Confermato il licenziamento del dipendente bancario che curiosa nei conti dei vip (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 16 novembre 2021, n. 34717).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20839-2019 proposto da:

(OMISSIS) GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE (OMISSIS) 52, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO (OMISSIS), LUCIA (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) n. 3, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati STEFANO (OMISSIS), SALVATORE (OMISSIS), FABRIZIO (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1114/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 29/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/05/2021 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa RITA SANLORENZO, visto l’art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- (OMISSIS) Giovanni, dipendente addetto al servizio clienti della filiale di Foggia della Unicredit, venne licenziato a seguito della contestazione concernente, da un lato, i fraudolenti tentativi di truffa per svariati milioni di euro (operati con la sua matricola contabile ai danni di Enel s.p.a.) e, dall’altro, l’accesso abusivo o comunque non consentito, al sistema informatico della Banca per controllare decine di schede-cliente di personaggi dello spettacolo carpendone quindi i dati sensibili.

Attraverso una verifica interna, intrapresa a seguito della ricezione di una e-mail della Outgoing Foreign Payments Office di UBIS (società del gruppo di UniCredit), che chiedeva conferma al (OMISSIS) ed alla Banca stessa circa la regolarità della richiesta di sei bonifici ‘estero’, la UniCredit, avuto contezza del comportamento scorretto del lavoratore e dell’assenza di alcuna disposizione che avesse potuto autorizzarne l’operato, provvedeva ad inoltrare rituale lettera di contestazione disciplinare.

Il (OMISSIS) veniva escusso e confessava di essersi reso responsabile esclusivamente della seconda condotta contestata, ossia dell’improprio utilizzo del sistema informatico in sua dotazione, in aperta violazione delle norme a tutela della privacy dei clienti correntisti; in relazione, invece, alla tentata truffa, dichiarava che, seppure la stessa fosse ricollegabile alla sua matricola, non era stata effettuata dalla sua persona, ipotizzando che altri (forse presunti hacker) avessero potuto accedere con i suoi dati personali (matricola e password) ed effettuare tali operazioni.

Ritenendo illegittimo il licenziamento, il lavoratore ne impugnava e contestava il fondamento, ottenendo ordinanza di accoglimento da parte del Tribunale di Foggia, che disponeva, all’esito del giudizio sommario, la reintegrazione e il pagamento dell’indennità, dal momento del recesso alla reintegra, ex art. 18, co. 4, della L. n. 300/70.

La Banca proponeva opposizione cui seguiva sentenza con cui veniva dichiarato, in riforma della precedente ordinanza, risolto il rapporto lavorativo e disposta la condanna della Banca al pagamento dell’indennità ex art. 18, co. 5 SL, pari a 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Con ricorso ex art. 1, commi 47 e ss., L. n.92/12, il Sig. (OMISSIS) conveniva in giudizio la UNICREDIT s.p.a. dinanzi al Tribunale di Foggia per sentire accogliere le seguenti conclusioni:

“a) accertare e dichiarare la illegittimità della sospensione cautelare dal servizio disposta contestualmente alla contestazione disciplinare del 4.2.2014, nonché la nullità e/o inefficacia e/o illegittimità, in particolare, per mancanza di giusta causa e/o giustificato motivo, oltre che per violazione delle corrispondenti norme del C.C.N.L. Credito del 19.1.2012 e s.m.i. e del ‘Codice Disciplinare Aziendale’, nonchè dell’art. 7 SL, del licenziamento intimato, con effetto dal 7.2.2014, dalla Banca resistente nei confronti del Sig. Melluso Giovanni con lettera (raccomandata a mano) del 31.3.2014;

b) per l’effetto, annullare il licenziamento intimato al ricorrente con effetto a decorrere dal 7.2.2014 e condannare, ex art. 18 L. n.300/70, nel testo modificato dalla L.n.92/12, la Banca resistente alla reintegrazione del Sig. (OMISSIS) Giovanni nel posto di lavoro ricoperto -fino al momento della illegittima sospensione cautelare dal servizio- con inquadramento nella 3″ Area Professionale, 3° livello retributivo, C.C.N.L. Credito, e al pagamento in suo favore di una indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento (7.2.14) sino alla effettiva reintegrazione, oltre accessori.

Il Tribunale accoglieva con ordinanza la domanda.

Avverso questa proponeva opposizione UNICREDIT s.p.a. Il Tribunale, con sentenza 25.1.18, dichiarava risolto il rapporto di lavoro dal 7.2.14 e condannava la Banca al pagamento di una indennità risarcitoria, ex art. 18 co. 5, pari a 20 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Avverso tale pronuncia proponeva reclamo il (OMISSIS);

resisteva la Banca, che proponeva altresì reclamo incidentale chiedendo l’integrale rigetto delle domande.

Con sentenza depositata il 29.4.19, la Corte d’appello di Bari, accoglieva il reclamo incidentale, e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza: rigettava integralmente le domande proposte dal (OMISSIS), condannandolo alla restituzione ad UNICREDIT delle somme eventualmente percepite a titolo indennitario in adempimento delle riformate pronunce di condanna in suo favore, con gli accessori dalla data di notifica del reclamo incidentale; condannava il (OMISSIS) alla rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il (OMISSIS), affidato a quattro motivi;

resiste con controricorso UNICREDIT s.p.a.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 1324, 1362, 1363, 1364,1366 e 1370 c.c., nonché 2 L. n. 604/66 e 7 e 18 L. n. 300/70.

Lamenta che la sentenza impugnata non avrebbe correttamente interpretato i fatti oggetto di censura, violando inoltre i principi di specificità ed immodificabilità della contestazione (circa l’uso o la mancata custodia delle credenziali).

Il motivo è infondato.

Se è indubbio che l’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, l’apprezzamento di tale requisito è comunque riservato al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in Cassazione solo mediante precisa censura e non limitandosi ad una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata (cfr.Cass. n. 13667/2018, SU n. 9774/20).

Questa Corte ha anche affermato che il fatto contestato ben può essere ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare (dato che, in tal caso, non si verifica una modifica della contestazione, ma solo un diverso apprezzamento dello stesso fatto), restando invece precluse contestazioni di circostanze nuove, tali da implicare una diversa valutazione dei fatti.

Nella specie la Corte di merito ha motivatamente escluso che ricorresse alcuna modifica della causa di licenziamento (cfr. Cass. sez.un.n.9774/20).

Tali principi trovano applicazione nel caso di specie, ove il ricorrente non prospetta in concreto la violazione dei canoni dell’ermeneutica negoziale, ma si limita ad offrire una lettura alternativa della lettera di licenziamento rispetto a quella effettuata dalla corte d’Appello, senza censurare in modo adeguato, in particolare, le affermazioni contenute nella sentenza di secondo grado.

2.- Con secondo motivo si lamenta inoltre la violazione dell’art. 111 Cost., e degli artt. 112, 115, 116, 416, 421, 436, 437 e 132 co. 4 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza.

3.- Col terzo motivo si censura l’omesso esame di fatti decisivi per avere la Corte barese omesso di considerare tutte le circostanze esimenti invocate in giudizio che avrebbero esonerato il lavoratore da ogni responsabilità per quanto accaduto il 30.12.13.

I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili essendo diretti ad una evidente e non più possibile rivalutazione dei fatti esaminati dalla Corte di merito.

In particolare la seconda censura è inammissibile in quanto difetta dell’allegazione della prova della tempestività e della ritualità dell’istanza di ammissione della prova testimoniale nei giudizi di merito, oltre che dei capitoli di prova e dell’indicazione dei testi e delle ragioni su cui gli stessi sarebbero chiamati a testimoniare.

Difatti, durante la prima fase sommaria, il tribunale non aveva ammesso i capitoli di prova richiesti e, successivamente, la parte ricorrente non aveva reiterato le richieste di prova sulle asserite prassi di gestione delle credenziali.

Tale motivo di ricorso è, poi, da ritenersi infondato proprio in quanto diretto, come affermato dal (OMISSIS), a dimostrare la prassi all’interno dell’istituto di rendere note le password ai colleghi: condotta irrilevante in relazione all’obbligo di segretezza che ciascun lavoratore deve garantire nella custodia delle proprie credenziali.

Il terzo motivo è parimenti inammissibile, in quanto ritenere che il (OMISSIS) non sia l’esecutore materiale dei vari tentativi di truffa ai danni dell’Enel, ma che sia solo responsabile dell’omessa custodia delle password, non comporterebbe una diversa soluzione della controversia per i motivi già esposti.

4. Il quarto motivo – con cui si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2050, 2106, 2119 e 2697 c.c. in tema di asserita mancata protezione da parte della Banca dei dati contenuti nella Scheda Cliente, cui il ricorrente aveva attinto senza ritenere di violare dati sensibili altrui- appare privo di fondamento.

Ed invero il potere di disporre di strumenti informatici volti al compimento delle operazioni finanziarie presso un istituto bancario non è di certo sinonimo di accesso indiscriminato a banche dati.

Né si può ritenere, nel caso di specie, che sussista un onere di impedire l’accesso a tali dati da parte della banca, che, stante il rapporto fiduciario tra datore e prestatore di lavoro, conceda l’utilizzo di tali strumenti informatici ai propri dipendenti affinché operino in maniera lecita durante la prestazione lavorativa.

Il ricorrente, ancora una volta, tenta di invocare una sorta di esimente per elidere l’illiceità del suo comportamento, imputando paradossalmente alla banca la mancata predisposizione di adeguate protezioni dei dati dei clienti.

Per quanto sopra esposto, nessuno dei motivi di ricorso è meritevole di accoglimento.

5.- Il ricorso va dunque rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 200,00 per esborsi, €. 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del consiglio, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria, addì 16 novembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.