esclude dall’ambito della operatività dell’ASPI i dipendenti delle pubbliche amministrazioni), sicché la eccezione opera solo con riferimento alle disposizioni in relazione alle quali la questione della applicabilità all’impiego pubblico sia stata già risolta in modo espresso dal legislatore del 2012.

Così è stato affermato che le modifiche apportate dalla I. n. 92 del 2012 all’art. 18 della 1. n. 300 del 1970 non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato (sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata legge n. 92, resta quella prevista dall’art. 18 St. lav. nel testo antecedente la riforma).

4.4. In ragione dei suddetti principi (ribaditi anche da Cass. 6 ottobre 2017, n. 23424, conforme alla citata Cass. n. 11868/2016) è stato ritenuto che, per l’applicabilità all’impiego pubblico contrattualizzato della disciplina concernente la procedura di convalida delle dimissioni, di cui all’art. 4, commi 16-22 della legge n. 92 del 2012, occorre l’adozione di appositi provvedimenti attuativi per l’armonizzazione del lavoro privato con il lavoro nelle pubbliche amministrazioni (v. sul punto Cass. 9 agosto 2019, n. 21297).

Ciò in quanto anche che la suddetta disciplina della convalida delle dimissioni è modulata sulle dinamiche del lavoro privato, in relazione all’esigenza di garantire che le dimissioni siano frutto di autonoma determinazione del lavoratore soprattutto nei periodi in cui lo stesso non può essere licenziato, piuttosto che su quelle del lavoro pubblico contrattualizzato.

Ed infatti. l’art. 4, commi da 16 a 22, della legge n. 92 del 2012, al fine di garantire la corrispondenza tra la dichiarazione di volontà del lavoratore e l’intento risolutorio (in particolare nel caso in cui le dimissioni intervengano durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale) rafforza il regime della convalida, che diviene condizione sospensiva della risoluzione del rapporto di lavoro stesso.

4.5. Nella decisione da ultimo citata è stato anche evidenziato che non sussiste alcuna disparità di trattamento ovvero violazione degli artt. 3 e 102 Cost., atteso che il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati (Corte costituzionale sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in séguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, e che la medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale (Corte cost., sentenza n. 178 del 2015): in particolare i principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono comunque a conformare la condotta della Pubblica amministrazione e l’esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato (Cass. 6 giugno 2016, n. 11595).

4.6. Il Collegio intende dare continuità agli indicati principi, rilevando la correttezza della decisione impugnata laddove ha ritenuto che le disposizioni della I. n. 92 del 2012, ed in particolare quelle relative alla procedura di convalida delle dimissioni, non si applicano automaticamente al pubblico impiego ma necessitano di uno specifico intervento legislativo di armonizzazione.

5. Da tanto consegue che, il ricorso deve essere rigettato.

6. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.

7. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla I. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Miur, delle spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2021.

SENTENZA – copia conforme -.