Cani maltrattati, sì al sequestro preventivo in pendenza del processo (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 maggio 2020, n. 16480).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Rel. Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia;

nel processo a carico di:

Niero Dino, nato a Mirano il 18-04-1939,

Giusto Evelina, nata a Mirano il 22-01-1941;

avverso il decreto del 13-07-2019 del G.I.P. presso il Tribunale di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Fabio Zunica;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento del 13 luglio 2019, con cui il G.I.P. presso il Tribunale di Venezia, nell’ambito del procedimento penale a carico di Dino Niero ed Evelina Giusto, dopo aver convalidato il sequestro d’urgenza operato dalla P.G., ha contestualmente disposto il sequestro preventivo di 16 cani, di cui 9 iscritti all’anagrafe canina di proprietà di Evelina Giusto, 4 di proprietà di terze persone e 3 non iscritti all’anagrafe canina, prevedendo la facoltà, per l’Autorità chiamata a eseguire il sequestro, di provvedere ad affidamento provvisorio ai privati, in attesa di individuare un ente o un’associazione disponibili ad accoglierli, ai sensi dell’art. 19 quater disp. coord. cod. pen., dovendosi precisare che Niero e la Giusto sono indagati in ordine al reato ex art. 727 comma 2 cod. pen., a loro contestato per aver detenuto, nelle pertinenze della loro abitazione, 16 cani adulti di razza pastore tedesco in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze.

Con l’unico motivo di ricorso, il Procuratore censura l’ordinanza impugnata nella parte in cui non ha accolto, limitatamente ai 9 cani di proprietà dell’indagata Evelina Giusto, la richiesta di autorizzazione a un affido definitivo dei cani, non appena sarebbe intervenuto il giudicato cautelare sul sequestro.

Osserva in particolare il ricorrente che, per effetto della legge n. 189 del 2004, gli animali sono assimilabili non più alle cose ma alle persone, tanto è vero che, a loro tutela, è stato previsto un istituto, l’affidamento, che è lo stesso previsto per i minori, per cui, nell’ottica di contenere le spese di custodia secondo il meccanismo di cui all’art. 151 comma 3 del Testo Unico delle spese di giustizia e al contempo di favorire l’inserimento degli animali in un ambiente familiare, deve potersi consentire, prima ancora della definizione del procedimento penale, l’affidamento degli animali sequestrati ai privati, magari imponendo a costoro una eventuale cauzione, permettendo così all’imputato assolto di rivalersi sulla somma depositata a titolo cauzionale;

del resto, conclude il ricorrente, non è concepibile una “adozione provvisoria” di un cane da parte di un privato, posto che i legami che si instaurano tra cani e persone non sono “a tempo” e comunque nessun privato accetterebbe l’affidamento di un cane con il rischio di perderlo in futuro.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. Al fine di inquadrare il tema oggetto di giudizio, occorre innanzitutto premettere che la tutela degli animali ha ricevuto nel corso degli anni un sempre maggiore riconoscimento, tanto a livello internazionale quanto sul piano nazionale.Sotto il primo aspetto, devono richiamarsi sia la Dichiarazione Universale dei diritti degli animali, proclamata a Parigi il 15 ottobre 1978, il cui art. 1 afferma che “tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza”, sia la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, firmata a Strasburgo il 13 novembre 1987, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 201 del 2010, avendo la Convenzione stabilito che “l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi”, rimarcando l’importanza degli animali da compagnia “a causa del contributo che essi forniscono alla qualità della vita e dunque il loro valore per la società”, sia l’art. 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato dall’Italia con la legge n. 130 del 2008, che ha riconosciuto gli animali come esseri “senzienti”, imponendo di conseguenza al legislatore comunitario di tenere in considerazione tale status giuridico nel processo di formazione delle norme comunitarie.

Dal punto di vista della legislazione interna, una maggiore attenzione alla realtà degli animali si è manifestata agli inizi degli anni novanta, allorquando sono state approvati due importanti interventi normativi, ovvero la legge quadro n. 281 del 1991, volta a proteggere gli animali da compagnia e a prevenire il fenomeno del randagismo, e la legge n. 473 del 1993 che ha tutelato gli animali, domestici e selvatici, da ogni forma di maltrattamento, incrudelimento e uccisione gratuita, non più semplicemente in via indiretta, come avveniva in passato, nel presupposto che detta condotta offendeva il sentimento degli uomini, ma in via diretta, nella convinzione che il maltrattamento è comportamento contro altro essere vivente.

Non c’è dubbio, tuttavia, che un momento di profonda svolta in materia si è avuto con la legge n. 189 del 20 luglio 2004, con cui è stata superata l’impostazione originaria del codice penale, che relegava la tutela degli animali, dal punto di vista repressivo, alla sola previsione contravvenzionale di cui all’art. 727 cod. pen. Viceversa, la legge n. 189 del 2004, espressione di una maggiore sensibilità verso il mondo animale, ha introdotto quattro nuove fattispecie delittuose (art. 544 bis, 544 ter, 544 quater e 545 quinquies cod. pen.), mediante la creazione di un titolo autonomo (il IX bis, dedicato ai “delitti contro il sentimento per gli animali”) del libro secondo del codice penale, modificando altresì il testo dell’art. 727 cod. pen., ora rubricato “abbandono di animali”, inserendo inoltre una nuova previsione, l’art. 544 sexies cod. pen., secondo cui, in caso di condanna o di applicazione di pena concordata per i delitti previsti dagli art. 544 ter (maltrattamento di animali), 544 quater (organizzazione di spettacoli che comportino sevizie o strazio per gli animali) e 545 quinquies (promozione di combattimenti tra animali che ne mettano in pericolo l’integrità fisica), è prevista la confisca obbligatoria dell’animale, salvo che appartenga a persona estranea al reato, non essendo tale previsione operante per l’art. 544 ter cod. pen., che sanziona il delitto di uccisione di animale, nell’ovvio presupposto che in tal caso che non vi siano animali sopravvissuti da tutelare.

Parallelamente, sono state introdotte due nuove disposizioni di coordinamento del codice penale, ovvero gli art. 19 ter e 19 quater, il secondo dei quali, rubricato “affidamento degli animali sequestrati o confiscati”, nell’ottica di approntare una più efficace protezione ai destinatari delle condotte illecite, prevede espressamente che gli animali oggetto di provvedimenti di sequestro o di confisca sono affidati ad associazioni o enti che ne facciano richiesta, individuati con decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro dell’interno.

Così delineato il quadro normativo di riferimento, deve innanzitutto precisarsi che, nonostante la previsione testuale dell’art. 544 sexies cod. pen., che non richiama l’art. 727 cod. pen., invero anche il comportamento integrante la nuova fattispecie contravvenzionale può dare luogo alla misura ablativa della confisca, avendo questa Corte precisato (Sez. 4, n. 18167 del 31/01/2017, Rv. 269805), con orientamento invero richiamato dal G.I.P. nel provvedimento impugnato, che la detenzione di animali nelle condizioni previste dal comma 2 della predetta norma (“condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”), costituendo reato, sia pure contravvenzionale, rientra comunque nell’ipotesi di confisca obbligatoria ex art. 240 comma 2 n. 2 del codice penale, in forza del quale deve sempre essere ordinata la confisca delle cose, la detenzione delle quali costituisca reato, a meno che esse non appartengano a persone estranee al reato.

2. Tanto premesso, occorre a questo punto esaminare la questione se, operato il sequestro degli animali che si assumono maltrattati o comunque destinatari di una delle altre condotte illecite penalmente sanzionate, sia possibile disporne l’affidamento ai privati prima della definizione del procedimento penale.

Tale quesito ha già ricevuto risposta positiva dalla giurisprudenza di legittimità, essendo stato condivisibilmente precisato (Sez. 3, n. 22039 del 21/04/2010, Rv. 247656) che l’affidamento provvisorio a privati degli animali oggetto di sequestro, effettuato nel corso del processo in attesa di individuare gli enti e associazioni che si dichiarino disponibili ad accoglierli, non contrasta con la previsione di cui all’art. 19 quater disp. att. cod. pen., che non pone affatto limitazioni al riguardo.

Ciò posto, il Procuratore ricorrente, contestando la decisione di segno diverso assunta dal G.I.P., sostiene che in realtà, ancor prima che intervenga la statuizione sulla confisca e che questa diventi irrevocabile, dovrebbe essere consentito disporre l’affidamento in via definitiva degli animali ai privati disponibili ad accoglierli, dovendosi ritenere sufficiente la formazione del “giudicato cautelare”. Orbene, la proposta interpretativa del ricorrente non può essere condivisa.

Ed invero, prima che l’accertamento sulla responsabilità degli imputati (nel caso di specie, a quanto risulta, ancora indagati) non diventi irrevocabile, disporre definitivamente degli animali di loro proprietà, in assenza di una eventuale statuizione di confisca, non può considerazione operazione legittima, alla luce della presunzione di non colpevolezza prevista dall’art. 27 comma 3 della Costituzione.

Non può affatto escludersi, infatti, che il soggetto accusato di determinate condotte in danno degli animali sia assolto all’esito del giudizio, risultando pertanto pienamente legittimato a ottenere la restituzione degli animali sequestrati, effetto questo che non sarebbe possibile ove, in una fase interlocutoria del procedimento penale, si disponga l’affidamento definitivo degli animali solo in presenza di un cd. “giudicato cautelare”, non certo equiparabile alla nozione tecnica di irrevocabilità dell’affermazione di colpevolezza dell’imputato, ex art. 648 cod. proc. pen.

Dunque, l’esigenza di assicurare agli animali sequestrati un’adeguata protezione mediante l’affidamento temporaneo a soggetti privati pronti a prestare loro accoglienza, non può essere estesa fino al punto di sacrificare il principio per cui, fino all’accertamento irrevocabile della responsabilità penale dell’imputato, non può procedersi all’ablazione definitiva di quanto nella sua disponibilità.

Deve pertanto ritenersi legittima la decisione del G.I.P. di consentire affidamenti soltanto provvisori degli animali di proprietà dell’indagata, non risultando decisiva l’obiezione del ricorrente secondo cui, in caso di restituzione dell’animale all’avente diritto ove questi sia assolto, verrebbe spezzato il legame affettivo instauratosi tra l’animale e il nuovo detentore, posto che il medesimo discorso può legittimamente valere anche al contrario, essendo parimenti ingiusto che non venga ripristinato il rapporto tra l’animale e il suo proprietario, qualora questi, all’esito del giudizio, venga riconosciuto estraneo agli addebiti a suo carico inizialmente formulati.

Né il deposito di una cauzione da parte dell’affidatario dell’animale può ritenersi idoneo a sanare la frattura della regola generale secondo cui, in caso di definitiva assoluzione, quanto in sequestro deve essere restituito all’imputato proprietario, a meno che non venga rilevata una intrinseca illiceità del bene oggetto di cautela.

Allo stesso modo, non appare pertinente l’argomentazione del ricorrente secondo cui il privato sarebbe scoraggiato dalla prospettiva di un affidamento temporaneo dell’animale, non solo perché non può escludersi a priori che l’affidamento non diventi definitivo all’esito del procedimento, ma anche perché la decisione di prendersi cura di un animale che si assume destinatario di condotte illecite non può essere condizionata né da calcoli preventivi circa la durata dell’affidamento, né e soprattutto da forzature dei principi che regolano del procedimento penale, in applicazione peraltro di canoni ermeneutici dettati dalla Carta costituzionale.

Quanto poi al richiamo alla disciplina dettata dall’art. 151 comma 3 del Testo Unico sulle spese di giustizia, che limita la possibilità di vendita da parte del giudice nel caso in cui i beni non possano essere custoditi senza pericolo di deterioramento o senza rilevante dispendio, deve osservarsi che nella specie non risultano ricorrere le condizioni indicate e, comunque, la ratio che accomuna le due ipotesi attiene a finalità diverse; come si chiarisce nella relazione ministeriale illustrativa, infatti, la disposizione del comma 3 dell’art. 151 del T.U. sulle spese di giustizia amplia la previsione dell’art. 260 comma 3 cod. proc. pen., inserendo una valutazione di economicità rispetto al costo di custodia e alla svalutazione del bene da valutare in alternativa alla deperibilità del bene che attiene, invece, alla utilizzabilità del bene stesso, con finalità evidentemente diversa da quella perseguita nella specie.

3. In conclusione, non c’è dubbio che quella degli affidamenti temporanei ai privati degli animali oggetto di cautela reale costituisce, nel corso del procedimento penale, una soluzione efficace al fine di assicurare tutela immediata agli animali, in assenza di tempestive e adeguate iniziative da parte delle associazioni a ciò preposte o del Comune, quale ente che vanta una posizione di garanzia rispetto al benessere degli animali presenti sul territorio (su quest’ultimo aspetto, cfr. la già citata Sez. 4, n. 18167 del 31/01/2017, Rv. 269805);

tuttavia, in assenza di previsioni normative di segno diverso, non può sostenersi che tale affidamento si sottragga al carattere della provvisorietà che connota le statuizioni che intervengono nelle fasi antecedenti alla formale definizione del procedimento penale, dovendosi a ciò solo aggiungere che, in ogni caso, la natura provvisoria dell’affidamento dell’animale sequestrato in pendenza del procedimento penale, nel contesto delle tutele allo stato disponibili, non è di per sé suscettibile, solo per la sua limitazione temporale, di indebolire le esigenze di tutela degli animali cui è ispirata la disciplina introdotta dalla legge n. 189 del 2004, dovendo ogni soluzione essere parametrata alla fase del procedimento penale in cui viene adottata.

Alla stregua di tali considerazioni, deve quindi ribadirsi la legittimità della decisione adottata dal G.I.P., in quanto coerente con il contesto normativo sopra delineato.

Di qui l’inammissibilità del Pubblico Ministero.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14.11.2109.

Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2020.

SANTENZA – copia non ufficiale -.