Assenza di un motivo sufficientemente imperativo che giustifcasse l’applicazione retroattiva di una legge che determinava la sostanza di controversie pensionistiche in procedimenti pendenti (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Prima Sezione, Sentenza 13 ottobre 2022, n. 22636/19).

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA D’AMICO c. ITALIA

(Ricorso n. 46586/14)

SENTENZA

Articolo 6 § 1 (civile) • Equo processo • Assenza di un motivo sufficientemente imperativo che giustificasse l’applicazione retroattiva di una legge che determinava la sostanza di controversie pensionistiche in procedimenti pendenti

STRASBURGO

17 febbraio 2022

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni stabilite dall’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa D’Amico c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Prima Sezione), riunita in una Camera composta da:

Marko Bošnjak, Presidente,

Péter Paczolay,

Alena Poláčková,

Erik Wennerström,

Raffaele Sabato,

Lorraine Schembri Orland,

Davor Derenčinović, giudici,

e Renata Degener, cancelliere di Sezione,

visto il ricorso (n. 46586/14) contro la Repubblica italiana con il quale in data 18 aprile 2014 una cittadina italiana, la Sig.ra Immacolata Filomena D’Amico (“la ricorrente”), ha adito la Corte ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”);

vista la decisione di comunicare il ricorso al Governo italiano (“il Governo”);

viste le osservazioni delle parti;
dopo aver deliberato in camera di consiglio in data 18 gennaio 2022,

pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. La causa concerne un intervento legislativo mentre era in corso un procedimento. In particolare, la ricorrente ha lamentato, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, che la promulgazione della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (“legge n. 296/2006”) aveva violato il suo diritto a un equo processo.

IN FATTO

2. La ricorrente è nata nel 1938 e vive a Matera. È stata rappresentata dinanzi alla Corte dall’avvocato A. Iuliano, del foro di Matera.

3. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. L. D’Ascia, Avvocato dello Stato.

4. I fatti oggetto della causa, come esposti dalle parti, possono essere riassunti come segue.

5. Il marito della ricorrente, A.C., andò in pensione in data 1° gennaio 1990. In conformità all’articolo 2, comma 1, della legge 27 maggio 1959 n. 324 (“legge n. 324/1959”), la sua pensione comprendeva una indennità integrativa speciale (“l’IIS”), concepita come un adeguamento al costo della vita distinto dal principale pagamento pensionistico.

6. In conformità alla pertinente legislazione applicabile all’epoca, le pensioni dei dipendenti pubblici non erano basate sul principio della “onnicomprensività”, come avveniva per le pensioni dei dipendenti del settore privato. Le pensioni dei dipendenti pubblici erano composte da un elemento retributivo fisso e da altri elementi indipendenti, come l’IIS. Tale tipo di metodo di calcolo comportava che, mentre la pensione corrisposta al superstite di un dipendente del settore privato era calcolata in misura percentuale sulla pensione complessiva, la pensione corrisposta al superstite di un dipendente del settore pubblico era calcolata soltanto sulla base dell’elemento retributivo fisso, e le indennità accessorie erano corrisposte per intero.

7. A decorrere dal 1994 il Parlamento italiano approvò diverse leggi finalizzate ad armonizzare i regimi pensionistici dei dipendenti dei settori pubblico e privato. Il 23 dicembre 1994 fu promulgata la legge n. 724/1994. Essa prevedeva l’armonizzazione dei pagamenti pensionistici nei settori pubblico e privato, nel senso che le pensioni dei dipendenti pubblici dovevano essere determinate mediante un unico calcolo sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, compresa l’IIS. Allo stesso tempo, l’articolo 15, comma 5, di tale legge faceva salvi i trattamenti pensionistici che erano già in godimento, come quelli riguardanti A.C., il quale percepiva una pensione dal 1990.

8. Successivamente, entrò in vigore la legge 8 agosto 1995 n. 335 (“legge n. 335/1995”). Senza abrogare esplicitamente la legge n. 724/1994, l’articolo 1, comma 41, della legge n. 335/1995 estendeva le norme che disciplinavano le pensioni di reversibilità a tutte le forme del regime generale dell’assicurazione obbligatoria.

9. In data 1° aprile 2002 A.C. decedette. Conseguentemente, a decorrere dal 1° maggio 2002 la ricorrente ricevette una pensione di reversibilità (nella misura del 60% della pensione di A.C.). A norma dell’articolo 1, comma 41, della legge n. 335/1995, l’IIS era cumulata alla retribuzione di A.C. e quindi corrisposta nella misura della pensione originaria complessiva di A.C.

10. In data 22 luglio 2005 la ricorrente instaurò un procedimento nei confronti dell’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica – in prosieguo “l’INPDAP”, le cui funzioni, successivamente alla sua soppressione avvenuta nel 2011, sono svolte attualmente dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) dinanzi alla Corte dei Conti della Basilicata. Ella lamentò che l’IIS avrebbe dovuto essere corrisposto nella misura piena, vale a dire, quale indennità accessoria piuttosto che nella misura della prestazione originariamente corrisposta al suo defunto marito.

11. Con sentenza del 2 aprile 2007 la Corte dei Conti della Basilicata accolse la domanda della ricorrente. Rinviando alla sentenza n. 8/QM del 17 aprile 2002 delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti (“sentenza n. 8/QM/2002”), essa ritenne che il nuovo regime previsto dalla legge n. 335/1995 si applicasse soltanto alle pensioni dirette liquidate successivamente al 1° gennaio 1995. Poiché A.C. aveva iniziato a percepire la pensione nel 1990, ai sensi dell’articolo 15, comma 5, della legge n. 724/1994 la ricorrente avrebbe dovuto percepire l’IIS nella misura piena.

12. Il 1° gennaio 2007, mentre pendeva dinanzi alla Sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti un appello presentato dall’INPDAP, entrò in vigore la legge n. 296/2006. L’articolo 1, comma 774, di tale legge forniva un’interpretazione autentica dell’articolo 1, comma 41, della legge n. 335/1995, e stabiliva che, nei casi in cui le pensioni di reversibilità erano sorte successivamente all’entrata in vigore della legge n. 335/1995, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l’IIS doveva essere corrisposto in misura percentuale, costituendo parte integrante della pensione principale.

13. A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 296/2006, in data 21 ottobre 2013 la Sezione giurisdizionale centrale della Corte dei Conti, in qualità di giudice di appello nella causa della ricorrente, accolse l’appello proposto dall’INPDAP, ribaltò la sentenza di primo grado e rigettò la pretesa della ricorrente.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI PERTINENTI

I. LE DISPOSIZIONI PERTINENTI

14. L’articolo 2, comma 1, della legge n. 324/1959 prevedeva:

“Ai titolari di pensioni ordinarie (…) dirette, indirette o di reversibilità (…) è concessa una indennità integrativa speciale determinata per ogni anno applicando (…) la variazione percentuale dell’indice del costo della vita (…)”

15. L’articolo 15, comma 5, della legge n. 724/1994 prevedeva l’armonizzazione dei regimi pensionistici dei settori pubblico e privato e conferiva alle pensioni del settore pubblico il carattere di onnicomprensività già adottato per il settore privato. Esso salvaguardava inoltre le precedenti disposizioni già in vigore, prevedendo:

“Le disposizioni relative alla corresponsione della indennità integrativa speciale sui trattamenti di pensione previste dall’articolo 2 della legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni ed integrazioni, sono applicabili limitatamente alle pensioni dirette liquidate fino al 31 dicembre 1994 e alle pensioni di reversibilità ad esse riferite.”

16. L’articolo 1, comma 41, della legge n. 335/1995 estendeva le norme che disciplinavano le pensioni di reversibilità a tutte le forme del regime generale dell’assicurazione obbligatoria.

17. L’articolo 1, comma 774, della legge n. 296/2006 forniva un’interpretazione autentica dell’articolo 1, comma 41, della legge n. 335/1995. Esso recitava:

“(…) l’articolo 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995 n.335, si interpreta nel senso che per le pensioni di reversibilità sorte a decorrere dall’entrata in vigore della legge 8 agosto 1995, n. 335, indipendentemente dalla data di decorrenza della pensione diretta, l’indennità integrativa speciale (…) è attribuita nella misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità.”

18. L’articolo 1, comma 775, della legge n. 296/2006 escludeva dal suo campo di applicazione le pensioni di reversibilità già definite in sede di contenzioso.

II. LA SENTENZA N. 8/QM DEL 17 APRILE 2002 DELLE SEZIONI RIUNITE DELLA CORTE DEI CONTI

19. Con sentenza n. 8/QM/2002, le Sezioni Riunite della Corte dei Conti, nel risolvere un conflitto giurisprudenziale emerso, ritennero che in caso di morte del titolare di una pensione liquidata entro il 31 dicembre 1994, al titolare della pensione di reversibilità l’IIS dovesse essere attribuita nella misura piena, indipendentemente dalla data della morte del dante causa. Stabilirono pertanto che l’articolo 1, comma 41, legge 8 agosto 1995 n. 335 non avesse abrogato il comma 5 dell’articolo 15 della legge n. 724/1994.

III. LE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN ORDINE ALLA LEGGE N. 296/2006

20. Con sentenza n. 74 del 28 marzo 2008, la Corte costituzionale riconobbe che la legge n. 296/2006 fosse una legge di interpretazione autentica mediante la quale il legislatore aveva scelto una delle possibili letture del testo originale della legge n. 335/1995. Allo stesso tempo, essa ritenne che tale lettura non fosse irragionevole e che fosse pertanto conforme all’articolo 3 della Costituzione.

21. Con sentenza n. 228 del 24 giugno 2010, la Corte costituzionale ribadì che l’intervento legislativo mirava non soltanto al contenimento della spesa pubblica, ma anche all’armonizzazione dei trattamenti pensionistici tra i settori pubblico e privato.

22. Con le sentenze n. 1 del 5 gennaio 2011 e n. 227 del 26 settembre 2014 la Corte costituzionale ribadì che, mentre la legge censurata aveva rinviato a un filone giurisprudenziale minoritario, essa aveva scelto uno dei possibili significati del testo originario del 1995. La Corte ritenne anche che le persone che beneficiavano di un regime di sicurezza sociale non avessero una legittima aspettativa in ordine alla sua immutabilità. Inoltre, le innovazioni che erano state apportate al pertinente quadro giuridico non avevano trascurato del tutto i diritti acquisiti né comportavano misure irragionevoli finalizzate ad armonizzare i regimi pensionistici pubblico e privato. La legge n. 335/1995 costituiva pertanto il primo approdo di un progressivo riavvicinamento della pluralità dei sistemi pensionistici, con effetti strutturali sulla spesa pubblica e sugli equilibri di bilancio, anche ai fini del rispetto degli obblighi comunitari in tema di patto di stabilità economica finanziaria.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE

23. La ricorrente ha lamentato che l’intervento legislativo – vale a dire la promulgazione della legge n. 296/2006, che si discostava dalla giurisprudenza consolidata mentre era ancora pendente il procedimento concernente il suo caso – aveva violato il suo diritto a un equo processo di cui all’articolo 6 § 1 della Convenzione, che recita come segue:

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)”

A. Sulla ricevibilità

24. Il Governo ha affermato che il ricorso era manifestamente infondato, in quanto la Corte costituzionale aveva ritenuto in diverse occasioni che la legislazione contestata rafforzasse uno dei possibili significati della disposizione interpretata e che la sua promulgazione fosse stata giustificata dalla necessità di riformare il regime pensionistico italiano.

25. Il Governo ha sostenuto anche che la ricorrente non aveva subito un significativo svantaggio. Ha rilevato che, in conformità all’interpretazione della legge n. 335/1995 adottata dalle autorità e successivamente confermata dall’interpretazione autentica fornita dalla legge n. 296/2006, la ricorrente aveva percepito un importo complessivo pari a 41.523 euro (EUR) invece che pari a EUR 50.762, che ella avrebbe percepito se l’IIS le fosse stata corrisposta nella misura piena di cui all’articolo 15, comma 5, della legge n. 724/1994.

26. La ricorrente ha contestato tali rilievi.

27. Il principio generale de minimis non curat praetor costituisce il fondamento della logica dell’articolo 35 § 3, lettera b), che tenta di assicurare l’esame da parte di una corte internazionale soltanto dei casi in cui la violazione di un diritto ha raggiunto un livello minimo di gravità. Le violazioni puramente tecniche e insignificanti al di fuori di un quadro formalistico non meritano il riesame europeo. La valutazione di tale livello minimo è, per natura, relativa e dipende da tutte le circostanze del caso (si veda, tra numerosi altri precedenti, Shefer c. Russia (dec.), n. 45175/04, § 18, 13 marzo 2012).

28. Tenendo conto dei calcoli effettuati dal Governo e in considerazione delle conseguenze economiche per la ricorrente – una pensionata di una certa età che non percepiva alcuna altra pensione all’infuori di quella che le era corrisposta in qualità di coniuge superstite di A.C. – secondo la Corte non si poteva ritenere che ella non avesse subito un significativo svantaggio.

29. La Corte rigetta pertanto le eccezioni preliminari formulate dal Governo, a eccezione del rilievo secondo il quale la doglianza della ricorrente è manifestamente infondata, in quanto tale eccezione deve essere unita al merito del ricorso.

B. Sul merito

1. Le osservazioni delle parti

30. La ricorrente ha sostenuto che promulgando l’articolo 1, comma 774, della legge n. 296/2006, lo Stato aveva compiuto un’ingerenza a favore di una delle parti di un procedimento pendente.

31. Il Governo ha contestato tale rilievo. Ha ribadito che all’epoca della promulgazione della legge n. 296/2006 vi erano due distinte interpretazioni della legge n. 335/1995. Mentre la maggior parte della giurisprudenza era favorevole alla ricorrente, l’interpretazione applicata dall’INPDAP era conforme a un filone giurisprudenziale minoritario. Esso ha invocato le sentenze della Corte costituzionale, che confermavano che il legislatore aveva utilizzato uno dei possibili significati della norma interpretata al fine di risolvere un conflitto giurisprudenziale. Il Governo ha inoltre sostenuto che la ricorrente non poteva avere alcuna aspettativa in ordine al fatto che sarebbe stata applicata al suo caso una specifica interpretazione della legge n. 335/1995, in quanto le sentenze della Corte dei Conti non avevano un effetto vincolante sulle altre cause sottoposte alla sua giurisdizione.

32. Il Governo ha invocato la sentenza relativa alla causa Forrer-Niedenthal c. Germania (n. 47316/99, 20 febbraio 2003), sostenendo che l’ingerenza da parte del legislatore poteva essere giustificata da motivi generazionali storici. Ha inoltre sostenuto che il caso era paragonabile alla causa National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society and Yorkshire Building Society c. Regno Unito (23 ottobre 1997, Reports of Judgments and Decisions 1997 VII) e OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri c. Francia (nn. 42219/98 e 54563/00, 27 maggio 2004), in cui la Corte non aveva riscontrato alcuna violazione in quanto l’ingerenza era finalizzata ad assicurare il rispetto dell’originaria volontà del legislatore, e in cui la Corte aveva attribuito importanza anche alla finalità di sanare un’imperfezione tecnica della legge interpretata. A tale riguardo, ha sostenuto che nel caso di specie il regime pensionistico italiano del settore pubblico aveva subito una riforma generazionale che aveva giustificato l’ingerenza. In particolare, la legge n. 335/1995 era stata promulgata per eliminare un’irrazionale disparità di trattamento tra i settori pubblico e privato e per fare fronte al pesante squilibrio finanziario del sistema pensionistico. La legge contestata era finalizzata a reintrodurre l’originaria intenzione del legislatore di armonizzare il sistema pensionistico.

2. La valutazione della Corte

33. La Corte ha ripetutamente riconosciuto che, benché non sia precluso al legislatore di promulgare nuove disposizioni retroattive per disciplinare diritti derivanti da leggi in vigore (si veda, per esempio, Anagnostopoulos e altri c. Grecia, n. 39374/98, § 19, CEDU 2000 XI), il principio dello stato di diritto e la nozione di equo processo sanciti dall’articolo 6 precludono_- salvo che per imperativi motivi di interesse generale – l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia (si veda, tra numerosi altri precedenti, Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri c. Francia [GC], nn. 24846/94 e 9 altri, § 57, CEDU 1999‑VII). Benché le norme di legge in materia di pensioni possano mutare e non si possa fare affidamento su una decisione giudiziaria quale garanzia contro tali modifiche in futuro (si veda Sukhobokov c. Russia, n. 75470/01, § 26, 13 aprile 2006), anche se tali modifiche sono svantaggiose per alcuni beneficiari delle prestazioni previdenziali, lo Stato non può interferire in modo arbitrario nel processo della decisione giudiziaria (si veda, mutatis mutandis, Bulgakova c. Russia, n. 69524/01, § 42, 18 gennaio 2007).

34. Nel caso di specie, la Corte deve osservare l’effetto della legge n. 296/2006 e la collocazione temporale della sua promulgazione. Essa osserva che la legge ha escluso espressamente dal suo campo di applicazione le pensioni di reversibilità che erano già state liquidate mediante decisioni giudiziarie irrevocabili e ha determinato una volta per tutte, retroattivamente, i termini delle controversie pendenti dinanzi ai tribunali ordinari. Invero, la promulgazione della legge n. 296/2006 mentre i procedimenti erano pendenti determinava in realtà il merito delle controversie, e la sua applicazione da parte dei vari tribunali ordinari ha reso inutile per un intero gruppo di persone che si trovavano nella situazione della ricorrente la prosecuzione della lite. Pertanto, la legge aveva avuto l’effetto di modificare definitivamente l’esito della lite pendente, nella quale lo Stato era parte, approvando la posizione dello Stato a svantaggio della ricorrente.

35. La Corte ribadisce che soltanto imperativi motivi di interesse generale avrebbero potuto giustificare tale ingerenza da parte del legislatore. Il rispetto dello stato di diritto e la nozione di equo processo impongono che qualsiasi motivazione addotta per giustificare tali misure sia trattata con il massimo grado di circospezione possibile (si veda Maggio e altri c. Italia, nn. 46286/09 e 4 altri, § 45, 31 maggio 2011).

36. Il Governo ha ripetutamente sostenuto che vi era un filone giurisprudenziale minoritario sfavorevole a persone che si trovavano nella medesima situazione della ricorrente, come confermato dalla Corte costituzionale nella sua sentenza del 2011 (si veda il paragrafo 22 supra). La Corte rileva che all’epoca della promulgazione della legislazione contestata la Corte dei Conti nella sua più elevata composizione (le Sezioni Riunite) aveva confermato l’approccio a favore della ricorrente nella sentenza n. 8/QM/2002. Dato il contesto, la Corte non può discernere perché le decisioni giudiziarie contrastanti, soprattutto successivamente alla sentenza pronunciata dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, avrebbero richiesto un intervento legislativo mentre pendevano dei procedimenti. Essa ribadisce che tali divergenze sono una conseguenza intrinseca di qualsiasi sistema giudiziario basato su una rete di tribunali che esercitano un controllo nell’ambito della loro giurisdizione territoriale, e il ruolo di una corte suprema è precisamente quello di dirimere i conflitti tra le decisioni dei tribunali di grado inferiore (si veda, mutatis mutandis, Zielinski e Pradal e Gonzalez e altri, sopra citata, § 59).

37. In ordine al rilievo del Governo secondo il quale la legge era stata necessaria per fare fronte al pesante squilibrio finanziario, la Corte ha precedentemente ritenuto che le considerazioni finanziarie non possono, da sole, autorizzare il legislatore a sostituirsi ai giudici al fine di determinare le controversie (si vedano Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, § 132, CEDU 2006-V, e Cabourdin c. Francia, n. 60796/00, § 37, 11 aprile 2006).

38. Quanto al rilievo del Governo secondo il quale la legge era stata necessaria per pervenire a un sistema pensionistico omogeneo, in particolare abolendo un regime che favoriva i pensionati del settore pubblico rispetto agli altri, benché la Corte accetti che si tratti di un motivo di un qualche interesse generale, essa non è persuasa del fatto che esso fosse sufficientemente imperativo da superare i pericoli inerenti all’utilizzo della legislazione retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia pendente (si veda Arras e altri c. Italia, n. 17972/07, § 49, 14 febbraio 2012).

39. La Corte ritiene inoltre che il caso di specie differisca dalla causa National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society and Yorkshire Building Society, citata dal Governo (si veda il paragrafo 32 supra), nella quale l’instaurazione di un procedimento da parte delle società ricorrenti era stata ritenuta equivalente a un tentativo di approfittare della vulnerabilità delle autorità derivante da imperfezioni tecniche della legge, e di frustrare l’intenzione del Parlamento (si veda National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society and Yorkshire Building Society, sopra citata, §§ 109 e 112). Il caso di specie differisce anche dalla causa OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri, citata anch’essa dal Governo (si veda il paragrafo 32 supra), nella quale i ricorrenti avevano tentato di trarre profitto in conseguenza di una lacuna della legge, cui l’ingerenza legislativa era finalizzata a porre rimedio. Nelle summenzionate due cause, i giudici nazionali avevano riconosciuto le carenze della legge in questione e l’azione dello Stato per porre rimedio alla situazione era prevedibile (si vedano National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society and Yorkshire Building Society, sopra citata, § 112, e OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri, sopra citata, § 72). Tuttavia, nel caso di specie, la legge non presentava considerevoli difetti.

40. Dato il contesto, anche assumendo che la legge avesse tentato di reintrodurre l’originaria intenzione del legislatore, la Corte ritiene che il fine di armonizzare il sistema pensionistico, benché nell’interesse generale, non fosse sufficientemente imperativo da superare i pericoli inerenti all’utilizzo di una legislazione retroattiva, che influenza una controversia pendente. Invero, anche accettando che lo Stato stesse tentando di risolvere una situazione che non intendeva originariamente creare, la Corte rileva che esso avrebbe potuto farlo senza ricorrere a un’applicazione retroattiva della legge.

41. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Conseguentemente, essa rigetta l’eccezione preliminare del Governo secondo cui la doglianza era manifestamente infondata.

II. L’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

42. L’articolo 41 della Convenzione prevede:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.”

A. Il danno

43. La ricorrente ha chiesto 98.435,82 euro (EUR) per il danno patrimoniale. Ha chiesto anche il riconoscimento del danno non patrimoniale quale risarcimento per le sofferenze emotive subite.

44. Il Governo ha contestato l’importo richiesto dalla ricorrente per il danno patrimoniale. Non ha formulato alcun commento in ordine al danno non patrimoniale.

45. La Corte osserva che, nel caso di specie, il riconoscimento di un’equa soddisfazione può basarsi unicamente sul fatto che la ricorrente non ha beneficiato delle garanzie di cui all’articolo 6 in ordine all’equità dei procedimenti. Benché la Corte non possa formulare ipotesi in ordine all’esito del giudizio se la situazione fosse stata diversa, essa non considera irragionevole ritenere che la ricorrente abbia subito una perdita di opportunità concrete (si vedano Maggio e altri, sopra citata, § 80, e Arras e altri, sopra citata, § 88). A ciò deve essere aggiunto il danno non patrimoniale, che la constatazione di violazione, riconosciuta nella presente sentenza, non è sufficiente a indennizzare. Deliberando in via equitativa come richiesto dall’articolo 41, la Corte accorda alla ricorrente EUR 9.700 per il danno patrimoniale ed EUR 6.000 per il danno non patrimoniale, oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta.

B. Le spese

46. La ricorrente ha chiesto anche il rimborso delle spese sostenute dinanzi alla Corte. Non ha quantificato tale pretesa né ha fornito alla Corte alcuna documentazione giustificativa.

47. Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso delle spese soltanto nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità e il loro importo sia ragionevole (si veda Merabishvili c. Georgia [GC], n. 72508/13, § 370, 28 novembre 2017). Nel caso di specie, la Corte osserva che la domanda della ricorrente di rimborso delle spese non soddisfa manifestamente tali requisiti, in quanto non è quantificato l’importo preteso ed esso non è neanche dimostrato da alcuna documentazione giustificativa. La Corte rigetta pertanto la domanda formulata a tale titolo.

C. Gli interessi moratori

48. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ

Rigetta l’eccezione formulata dal Governo secondo la quale la ricorrente non aveva subito un significativo svantaggio;

Unisce al merito l’eccezione formulata dal Governo secondo la quale il ricorso è manifestamente infondato e la rigetta;

Dichiara il ricorso ricevibile;

Ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

Ritiene

che lo Stato convenuto debba versare alla ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà diventata definitiva in applicazione dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme, al corso applicabile alla data del versamento:

EUR 9.700 (novemilasettecento euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno patrimoniale;

EUR 6.000 (seimila euro), oltre l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno non patrimoniale;

che, a decorrere dalla scadenza dei summenzionati tre mesi e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;

Rigetta la domanda di equa soddisfazione formulata dalla ricorrente per il resto.

Fatta in inglese e notificata per iscritto in data 17 febbraio 2022, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.

Marko Bošnjak
Presidente

Renata Degener
Cancelliere

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla dott.ssa Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court’s database HUDOC.

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