Al detenuto, condannato per violenza sessuale aggravata, nessun beneficio (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 11 agosto 2020, n. 23822).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere –

Dott. SIANI Vincenzo – Rel. Consigliere –

Dott. CASA Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

 

RUGGIERI FABRIZIO nato a TARANTO il 04/04/1976;

avverso l’ordinanza del 12/09/2019 del TRIB. SORVEGLIANZA di GENOVA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Vincenzo SIANI;

lette le conclusioni del PG, nella persona del Pubblico Ministero, Procuratore Generale Dott. Kate TASSONE, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, emesso il 12 settembre 2019, il Tribunale di sorveglianza di Genova ha dichiarato inammissibile l’istanza proposta da Fabrizio Ruggieri, detenuto in espiazione della pena di anni due, mesi otto di reclusione per il reato di cui all’art. 609-quater cod. pen., con fine pena al 18 dicembre 2021, di ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale.

Il Tribunale ha osservato in via dirimente che non risultava decorso un anno di osservazione, come richiesto dalla legge, in relazione al titolo di reato in esecuzione, senza che fosse stata allegata documentazione relativa a un percorso esterno di tipo terapeutico.

2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso il difensore di Ruggieri chiedendone l’annullamento sulla scorta di due motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 177 cod. proc. pen. e dell’art. 4-bis, comma 1-quater, Ord. pen.

La difesa sostiene che, in relazione al principio di tassatività delle nullità, al pari delle cause di inammissibilità, sancito dall’art. 177 cod. proc. pen., il disposto dell’art. 4-bis, comma 1-quater, cit. – laddove stabilisce che i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti per vari delitti, fra quello ex art. 609-quater cod. pen., solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’art. 80 Ord. pen. – non prevede in alcun modo la sanzione dell’inammissibilità della richiesta per il caso di omessa osservazione del condannato per il periodo di un anno.

2.2. Con il secondo motivo, si prospettano la violazione degli artt. 4-bis, comma 1-quater, 47 e 47-ter Ord. pen. e la corrispondente omessa motivazione.

Il ricorrente, esposti i principi fissati a presidio dell’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale, censura l’ordinanza impugnata per non aver valutato una serie di fattori rilevanti: il tempo trascorso dalla commissione del reato (agosto – ottobre 2010) senza che vi fossero state altre informazioni di polizia, denunzie o pendenze a carico del condannato; il fatto che Ruggieri fa parte delle Forze Armate quale Caporal Maggiore Capo, con ottimo curriculum; l’avvenuto risarcimento del danno in favore della persona offesa; l’assoluta mancanza di contatti con la criminalità organizzata; l’assenza di dichiarazione di abitualità o professionalità del reato o di condanna con la recidiva; il regolare mantenimento delle figlie da parte sua; la sua disponibilità di un’abitazione; l’essere stato intrapreso – il prescritto periodo di osservazione – 2 tt[ nelle forme di cui all’art. 80 Ord. pen.

In definitiva, secondo la difesa, sarebbero stati trascurati tutti gli indicatori d segno positivo al fine dell’ammissione del condannato all’affidamento in prova, con la conseguente illegittimità della declaratoria di inammissibilità.

3. Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, in quanto l’art. 4-bis, comma 1-quater, Ord. pen. vieta l’applicazione del beneficio in parola ai soggetti condannati per i reati di cui all’art. 4-bis Ord. pen., fissando per converso il necessario presupposto del passaggio del condannato attraverso l’osservazione scientifica della personalità svolta per un anno e condotta collegialmente in sede inframuraria: modalità — da coniugarsi con l’eventuale attività di cui al successivo comma 1-quinquies ma, per il resto, non surrogabile da equipollenti — che non era stata ancora espletata da Ruggieri, tenuto, invece, a rispettare il relativo precetto, trattandosi in ogni caso di norma diversa da quella relativa all’accertamento del reato e all’irrogazione della pena, dunque da applicarsi secondo il principio tempus regit actum.

4. Con memoria del 5 giugno 2020, il difensore di Ruggieri ha ulteriormente illustrato le doglianze poste a base dell’impugnazione osservando che: con riferimento al primo motivo, il legislatore non aveva previsto, all’art. 4-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, in relazione all’art. 13-bis, Ord. pen., la sanzione dell’inammissibilità per il caso in cui il condannato in relazione ai delitti ivi contemplati, fra cui quello di cui all’art. 609-quater, cod. pen., non avesse partecipato per almeno un anno al programma di riabilitazione, giacché quest’ultima norma si limitava a stabilire che i giudici di sorveglianza dovevano valutare la positiva partecipazione del condannato al suddetto programma di riabilitazione; e tale valutazione, con riferimento al periodo dal 19 aprile al 13 agosto 2019, non è stata compiuta dal Tribunale, che si è limitato a dichiarare l’inammissibilità dell’istanza, in contrasto con il disposto dell’art. 177 cod. proc. pen.;

in ordine al secondo motivo, il Tribunale ha obliterato la necessità di valutare, oltre alla gravità del reato commesso, tutti gli elementi già indicati rilevanti allo scopo di verificare i sintomi della positiva evoluzione della personalità del condannato.

L’illegittimità della pronuncia di inammissibilità è, secondo il ricorrente, ancora più evidente dopo l’emissione da parte della Corte costituzionale delle recenti sentenze nn. 99 e 253 del 2019, le quali avevano rimarcato il dovere dei giudici di sorveglianza di accertare per la concessione dei benefici di cui agli artt. 47 e ss. Ord. pen., non soltanto la positiva partecipazione del detenuto al programma di riabilitazione di cui all’art. 13-bis cit., ma anche tutti gli altri elementi che corroborano l’intrapreso percorso di resipiscenza: valutazioni del tutto omesse nel caso in esame.

In relazione a questi rilievi, la difesa di Ruggieri ha, infine, prospettato la questione di illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., dell’art. 4-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, Ord. pen. nella parte in cui tali norme, per come interpretate, in contrasto con il principio di ragionevolezza e con la funzione rieducativa della pena, stabiliscono una preclusione automatica e assoluta alle misure alternative alla detenzione nei confronti dei condannati per alcuni reati, in caso di omessa partecipazione per almeno un anno al suindicato programma di riabilitazione, nonostante il concorso di una serie di indicatori asseverativi della già avvenuta resipiscenza del reo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’impugnazione si profila infondata e, pertanto, va rigettata.

2. Si ribadisce che il Tribunale di sorveglianza ha dichiarato inammissibile l’istanza di concessione di una misura alternativa alla detenzione e, in particolare, dell’affidamento in prova al servizio sociale, formulata da Fabrizio Ruggieri, condannato – con sentenza della Corte di appello di Genova in data 6 giugno 2018, irrevocabile il 20 marzo 2019 – per il reato di cui all’art. 609- quater, primo comma, cod. pen. alla pena di anni due, mesi otto di reclusione, rilevando che non risultava decorso il tempo di un anno di osservazione previsto dalla legge per il titolo di reato che aveva determinato la pena in espiazione e non era stata allegata dall’istante documentazione relativa all’eventuale percorso esterno di tipo terapeutico.

3. La decisione suindicata rinviene la sua base normativa nel disposto dell’art. 4-bis Ord. pen., norma che, con riferimento ai condannati per taluni, più gravi delitti, stabilisce il divieto di concessione dei benefici, ivi comprese le misure alternative alla detenzione e, fra queste, quella dell’affidamento in prova al servizio sociale, stabilendo determinate modalità per l’accertamento della pericolosità sociale.

Il comma 1-ter della suddetta norma, introdotto dall’art. 3, comma 1, lett. a), d.l. n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, nella legge n. 39 del 2009, dispone che i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi, purché non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, fra gli altri, ai detenuti o internati per il delitto di cui all’art. 609-quater cod. pen.

Il comma 1-quater della medesima norma, parimenti introdotto dal d.l. n. 11 del 2009, stabilisce, inoltre, che i benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per determinati delitti, fra i quali quello di cui all’art. 609-quater cod. pen. solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell’art. 80 Ord. pen. (ossia i professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, oltre che i mediatori sociali e gli interpreti).

Il successivo comma 1-quinquies, inserito dall’art. 7, comma 2, della legge n. 172 del 2012 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, legge contenente anche norme di adeguamento dell’ordinamento interno), dispone che, salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei suddetti benefici ai detenuti e internati per determinati delitti, fra cui quello sanzionato dall’art. 609-quater cod. pen., se commessi in danno di persona minorenne, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di cui all’art. 13-bis Ord. pen: norma, quest’ultima, relativa al trattamento psicologico per i condannati per reati sessuali in danno di minori, anch’essa introdotta dalla legge n. 172 del 2012, secondo la quale le persone condannate per determinati delitti, fra i quali quello di cui all’art. 609- quater cod. pen., se commessi in danno di persona minorenne, possono sottoporsi a un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno: la partecipazione a tale trattamento è valutata ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1- quinquies, Ord. pen. ai fini della concessione dei benefici previsti dalla medesima disposizione.

4. Il quadro normativo così riportato risulta chiaro: l’osservazione scientifica collegiale per la durata di un anno almeno, costituente, ex art. 4-bis, comma 1- quater, Ord. pen., il presupposto per l’applicazione di misure alternative alla detenzione in favore dei soggetti condannati per i delitti ivi specificati (fra i quali è incluso quello di cui all’art. 609-quater cod. pen.) è necessario e non surrogabile.

4.1. Con l’introduzione delle indicate norme, si è creato – nell’alveo contrassegnato dai (per quanto di ragione, concorrenti) vincoli e limiti di cui al restante disposto dell’art. 4-bis cit. (v. Sez. 1, n. 27853 del 22/05/2013, Serranò, Rv. 256343) – un percorso differenziato per gli autori di una serie reati contro la libertà sessuale perseguendo, così, in modo più adeguato l’obiettivo del recupero e della risocializzazione degli stessi attraverso la scansione del percorso rieducativo in guisa tale che la corrispondente attività, protratta per quel lasso temporale minimo ed inderogabile, abbia la concreta possibilità di condurre il gruppo di osservazione – integrato dalla presenza di figure professionali particolarmente competenti – all’affidante valutazione della personalità del detenuto (o dell’internato).

Al fine di assicurare una più completa effettività al percorso disegnato dall’art. 4-bis, comma 1-quater, la sopra indicata legge n. 172 del 2012, oltre ad ampliarne l’ambito di applicazione, ne ha articolato le modalità attuative qualora la vittima del reato sessuale sia una persona minorenne, per tale sfera costituendo compito ulteriore dei giudici di sorveglianza valutare la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di trattamento psicologico, con finalità di recupero e sostegno, a cui i condannati per i relativi reati possono sottoporsi (ovviamente, sul presupposto che l’amministrazione penitenziaria, nell’ambito dell’offerta di osservazione e trattamento ordinariamente allestita ex art. 13, appresti gli strumenti specifici per il trattamento psicologico finalizzato al recupero e sostegno dei responsabili dei richiamati delitti contro la libertà sessuale).

4.2. Si è, in questa prospettiva, precisato che, in tema di misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali del condannato per reati di violenza sessuale aggravata ai sensi dell’art. 609-quater cod. pen., il presupposto della sottoposizione del detenuto ad osservazione scientifica della personalità, condotta collegialmente, per almeno un anno, richiesto dall’art. 4-bis, comma 1- quater, Ord. pen., non è integrato dalla mera permanenza dello stesso presso un luogo di privata abitazione a seguito dell’applicazione della misura coercitiva degli arresti domiciliari durante la pendenza del processo di cognizione, ove detta permanenza non sia accompagnata da alcun tipo di osservazione scientifica della personalità.

Quando si verte in materia di misure alternative alla detenzione in favore dei condannati per reati di violenza sessuale, il giudizio favorevole alla concessione dei benefici deve essere, infatti, espresso esclusivamente sulla base dell’osservazione scientifica della personalità, svolta per un anno e condotta collegialmente: attività che non ammette equipollenti, in quanto solo tale valutazione consente il superamento della presunzione di pericolosità prevista per la corrispondente categoria di delitti (fra le altre, v. Sez. 1, n. 39985 del 09/04/2019, Marni, Rv. 277487; Sez. 1, n. 12138 del 07/11/2018, dep. 2019, P., Rv. 274974; Sez. 1, n. 34754 del 19/05/2016, Sutteri, Rv. 267510; Sez. 1, n. 42309 del 11/11/2010, Yamnaine, Rv. 249025).

4.3. Attesa la ratio delle norme richiamate, la fissazione del tempo minimo di osservazione di un anno risulta, all’evidenza, riconnessa all’esigenza di effettuare una verifica completa della personalità del reo, essendo nozione comunemente acquisita quella che per i soggetti condannati per delitti contro la libertà sessuale il tempo di osservazione si rivela ordinariamente maggiore rispetto a quello normalmente previsto per gli altri condannati, con l’opportuna specificazione che le articolazioni consentite dell’intervento trattamentale a beneficio dei medesimi possono, a loro volta, dispiegarsi di pari passo, man mano che ne emerga la concreta praticabilità. Tale rilievo rende infondata in modo manifesto la prospettazione del contrasto fra la disciplina in esame e il principio di ragionevolezza promanante dall’art. 3 Cost.

4.4. Medesimo approdo deve raggiungersi con riferimento al sospetto di incostituzionalità delle norme indicate in relazione alla funzione rieducativa della pena.

Va, sul tema, ribadito quanto è stato già, in modo condivisibile, affermato nel senso che l’illustrata disciplina non può considerarsi contrastante con l’art. 27 Cost., in relazione alla peculiare ratio che sorregge la fissazione del periodo di osservazione minimo nei confronti dei soggetti condannati per reati di violenza sessuale e alla finalità rieducativa dei medesimi soggetti a cui si coordina il relativo vincolo: in tal senso si è coerentemente collocata la ricordata legge n 172 del 2012, di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote, che ha ampliato e corroborato il particolare profilo normativo dell’osservazione e del trattamento degli autori di questi specifici reati, confermando la linea della subordinazione dell’accesso da parte loro a taluni benefici penitenziari ai risultati positivi dell’osservazione scientifica della personalità (Sez. 1, n. 13210 del 14/05/2015, dep. 2016, Agostini, Rv. 266560; Sez. 1, n. 38727 del 19/02/2013, Sammarchi, Rv. 257110).

Deve quindi rimarcarsi come la succitata legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote abbia ridefinito l’assetto della tutela dei minori, introducendo le suindicate modifiche al quadro normativo, per renderlo conforme alla normativa sovranazionale, più omogeneo e in linea con i corrispondenti valori, finalizzati alla primaria protezione delle persone che, in ragione della loro età, vanno particolarmente tutelate nel settore dei delitti contro la libertà sessuale (è stato proprio il novum costituito dalla legge n. 172 del 2012 a determinare la pronuncia resa da Corte cost., ord., n. 29 del 2013, di restituzione degli atti al giudice rimettente che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. e dell’art. 4-bis, comma 1- quater, Ord. pen., per contrarietà agli artt. 3 e 27 Cost.).

4.5. Non possono trarsi concreti dati di assimilazione, nel senso prefigurato dal ricorrente, della situazione qui vagliata a quelle che hanno condotto il Giudice delle leggi alle pronunzie n. 99 del 2019 (con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-ter, Ord. pen., nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter) e n. 213 del 2019 (in virtù della quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen., nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale, per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, nonché per gli altri delitti ivi contemplati, possano essere concessi i permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter Ord. pen., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti).

4.5.1. Per un verso, dato l’oggetto della prima delle due pronunzie, ogni prospettazione tesa all’estensione della sua ratio porre rimedio al rilevato vulnus ai principi costituzionali relativamente ai detenuti risultati gravati da importanti patologie psichiche, così da ripristinare un adeguato bilanciamento tra le esigenze della sicurezza della collettività e la necessità di garantire il diritto alla salute anche di quei detenuti ammalati, elidendo anche per loro l’ineluttabilità ordinamentale dell’espiazione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità) alla fattispecie in esame non appare fondata.

Il vincolo posto dall’art. 4-bis, comma 1-quater, Ord. pen. afferisce, invero, alla diversa – e necessaria – fase (per definizione, temporanea) del vaglio della personalità del detenuto, condannato per un reato appartenente a una tipologia per cui l’elaborazione scientifica ha determinato l’emersione di un monitoraggio particolarmente approfondito e adeguatamente specializzato.

4.5.2. Per altro verso, quanto alle suggestioni che il ricorrente intende trarre dalla seconda pronuncia, l’approdo costituito dalla rimozione dell’assoluta non concedibilità dei permessi premio al soggetto condannato per uno dei reati di cui all’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. in assenza della collaborazione (in un contesto argomentativo che ha posto comunque a carico del condannato l’onere di specifica allegazione del dissolvimento dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e del pericolo di un loro ripristino) – approdo la cui rilevanza, anche in chiave prospettica, è chiara e in nessun modo sottovalutabile – nemmeno appare però tale da ripercuotersi sul diverso terreno del monitoraggio e del conseguente trattamento relativi agli autori della particolare categoria di delitti presa in esame dal comma 1-quater cit. (la cui dinamica, come si è accennato, se del caso, si aggiunge – e non si sostituisce – a quella di cui ai commi 1 e ss., ove il singolo delitto sia ricompreso in entrambi i cataloghi).

Si è già precisato, infatti, che la base del vaglio e, quindi, del trattamento di natura differenziata prevista per gli autori di determinati delitti contro la libertà sessuale, introdotti nelle linee essenziali dall’intervento normativo del 2009, ma poi confermati e perfezionati dalla legge del 2012, si radica sull’acquisizione sedimentata che i condannati per quei delitti necessitano, per l’impostazione e il conseguimento di un’emenda effettiva, di un tempo di osservazione ordinariamente maggiore rispetto a quello normalmente previsto per gli altri condannati, anche perché connotato dal coinvolgimento nell’osservazione di diversi professionisti esperti nelle discipline congruenti (ex art. 80, comma 4, Ord. pen.): tempo rispetto al quale – anche in ragione della corrispondente articolazione dell’offerta trattamentale – l’individuazione del minimum di un anno integra il risultato della discrezionale scelta legislativa, esercitata in modo non irragionevole.

4.6. In coerenza con queste riflessioni, deve ritenersi che la disciplina applicata, inerente alla previsione del percorso differenziato di cui all’art. 4-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, anche in relazione all’art. 13-bis, Ord. pen. sia esente da sospetti di incostituzionalità sotto un ulteriore profilo: si fa riferimento alla prospettiva coltivata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 32 del 2020, lì dove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 3 del 2019, in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all’art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, in relazione alla disciplina delle misure alternative alla detenzione previste dal Titolo I, Capo VI, Ord. pen. (oltre che alla disciplina della liberazione condizionale prevista dagli artt. 176 e 177 cod. pen. e al divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione previsto dall’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen.).

4.6.1. Il rilevante monito sotteso alla pronuncia ora citata è basato su una concezione che mette in discussione – se inteso in modo indiscriminato – il principio, affermato più volte in sede di legittimità (e richiamato dal Procuratore generale nella requisitoria), secondo cui le disposizioni relative alle modalità esecutive della pena detentiva e le misure alternative alla detenzione, non riguardano l’accertamento del reato e l’irrogazione della pena, non hanno carattere di norma penale sostanziale e – impregiudicata l’evenienza di specifica disciplina transitoria (per un caso relativo alla quale cfr. Sez. 1, n. 3477 del 21/01/2020, Saraceni, Rv. 278175) – soggiacciono al principio tempus regit actum, non alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 cod. pen. e dall’art. 25 Cost. (principio su cui v. Sez. U, n. 24561 del 30/05/2006, A., Rv. 233976; Sez. 1, n. 39984 del 09/04/2019 , Di Bartolomeo, Rv. 277486; Sez. 5, n. 30558 del 01/07/2014, Ficara, Rv. 262489; Sez. 1, n. 6910 del 14/10/2011, dep. 2012, Pasquale, Rv. 252071; Sez. 1, n. 32000 del 06/07/2006, Hacisuleymanoglu, Rv. 234381).

Con tale pronuncia (la quale si è espressamente ricollegata al filo ermeneutico che ha progressivamente esitato diverse pronunzie di parziale incostituzionalità dell’art. 4-bis Ord. pen., per le ipotesi di “regressione incolpevole del trattamento” inerente al singolo beneficio penitenziario inciso dalla sopravvenienza normativa con riferimento a soggetto condannato per delitti ostativi che non avesse collaborato con la giustizia, ma che avesse già fruito del beneficio in precedenza e non fosse stata accertata la sussistenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata (fra le altre, Corte cost. n. 137 del 1999 e n. 445 del 1997) si enucleano le situazioni in cui la successione normativa in materia di esecuzione della pena e di ammissione alle misure alternative alla detenzione determina – per gli effetti pratici che ne derivano – “l’applicazione di una pena che è sostanzialmente un aliud rispetto a quella stabilita al momento del fatto” e si conclude che in tali casi riemerge la ratio teleologica e sistematica del divieto di applicazione retroattiva delle leggi che aggravano il trattamento sanzionatorio previsto per il reato.

Le situazioni determinative del mutamento decisivamente peggiorativo del trattamento sanzionatorio vengono dal Giudice delle leggi individuate in quelle che comportano un cambiamento tale che la previsione di una pena suscettibile di essere eseguita “fuori” dal carcere venga modificata, in tempo successivo al fatto, in pena, formalmente di identico nomen, ma da eseguirsi di norma “dentro” il carcere: evoluzione (rilevante rispetto al parametro dell’art. 25, secondo comma, Cost.) che si considera poter emergere anche in dipendenza di “valutazioni prognostiche relative, rispettivamente, al tipo di pena che era ragionevole attendersi al momento della commissione del fatto, sulla base della legislazione allora vigente, e quella che è invece ragionevole attendersi sulla base del mutato quadro normativo”.

4.6.2. Il tutto, però, in una prospettiva che, in ogni caso, riconosce – fermo il limite suindicato – la solidità delle ragioni poste a fondamento della soluzione affermata dal diritto vivente, stanti il necessario carattere diacronico dell’esecuzione delle pene detentive (con l’inevitabile evoluzione del contesto, fattuale e normativo, in cui l’esecuzione deve realizzarsi, senza ingiustificate limitazioni soggettive in dipendenza del tempo del commesso reato), la fisiologica mutevolezza delle regole trattamentali (basate sul complesso bilanciamento fra i concorrenti interessi in gioco) e, infine, la tanto ineludibile quanto ragionevole considerazione che “un rigido e generale divieto di applicazione retroattiva di qualsiasi modifica della disciplina relativa all’esecuzione della pena o delle misure alternative alla detenzione che dovesse essere ritenuta in concreto deteriore per il condannato finirebbe per creare, all’interno del medesimo istituto penitenziario, una pluralità di regimi esecutivi paralleli, ciascuno legato alla data del commesso reato”, con le gravi difficoltà di ordinata gestione del trattamento complessivamente erogabile dell’amministrazione penitenziaria alla comunità dei detenuti, nel rispetto dell’efficace perseguimento della funzione rieducativa della pena.

In definitiva, la novità così emersa consiste nell’affermazione che l’assoggettamento al principio tempus regit actum delle modificazioni normative inerenti alle modalità esecutive della pena detentiva e alle misure alternative alla detenzione incontra il limite costituito dalle innovazioni che non si esauriscono in mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, ma determinano una vera e propria trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato (per un effetto di questa rilevante specificazione ermeneutica v. Sez. 1, n. 17203 del 28/02/2020, Posocco, Rv. 279215).

4.6.3. Assodato ciò, il caso in esame non appare, ad avviso del Collegio, rientrare fra quelli attinti dalla linea interpretativa enunciata dalla Corte costituzionale.

In primo luogo, rileva la dirimente constatazione che il delitto la cui pena è in espiazione è stato commesso da Ruggieri nel corso dell’anno 2010, laddove l’introduzione della modalità essenziale e qualificante del trattamento differenziato del condannato per il delitto di cui all’art. 609-quater cod. pen. – vale a dire l’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno, di cui all’art. 4-bis, comma 1-quater, Ord. pen. – risale, come si è visto, a tempo antecedente, ossia al 2009.

Sicché, quand’anche volesse annettersi all’innovazione relativa al suddetto trattamento differenziato una portata tale da determinare una vera e propria trasformazione della natura della pena, così da aggravare la posizione del reo, essa sarebbe irrilevante per Ruggieri, in quanto è stata introdotta prima che questi commettesse il reato.

In secondo luogo, deve ribadirsi che il descritto trattamento differenziato – anche come ulteriormente specificato dalla legge n. 172 del 2012, con l’introduzione del comma 1-quinquies dell’art. 4-bis e dell’art. 13-bis nel corpus dell’Ordinamento penitenziario, in ordine alla posizione degli autori dei delitti contro la libertà sessuale commessi (come nel caso di specie) ai danni di persona minorenne – non ha concretato un’innovazione di portata tale da realizzare la radicale trasformazione in peius del trattamento sanzionatorio. Invece, il descritto trattamento differenziato, complessivamente considerato, rappresenta uno strumento specifico per il recupero e il sostegno del reo, finalizzato all’utile conseguimento della risocializzazione dell’autore di uno fra gli specifici delitti indicati, strumento – necessitante del convergente contributo specialistico di una serie di esperti (in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria, criminologia clinica), nonché mediatori culturali e interpreti, e di tecniche di osservazione e di intervento aventi un’articolazione ordinariamente complessa, per tali modalità da dispiegarsi nel tempo minimo di un anno ragionevolmente fissato dalla legge – a cui, d’altronde, il recluso, proprio per l’ineludibile esigenza rieducativa evidenziata dall’accertata devianza, ha diritto ad accedere nelle forme e nei tempi previsti.

5. Questo essendo l’approdo a cui conduce l’analisi del quadro normativo applicabile al caso di specie, risultano chiare le ragioni per le quali – esclusa la non manifesta infondatezza della prospetta questione di costituzionalità – entrambi i motivi svolti a sostegno del ricorso devono essere disattesi.

5.1. Circa il primo motivo, il rilievo dell’omesso perfezionamento del periodo annuale di osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente ha imposto correttamente al Tribunale di sorveglianza di non esaminare in via ulteriore il merito dell’istanza.

Come si è visto, si tratta di una precondizione ineludibile per l’utile valutazione della posizione del condannato per il reato suindicato: la quale, quindi, se fosse stata integrata, avrebbe assicurato la disamina di merito del percorso compiuto dal reo in relazione alla misura alternativa richiesta; disamina che, d’altro canto, avrebbe riguardato tanto l’esito dell’osservazione quanto tutti gli altri elementi emersi dall’istruttoria, onde stabilire se il condannato avesse avviato un percorso di rivisitazione critica del passato e della condotta deviante.

La carenza dell’inderogabile presupposto suindicato ha determinato necessariamente il Tribunale di sorveglianza a non formulare alcuna valutazione relativa al merito ulteriore, valutazione restata peraltro del tutto impregiudicata per l’eventuale nuovo esame che il condannato potrà sostenere formulando l’istanza al momento in cui il cennato presupposto sarà stato conseguito.

Fuori centro è la deduzione di avvenuta violazione dell’art. 177 cod. proc. pen., norma riguardante la tassatività dei casi di nullità.

Il fatto che l’art. 4-bis, comma 1-quater, Ord. pen. non sanzioni per esplicito con l’inammissibilità l’istanza proposta prima del compimento dell’osservazione prescritta non precludeva al giudice di merito di respingere la domanda stessa con quella formula, stante la rilevata carenza nella domanda degli elementi necessariamente richiesti dallo schema delineato dalla norma applicata, con particolare riferimento al requisito del tempo minimo dell’osservazione scientifica della personalità.

Peraltro, nessun argomento è stato addotto da Ruggieri per contestare il rilievo pure formulato nel provvedimento impugnato, in ordine alla carenza di riscontro dell’eventuale compimento da parte del condannato di un percorso esterno di natura terapeutica (che evidentemente potesse essere, al caso, speso, per gli effetti di cui agli artt. 4-bis, comma 1-quinquies, e 13-bis Ord. pen., impregiudicata ogni considerazione circa la verifica del concorrente requisito del dies a quo e della durata almeno annuale dell’osservazione, ove alternativamente conseguita).

5.2. Per quanto concerne il secondo motivo, si prende atto delle molteplici note positive che Ruggieri ha ritenuto di poter vantare nell’interlocuzione inerente alla verifica del suo percorso rieducativo (la difesa ha posto l’accento sul tempo trascorso dalla commissione del reato, senza altre violazioni, denunzie o pendenze a carico del condannato, sulla qualifica professionale del reo, appartenente alle Forze Armate con il grado di Caporal Maggiore Capo, sul suo ottimo curriculum, sul risarcimento del danno erogato alla persona offesa, sull’assenza di contatti con la criminalità organizzata, sul non essere stato dichiarato delinquente abituale o professionale, né recidivo, sull’essere regolarmente adempiente all’obbligo di mantenimento delle figlie da parte sua e sulla sua favorevole situazione abitativa).

Tuttavia, questi elementi non hanno potuto formare oggetto dell’esame da parte del Tribunale di sorveglianza, in quanto non sono stati affiancati dalla già precisata precondizione del periodo minimo della qualificata osservazione della personalità fissata dalla disciplina esaminata; per quanto si è argomentato, quegli elementi avrebbero potuto essere valutati, nel modo ritenuto congruo, dai giudici di merito soltanto se l’istante avesse compiuto il periodo minimo di osservazione.

Non avendo Ruggieri nemmeno dedotto ciò, le note positive da lui lumeggiate non avrebbero potuto essere valutate in via sostitutiva del requisito mancante.

Non si rivela, infine, fondata neanche la lettura, pure prospettata dalla difesa, della valutazione del trattamento psicologico con finalità di recupero e sostegno, disegnato dagli artt. 4-bis, comma 1-quinquies, e 13-bis Ord. pen. come aprioristicamente sostitutiva dell’osservazione qualificata disposta dal comma 1-quater dell’art. 4-bis cit.

In disparte qualsiasi altra notazione, la già rilevata carenza di specifica contestazione da parte del ricorrente del rilievo contenuto nel provvedimento impugnato circa la carenza della produzione da parte di Ruggieri di una qualche documentazione comprovante un qualsivoglia percorso esterno di tipo terapeutico rende per ciò solo superflua ogni ulteriore considerazione sull’argomento.

6. Alla stregua delle svolte considerazioni il ricorso deve essere, pertanto, rigettato nel suo complesso.

Consegue, ai sensi dell’art. 616 del cod, proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il giorno 11 agosto 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.