Anche se riconsegnato allo Stato di cittadinanza romena, può esercitare in Italia il diritto di difesa relativamente al processo che lo vede tuttora imputato di fronte alla nostra Autorità giudiziaria (Corte di Cassazione, Sezione Feriale Penale, Sentenza 3 settembre, n. 25040).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe – Presidente –

Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Rel. Consigliere –

Dott. BORSELLINO Maria Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

BAMBU Costei, nato in Romania il 9 aprile 1985;

avverso la sentenza n. 5/2020 della Corte di appello di Lecce del 29 maggio 2020;

letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Marco DALL’OLIO, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

sentita, altresì l’avv. Loredana TULINO, del foro di Vibo Valentia, in sostituzione dell’avv. Giampaolo POTI’, del foro di Lecce, la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 29 maggio 2020 la Corte di appello di Lecce ha disposto farsi luogo alla consegna di Bambu Costei alla Autorità giudiziaria rumena in esecuzione del mandato di arresto europeo da quella emesso, nella specie da parte della Corte locale di Panciu in data 25 novembre 2016, per la espiazione della pena di mesi 8 di reclusione a lui irrogata dalla Corte di appello di Galati del 13 ottobre 2016.

Nell’emettere il provvedimento in questione la Corte salentina ha osservato che il mandato di arresto di cui si tratta era già stato esaminato dalla medesima Corte con sentenza del 3 marzo 2017, divenuta irrevocabile il successivo 4 maggio 2017.

Tale provvedimento era stato eseguito in data 18 maggio 2017 tramite consegna del Bambu alla polizia rumena, tuttavia non era stato possibile il trasferimento dello stesso presso lo Stato rumeno in giunto nel corso della traduzione il Bambu, mentre si trovava in territorio olandese, era stato colpito da serio un malessere, per effetto del quale l’autorità giudiziaria del paese di transito aveva impedito, per motivi umanitari, la prosecuzione del trasferimento.

Tanto precisato, la Corte di appello – osservato che lo Stato rumeno, avuta notizia che il Bambu si trovava nuovamente presso il territorio nazionale (ve, peraltro, lo stesso è ristretto in custodia cautelare in quanto oggetto di un ulteriore procedimento penale a carico), ha inteso promuovere ex novo la procedura per la consegna in esecuzione del precedente mandato di arresto – ha rilevato che il provvedimento della autorità rumena ha ad oggetto due condanne irrogate al Bambu, ambedue definitive;

la prima riguardante una condanna alla pena di 8 mesi di reclusione per il reato di abbattimento e urto di alberi, mentre la seconda ha ad oggetto un residuo di pena, pari a 341 giorni di reclusione, che il Bambu dovrebbe ancora scontare in relazione ad una condanna a lui inflitta dal Tribunale di Lecce, con sentenza 22 settembre 2010 definitiva il successivo 11 aprile 2012, riconosciuta dalla autorità giudiziaria rumena con sentenza della Corte di appello di Galati del 10 settembre 2014, definitiva il 9 marzo 2015.

In relazione a tale residua pena, la cui natura di pena tuttora espianda deriverebbe dal fatto che il Bambu si è visto revocare la liberazione condizionale che in ordine ad essa gli era stata concessa dalla Autorità giudiziaria rumena, la Corte salentina ha rilevato che, diversamente da quanto ritenuto dalla autorità nazionale del Bambu, questi ha integralmente espiato in Italia la pena irrogatagli con la sentenza del Tribunale di Lecce, sicché, non sussistendo alcuna residua pena da scontare, la richiesta di consegna, limitatamente al descritto aspetto, è stata, in sostanza, rigettata, essendo stata essa accolta con esclusivo riferimento alla pena di 8 mesi di reclusione irrogata con l’altra sentenza cui il provvedimento della autorità giudiziaria rumena sui riferisce.

La Corte territoriale ha, invece, rigettato le ulteriori doglianze proposte dal Bambu, afferenti alla durata residua della pena da scontare per il reato di abbattimento e furto arboreo, posto che la durata di 4 mesi di reclusione indicata dalla legge italiana quale limite minimo per dare luogo alla consegna, va riferita alla pena irrogata e non alla sua frazione ancora da scontare; in ogni caso, ha aggiunto la Corte di Lecce, nelle determinazione di essa non va tenuto conto della eventuale custodia cautelare subita in Italia per effetto della procedura di consegna.

In tal senso essa ha, pertanto, ritenuto privo di rilevanza che, allorché era stata per la prima volta esaminato il mandato di arresto europeo emesso a carico del Bambu, questi fosse rimasto in custodia cautelare, in attesa delle definizione del relativo procedimento di fronte al giudice nazionale, per oltre 4 mesi.

Peraltro la Corte, tenuto conto del fatto che il Bambu è tuttora sottoposto ad altro, ulteriore, processo, in Italia, in esito al primo grado del quale, celebrato nelle forme del rito abbreviato, lo stesso, oltre ad essere tuttora in custodia cautelare, è stato condannato ad una pena non precisata, ha disposto che la materiale consegna del Bambu alla autorità rumena intervenga solo allorché questi sarà stato rimesso in libertà rispetto al processo pendente a suo carico.

Avverso tale sentenza ha interposto ricorso per cassazione la difesa del Bambu, articolando a tal fine tre motivi di impugnazione.

Con il primo motivo è stata censurata la sentenza in quanto con essa, in violazione della legge nazionale, è stata disposta la consegna del ricorrente alla sua autorità nazionale, sebbene la stessa Corte salentina abbia riconosciuto che uno dei titoli in base ai quali è stata richiesta la consegna, in particolare la espiazione del residuo di pena derivante dalla condanna emessa dal Tribunale di Lecce oggetto di riconoscimento presso l’ordinamento rumeno, era illegittimo, non residuando alcuna pena a tal riguardo da scontare; la difesa del ricorrente, postulata la inscindibilità dei titoli detentivi azionati con il mandato di arresto europeo, ha rilevato che la illegittimità di una delle ragioni addotte per la esecuzione di quello, avrebbe pregiudicato in ogni caso anche la possibilità di autorizzare la consegna per il residuo titolo, seppure esso fosse legittimo; peraltro, ha rilevato la difesa del ricorrente, una volta consegnato il Bambu alla autorità rumena non vi sarebbe stata possibilità di impedire ché lo stesso fosse sottoposto a privazione della libertà anche per il titolo non autorizzato dallo Stato italiano.

Con il secondo motivo di ricorso la difesa del condannato ha osservato che, allorché il Bambu fu attinto dal precedente mandato di arresto europeo egli fu ristretto in vincoli in Italia per poco più di quattro mesi, detraendo i quali dalla complessiva pena ancora da scontare per la quale la Corte salentina ha concesso la consegna allo Stato rumeno, la stessa scenderebbe al di sotto del limite minimo di 4 mesi di pena detentiva che, ai sensi dell’art. 7, comma 4, della legge n. 69 del 2005, è il limite minimo al di sotto del quale la consegna allo Stato richiedente non può essere concessa.

Non ignora la difesa ricorrente l’esistenza di un orientamento interpretativo che fissa il riferimento al detto limite non alla pena ancora espianda ma a quella in effetti irrogata, tuttavia tale interpretazione appare al ricorrente ingiustificata, in quanto, se questa fosse stata la volontà del legislatore, questi si sarebbe espresso in termini di 4 mesi di complessiva pena inflitta e non in quelli di 4 mesi di pena.

Infine con il terzo motivo la difesa del ricorrente ha lamentato il fatto che la consegna del Bambu non sia stata subordinata alla definitività della conclusione del procedimento penale in corso a carico di quello in Italia, ma solo alla cessazione della misura cautelare a lui applicata in relazione ad esso; in tale modo, secondo il suo avviso, diventerebbe impossibile per lo stesso ‘ esercitare compiutamente il suo diritto di difesa in grado di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, per come proposto, va dichiarato infondato e, pertanto lo stesso deve essere rigettato.

Con riferimento al primo motivo di impugnazione – con il quale la difesa del Bambu ha lamentato, deducendone la illegittimità per violazione di legge e per vizio di motivazione, la nullità della sentenza impugnata in quanto in essa la Corte territoriale salentina, pur avendo riconosciuto che una delle ragioni poste alla base della richiesta di consegna azionata dalla Autorità giudiziaria rumena nei confronti di quella italiana in relazione alla persona dell’odierno ricorrente non ha una sua corretta giustificazione posto che, diversamente da quanto ritenuto dalla Autorità giudiziaria richiedente, il Bambu ha integralmente scontato la pena detentiva a lui inflitta con la sentenza del Tribunale di Lecce del 22 settembre 2010, riconosciuta presso lo Stato rumeno con provvedimento del 10 settembre 2014 – osserva il Collegio che il presupposto logico in base al quale è stata argomentata la doglianza del ricorrente, cioè la pretesa inscindibilità delle causali (ove si tratti di molteplici causali) in forza delle quali è stata formulata, attraverso la emissione del mandato di arresto europeo, la richiesta di consegna da parte dello Stato estero, non ha alcun espresso fondamento normativo, dovendo, invece, ritenersi che la Autorità giudiziaria destinataria della richiesta di consegna abbia, sia pure nel limitato ambito di valutazione che le è consentito dalla normativa in materia, il potere di considerare atomisticamente, anche giungendo a distinte deliberazioni fra oro non conformi, la accoglibilità o meno delle distinte motivazioni sottese alla diverse causali azionate; con il risultato che l’eventuale accoglimento della richiesta di consegna fondata solo su uno a solo su taluna di dette causali, con la esclusione della accoglibilità della richiesta sulla base di altre causali, fungerà quale limite alla operatività del provvedimento di consegna emesso dal giudice del merito.

Ciò, peraltro, non diversamente da quanto ampiamente ritenuto in relazione all’istituto della estradizione – del quale quello ora in esame è una indubbia evoluzione più rispettosa, in attuazione di principi eurounitari in tema di cooperazione giudiziaria, delle esigenze di speditezza che caratterizzano le ipotesi esecuzione della sanzione penale detentiva e della autonomi ii e sovranità dei singoli ordinamenti giuridici – in ordine al quale non vi era dubbio che la stessa potesse essere concessa solo per taluni degli episodi criminosi attribuiti dallo Stato richiedente al soggetto estradando ovvero solo per alcune delle condanne irrogate a carico di questo, con esclusione di altre (cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 14 marzo 2006, n. 8674).

Rientrerebbe, evidentemente, nella patologia della applicazione dell’istituto in questione, della quale, pertanto, non ci si deve preventivamente occupare in questa sede, il caso nel quale, ad onta del limite in tal modo lui imposto (e nel caso di specie il dispositivo del provvedimento impugnato è ben chiaro nel delimitare l’ambito oggettivo entro il quale la consegna allo Stato rumeno del Bambu è stata disposta), lo Stato di destinazione ponga in esecuzione anche una sanzione ulteriore e diversa rispetto a quella per la quale è stata autorizzata la consegna dell’individuo attinto dal mandato di arresto europeo.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso, riguardante la affermata violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta esclusione della operatività del limite negativo alla applicazione della disciplina di cui alla legge n. 69 del 2005 sancito dall’art. 7, comma 4, della citata legge (ciò la durata pari ad almeno 4 mesi di reclusione della pena inflitta dallo Stato richiedente), è sufficiente osservare, da una parte, che la costante giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso che, in tema di mandato di arresto europeo esecutivo, ai fini dell’applicazione della misura minima della pena o della misura sicurezza non inferiore ai 4 mesi, prevista dall’art. 7, comma 4, della legge n. 69 del 2005, occorre fare riferimento non alla pene in concreto ancora da eseguire, ma a quella pronunciata dall’autorità giudiziaria straniera (a tal proposito, fra le altre: Corte di cassazione, Sezione VI pen le, 6 febbraio 2020, n. 5111; idem Sezione VI penale, 23 marzo 2018, n. 13167; idem Sezione Feriale, 27 agosto 2013, n. 35533), circostanza questa che pone in evidenza la adeguatezza motivazionale del provvedimento impugnato che ha congruamente richiamato, riportandoli ed aderendo ad essi, gli orientamenti ermeneutici formatisi sul punto in discussione in seno alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice.

Per converso si rileva, d’altro canto, che neppure è riscontrabile l’asserito vizio di violazione di legge, posto che la espressione normativa adoperate dal legislatore nel citato art. 7, comma 4, della legge n. 69 del 2005 (cioè: “In Caso di esecuzione di una sentenza di condanna, la pena o la misura di sicurezza dovranno avere una durata non inferiore a 4 mesi”), non legittima la interpretazione che di essa ha proposto, in termini di esclusività ermeneutica, la difesa del ricorrente, dovendosi, piuttosto, ritenere che il tipo di controllo che la Autorità giudiziaria destinataria della richiesta di consegna è legittimata a fare su questa – si tratta, infatti, di un controllo di tipo estrinseco e non certo esteso al merito proprio a tutela della autonoma sovranità dello Stato richiedente – non consentirebbe una più approfondita verifica che esulasse rispetto all’accertamento, per ciò che ora interessa, della sufficiente durata cella pena inflitta.

Con riferimento al terzo motivo di censura, riguardante l’affermato vizio di motivazione della sentenza impugnata nonché l’erronea applicazione di Legge in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Lecce nel subordinare la operatività della consegna del Bambu alla Autorità giudiziaria rumena non alla definizione del giudizio penale a suo carico attualmente in corso di svolgimento in Italia ma solamente alla cessazione della efficacia della misura cautelare cui egli risulta essere attualmente sottoposto nell’ambito del predetto giudizio, è sufficiente osservare, onde rilevare la carenza di pregio della doglianza, che il giudice incaricato di valutare la possibilità di dare esecuzione al mandato di arresto europeo è dotato, in caso di pendenza nei confronti del soggetto interessato di giudizio penali in Italia per fatti diversi rispetto a quelli per i quali è stata richiesta la consegna da uno Stato estero, di ampia discrezionalità in ordine alla scelta delle priorità da attribuire agli interessi in giuoco (Corte di cassazione; discrezionalità che è sindacabile di fronte a questa Corte, seppur la stessa è dotata, stante la previsione di cui all’art. 27, comma 1, della legge n. 69 del 2005, di più ampi margini di cognizione nel presente giudizio rispetto a quelli ad essa abitualmente riservata, solo in caso di suo esercizio operato in contrasto con disposizioni normative ovvero sulla base di valutazioni illogiche.

Contestazioni che neppure il ricorrente ha fatto, essendosi limitato a censurare la scelta operata dal giudice del merito, sostenendo che essa avrebbe l’effetto di conculcare il diritto di difesa del ricorrente.

Ma, proprio a tale riguardo, si osserva conclusivamente che la soluzione adottata dalla Corte salentina non costituisce un serio impedimento alla materiale possibilità da parte del Bambu, una volta che questi fosse riconsegnato allo Stato di cittadinanza, di esercitare in Italia il diritto di difesa relativamente al processo che lo vede tuttora imputato di fronte alla nostra Autorità giudiziaria.

Egli – anche a prescindere dal non trascurabile dato materiale che la pena che lo stesso deve ancora espiare in Romania ha una durata che appare, in linea astratta, ben compatibile con i tempi di celebrazione del processo a suo carico nel nostro Paese – potrà, in ogni caso, attivare, ove da lui ritenuto necessario, gli opportuni strumenti che, proprio nell’ambito della cooperazione giudiziaria eurounitaria, gli potranno consentire di partecipare attivamente e materialmente al giudizio che, in caso di impugnazione della sentenza emessa a suo carico dal Tribunale di Lecce in data 13 maggio 2020, sarà celebrato di fronte al giudice del gravame.

In definitiva il ricorso del Bambu deve essere rigettato e lo stessa va condannato al pagamento delle spese processuali.

Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso, secondo le modalità di cui all’art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005, al Ministero della Giustizia.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, della legge n. 69, del 2005.

Così deciso in Roma, il 2 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.