Cani custoditi in modo raffazzonato: logico parlare di maltrattamenti. Irrilevante la mancata volontà di arrecare loro sofferenze (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 13 gennaio 2022, n. 780).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACETO Aldo – Presidente

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Rel. Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Antonio, nato a Mazara del Vallo il 20/02/19xx;

avverso la sentenza del 20/10/2015 del Tribunale di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Emanuela Gai;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigi Cuomo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Bologna ha condannato (OMISSIS) Antonio, alla pena di €. 2.000,00 di ammenda, in relazione al reato di cui all’art. 727 cod.pen., per avere detenuto n. 10 cani in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze. In Vergate il 3 aprile 2015.

2. L’imputato ha presentato appello, a mezzo del difensore, con cui ha chiesto l’assoluzione per mancanza dell’elemento soggettivo del reato e per violazione di legge e vizio di motivazione sulla dosimetria della pena e sul diniego di concessione della sospensione condizionale della pena.

Eccepisce la prescrizione del reato.

Il difensore, in data 22 ottobre 2021, ha depositato memoria scritta con cui ha insistito nella declaratoria di prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso, che proviene dalla Settima sezione non essendo stata rilevata una causa di inammissibilità, è fondato con riguardo al secondo motivo di ricorso e il suo accoglimento comporta il rilievo della causa estintiva della prescrizione maturata al 3 aprile 2018.

Trattandosi di condanna alla sola pena dell’ammenda e, quindi, di sentenza inappellabile (art. 593 comma 3 c.p.p.), l’appello è stato qualificato come ricorso per cassazione e gli atti trasmessi a questa Corte ex art. 568 comma 5 cod.proc.pen.

Ciò posto, occorre preliminarmente osservare che la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il Collegio condivide, ha chiaramente precisato che qualora un provvedimento giurisdizionale sia impugnato con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente stabilito, il giudice che riceve l’atto di gravame deve limitarsi, secondo quanto stabilito dall’art. 568 cod.proc.pen., comma 5, alla verifica dell’oggettiva impugnabilità del provvedimento e dell’esistenza della volontà di impugnare, intesa come proposito di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, conseguentemente, trasmettere gli atti al giudice competente, astenendosi dall’esame dei motivi al fine di verificare, in concreto, la possibilità della conversione (Sez. 5, n. 7403 del 26/09/2013, P.M. in proc. Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 del 8/4/2013, Arena, Rv. 257117; Sez. 5, n. 21581 del 28/4/2009, P.M. in proc. Mare, Rv. 243888; Sez. 3, n. 2469 del 30/11/2007, Catrini, Rv. 239247; Sez. 4, n. 5291 del 22/12/2003, Stanzani, Rv. 227092 ed altre prec. conf., tra cui Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221).

Si è peraltro affermato che l’istituto della conversione della impugnazione, previsto dall’art. 568 c.p.p., comma 5, ispirato al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l’automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato.

Pertanto, l’atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez. 1^, n. 2846 del 8/4/1999, Annibaldi R, Rv. 213835. V. anche ex pi. Sez. 3^, n. 26905 del 22/04/2004, Pellegrino, Rv. 228729; Sez. 4^, n. 5291 del 22/12/2003 (dep.2004), Stanzani, Rv. 227092).

4. Nel caso in esame, dal nomen iuris attribuito all’atto di impugnazione, invero reiterato anche nelle richieste finali alla Corte di Appello, e dal contenuto del gravame, emerge che intenzione indiscutibile dell’interessato è stata appunto quella di proporre appello e non ricorso per cassazione, in quanto il tenore dei prospettati motivi di gravame concerne esclusivamente profili di merito (elemento soggettivo del reato ed eccessività della pena inflitta), insindacabili in sede di legittimità, sulla base dei quali viene fondata la richiesta di assoluzione in virtù di una rilettura del compendio probatorio posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale, ovvero una richiesta di riduzione della pena.

In ogni caso, la sentenza impugnata risulta congruamente argomentata anche in punto elemento soggettivo del reato, dedotto dal ricorrente, in ragione della brevità della detenzione degli animali in condizioni etologicamente incompatibili con la loro natura.

Il reato di cui all’art. 727 cod. pen. è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura (Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, Garnero, Rv. 262529).

Si è ripetutamente chiarito che la detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, va considerata, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 37859 del 4/6/2014, Rainoldi e altro, Rv. 260184; Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014, Garnero, Rv. 262529), specificando che assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione (Sez. 7, n. 46560 del 10/7/2015, Francescangeli e altro, Rv. 265267), prendendo in considerazioni situazioni quali, ad esempio, la privazione di cibo, acqua e luce (Sez. 6, n. 17677 del 22/3/2016, Borghesi, Rv. 267313) o il trasporto di bovini stipati in un furgone di piccole dimensioni e privo d’aria (Sez. 5, n. 15471 del 19/1/2018, PG. in proc. Galati e altro, Rv. 272851).

Il Tribunale di Bologna, nel richiamare le fonti di prova e la deposizione dei verbalizzanti, ha specificato che gli animali erano custoditi in modalità del tutto precarie e idonee ad infliggere gratuite sofferenze: un cane non riusciva ad alzarsi in piedi, alcuni erano rinchiusi all’interno di uno scatolone in legno, altri erano rinchiusi in gabbiette e alcuni liberi; non era stata rilevata la presenza di cibo e le ciotole dell’acqua erano vuote; taluni animali presentavano ferite; sul posto si percepivano emissioni maleodoranti (per la presenza di urine ed escrementi).

La detenzione degli animali nelle descritte condizioni deve, dunque, ritenersi certamente incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze, indipendentemente dalla rilevata mancanza della coscienza e volontà di maltrattare gli animali, avuto riguardo alla natura colposa del reato in esame.

4. Viceversa, è fondato il profilo del vizio di motivazione in relazione al diniego di concessione del beneficio di cui all’art. 163 cod.pen. escluso dal giudice del merito che ritiene che “probabilmente” l’imputato non si asterrà dalla commissione di altri reati.

Si tratta di motivazione non congrua sul giudizio negativo di astensione dalla commissione di altri reati.

Il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza stessa (Sez. 3, n. 23259 del 29/04/2015, Richichi, Rv. 263649 – 01; Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016, Silva, Rv. 267844; Sez. 2, n. 32577 del 27/04/2010, Preti, Rv. 247973).

P. Q. M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso in Roma il 28/10/2021.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.