Anche al camorrista pentito va data la possibilità di usufruire degli arresti domiciliari (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 22 aprile 2021, n. 15285).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere –

Dott. DI GIURO Gaetano – Rel. Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Giovanni nato a (OMISSIS) il 13/12/19xx;

avverso l’ordinanza del 15/05/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Gaetano DI GIURO;

letta la requisitoria della Dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta di detenzione domiciliare ex artt. 47 ter Ord. pen. e 16 nonies d. I. n. 8 del 1991 formulata nell’interesse di Giovanni (OMISSIS).

2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione, tramite il proprio difensore, (OMISSIS), lamentando violazione di legge, in relazione ai suddetti articoli, e vizio di motivazione circa i presupposti previsti per la concessione della misura alternativa della detenzione domiciliare ad un collaboratore di giustizia.

Rileva la difesa che:

– Giovanni (OMISSIS) iniziava a collaborare con la giustizia dal 2012;

– il Tribunale di sorveglianza ha rigettato la richiesta di detenzione domiciliare, nonostante il parere favorevole della Procura Nazionale Antimafia circa la serietà del percorso collaborativo e la valutazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli dell’utilità delle sue dichiarazioni in moltissimi procedimenti, nonché la positiva relazione di sintesi della Casa di reclusione di Paliano;

– detto Tribunale non ha considerato gli anni di proficua collaborazione e la condotta irreprensibile di (OMISSIS) sia all’interno dell’istituto penitenziario, in cui ha partecipato alle attività rieducative e lavorative, che all’esterno mediante la fruizione di permessi premio;

– ha, quindi, fondato il rigetto sul solo curriculum criminale del condannato e sul fine pena lontano, e ciò in contraddizione con i molteplici elementi positivi di cui lo stesso Tribunale di sorveglianza dà atto, che avrebbero dovuto indurre a conclusioni diametralmente opposte.

Il difensore insiste per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.

Ai fini della concessione di una misura alternativa alla detenzione non è sufficiente l’assenza di indicazioni negative, quali il mancato superamento dei limiti massimi, fissati per legge, della pena da scontare e l’assenza di reati ostativi, ma occorre che risultino elementi positivi, che consentano un giudizio prognostico favorevole della prova (quanto in particolare all’affidamento in prova) e di prevenzione del pericolo di recidiva.

Tali considerazioni, peraltro, devono essere inquadrate alla luce del più generale principio per il quale l’opportunità del trattamento alternativo non può prescindere, dall’esistenza di un serio processo, già avviato, di revisione critica del passato delinquenziale e di risocializzazione – che va motivatamente escluso attraverso il riferimento a dati fattuali obiettivamente certi – oltre che dalla concreta praticabilità del beneficio stesso, essendo ovvio che la facoltà di ammettere a tali misure presuppone la verifica dell’esistenza dei presupposti relativi all’emenda del soggetto e alle finalità rieducative.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, inoltre, il giudice, pur non potendo prescindere, nella valutazione dei presupposti per la concessione di una misura alternativa, dalla tipologia e gravità dei reati commessi, deve, però, avere soprattutto riguardo al comportamento e alla situazione del soggetto dopo i fatti per cui è stata inflitta la condanna in esecuzione, onde verificare concretamente se vi siano o meno i sintomi di una positiva evoluzione della sua personalità e le condizioni che rendano possibile formulare la prognosi positiva richiesta per la misura alternativa richiesta (che per la detenzione domiciliare consistono essenzialmente nella assenza di pericolo di recidiva).

Nel caso in esame il provvedimento impugnato non ha fatto buon governo dei principi sopra indicati ed è incorso nella carenza motivazionale lamentata.

Risulta essersi incentrato soltanto sui (gravi e numerosi) precedenti penali del condannato e sul «fine pena ancora lontano».

Ha, invero, valorizzato il passato criminale «deviante e criminale» di (OMISSIS), che riferisce di avere frequentato fin da giovane il clan Pagano, dopo aver stretto amicizia con il figlio del boss, di essere poi transitato nel 2012 nel clan Abete-Abbinante-Notturno, di avere ivi commesso il primo omicidio in danno di una persona che aveva attentato alla sua vita, e, dopo avere concorso nell’omicidio di una persona diversa da quella che doveva essere uccisa, di essere caduto in un profondo stato di prostrazione e avere, quindi, deciso di collaborare con la giustizia.

E, «pur riconoscendo le positive caratteristiche della collaborazione resa dal (OMISSIS) e la buona partecipazione alle attività trattamentali», tra cui corsi di teatro, di musicoterapia e scolastici, nonché alle attività lavorative, partecipazione per la quale il collaboratore risulta avere ottenuto «la ricompensa dell’encomio», e dando atto della fruizione dal 2018 di permessi premio senza rilievi, per andare a trovare madre e sorella nel domicilio protetto, e del parere favorevole alla concessione del beneficio da parte del GOT, facente leva proprio sul serio percorso di revisione critica intrapreso da (OMISSIS) del suo vissuto da cui sembra essersi allontanato, ritiene, contraddittoriamente, necessaria «una più approfondita indagine personologica per la verifica del processo di rivisitazione critica del passato deviante e della solidità del percorso di ravvedimento, anche per comprendere il definitivo e non meramente utilitaristico allontanamento di o questo dalle logiche criminali di appartenenza e per confermare la sua affidabilità esterna mediante l’ulteriore fruizione di permessi premio».

Senza spiegare perché a tale ultimo fine non siano stati sufficienti i permessi premio concessi nell’arco di ben due anni e perché la pericolosità sociale di (OMISSIS) debba essere considerata ancora attuale, dopo otto anni di dissociazione dal contesto criminale di appartenenza di cui dà atto il Procuratore Nazionale Antimafia e dopo anni di irreprensibile condotta penitenziaria.

2. Si impongono, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.