Cimeli di D’Annunzio, contraffazione senza attenuanti (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 14 aprile 2020, n. 12025).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LIBERATI Giovanni – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi proposti da

1. (OMISSIS) Raffaello Giulio, nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

2. (OMISSIS) Ilaria, nata a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza in data 08/04/2019 della Corte d’appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Antonio Corbo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

uditi, per le parti civili, l’avvocato Enrico Maria (OMISSIS), quale difensore della Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”, l’avvocato Tiziana (OMISSIS), quale difensore di Roberto (OMISSIS), e l’avvocato Bruno (OMISSIS) dell’Avvocatura generale dello Stato, quale difensore del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, che hanno chiesto il rigetto dei ricorsi;

uditi, per i ricorrenti, gli avvocati Maurizio (OMISSIS) e Silvia Maria (OMISSIS), che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 8 aprile 2019, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Como, per quanto di interesse in questa sede, ha:

-) confermato la dichiarazione di penale responsabilità di Raffaello Giulio (OMISSIS) e Ilaria (OMISSIS) per i reati di cui all’art. 178 del d.lgs n. 42 del 2004, commessi a far data dal 9 ottobre 2011 e fino all’aprile 2013, salvo che con riferimento al bene n. 24 e al bene n. 44, in relazione ai quali è stata pronunciata sentenza di assoluzione, rispettivamente, perché il fatto non sussiste e per non aver commesso il fatto;

-) dichiarato non doversi procedere nei confronti dei medesimi per prescrizione con riguardo alle condotte poste in essere fino all’8 ottobre 2011;

-) ridotto la pena per entrambi gli imputati ad un anno e dieci mesi di reclusione e 2.500 euro di multa con concessione della sospensione condizionale, e diniego delle circostanze attenuanti generiche;

-) ridotto l’entità dell’ammontare del danno liquidato in favore delle parti civili Fondazione “Il Vittoriale”, Roberto (OMISSIS) e Giovanni Maria (OMISSIS).

Le condotte in contestazione, e in relazione alle quali è stata pronunciata sentenza di condanna o di non doversi procedere per prescrizione, riguardano:

a) la contraffazione, alterazione e riproduzione, al fine di profitto, di opere ed oggetti riconducibili a Gabriele D’Annunzio;

b) la detenzione e messa in commercio o in circolazione, anche senza concorso nella contraffazione, di oggetti riconducibili a Gabriele D’Annunzio;

c) la autenticazione e l’accreditazione mendace degli oggetti riconducibili a Gabriele D’Annunzio e messi in commercio.

Gli oggetti di cui all’imputazione, e in relazione ai quali è stata pronunciata condanna o sentenza di non doversi procedere per prescrizione, sono oltre quaranta.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe gli avvocati Silvia Maria (OMISSIS) e Maurizio (OMISSIS), quali difensori di fiducia di entrambi gli imputati, articolando sei motivi.

2.1. Con il primo motivo, si denuncia mancata assunzione di prova decisiva, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata ammissione di perizia.

Si deduce che illegittimamente la sentenza di appello, come già quella di primo grado, ha rigettato la richiesta della difesa di disporre perizia di ufficio circa la provenienza degli oggetti dalla mano di Gabriele D’Annunzio, accontentandosi delle consulenze prodotte dalle parti civili Fondazione “Il Vittoriale” e Giovanni Maria (OMISSIS).

Si osserva, in proposito, che l’accertamento richiesto è decisivo ai fini della ricostruzione del fatto ed era compatibile con i tempi di svolgimento del processo.

Si rappresenta, poi, che le consulenze di parte hanno concluso per il carattere apocrifo di tutte le scritture esaminate, mentre almeno per un bene, il n. 24, la sentenza di appello si è mostrata di diverso avviso, pronunciando assoluzione perché il fatto non sussiste e disponendo la restituzione dell’oggetto alla parte civile Roberto (OMISSIS); inoltre, per un altro bene, il n. 45, la consulenza effettuata su richiesta della parte civile (OMISSIS) ha ammesso la difficoltà di riconoscere il mendacio, anche da parte di un collezionista specializzato.

Si richiama, ancora, una decisione di legittimità la quale, sia pure in materia di responsabilità medica, ha ritenuto viziata una sentenza in cui l’unico supporto scientifico alla dichiarazione di responsabilità era costituito da una consulenza espletata su incarico della parte civile (il riferimento è a Sez. 4, n. 28102 del 2019).

2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo ancora alla mancata ammissione di perizia.

Si deduce che, se anche si ritenesse inammissibile il motivo di ricorso concernente la mancata assunzione di prova decisiva, non potrebbe essere seriamente negata la necessità di un accertamento peritale.

In particolare, si segnala, da un lato, che i consulenti hanno agito su richiesta di parti private attivatesi per conseguire un risarcimento pecuniario, e, dall’altro, che, in almeno un caso, quello relativo al bene n. 24, le conclusioni dei consulenti sono state ritenute fallaci dalla stessa sentenza di appello.

2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 42 cod. pen. e 174 d.lgs. n. 42 del 2004, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta sussistenza della materialità del fatto di contraffazione e dell’elemento psicologico dei reati ascritti.

Si deduce che, per quanto riguarda la condotta di contraffazione, la sentenza impugnata non indica alcun elemento rilevante, né è stato effettuato alcun accertamento peritale mediante scritture di comparazione; inoltre, la Corte d’appello si limita a definire generiche le testimonianze attestanti che gli imputati avevano acquistato i beni da terzi.

Si deduce, poi, per quanto attiene alle condotte di detenzione, messa in circolazione, autenticazione ed accreditazione mendace, che i giudici di merito presumono la mala fede per l’esperienza degli imputati in materia di opere dannunziane, ma non considerano che:

a) la Fondazione “Il Vittoriale” ha ritenuto la contraffazione degli oggetti in contestazione solo dopo la nomina di un perito grafologo;

b) in almeno un caso, quello relativo al bene n. 24, le conclusioni dei consulenti sono state ritenute fallaci dalla stessa sentenza di appello;

c) le indagini iniziarono proprio perché i ricorrenti misero in contatto il collezionista Roberto (OMISSIS) con la Fondazione “Il Vittoriale”, per consentirgli di far verificare la sua collezione.

2.4. Con il quarto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla ritenuta responsabilità per i reati relativi agli oggetti di cui ai punti 11-bis e 47 del capo A.

Si deduce, con riferimento ai beni di cui al n. 47, che gli stessi sono stati commercializzati su e-bay, che non risulta alcun elemento relativo al coinvolgimento degli imputati nella commercializzazione di questi beni e che nessuna risposta ha fornito sul punto la sentenza impugnata, nonostante l’espresso motivo di gravame (pag. 9 e ss. dell’atto di appello).

Si deduce, poi, con riferimento al bene di cui al n. 11-bis, che nessuna dedica o firma sono apposte su di esso, per cui nessuna contraffazione è ipotizzabile, da parte degli imputati o di terzi, e che nessuna risposta ha fornito sul punto la sentenza impugnata, nonostante l’espresso motivo di gravame (pag. 5 e 6 dell’atto di appello).

2.5. Con il quinto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.

Si deduce che la sentenza impugnata non ha considerato, ai fini della concessione delle attenuanti generiche, importanti comportamenti positivi degli imputati, come quello della spontanea consegna di gran parte degli oggetti ai Carabinieri, o, ancora, quello pur riferito in sentenza, del riacquisto dei beni venduti con certificazione di autenticità e risultati non autentici.

2.6. Con il sesto motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla determinazione del danno liquidato alle parti civili.

Si deduce che la sentenza impugnata ha liquidato, in modo del tutto immotivato, alla parte civile (OMISSIS) un danno morale di 1.700,00 euro, a fronte di un danno patrimoniale di 1.300,00 euro, alla parte civile (OMISSIS) un danno morale di 25.000,00 euro, a fronte di un danno patrimoniale di 25.000,00 euro, alla parte civile Fondazione “Il Vittoriale” un danno patrimoniale di 35.000,00 euro.

3. Hanno presentato memorie le parti civili Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” e Roberto (OMISSIS).

3.1. La memoria nell’interesse della Fondazione “Il Vittoriale”, a firma dell’avvocato Enrico Maria De (OMISSIS) replica puntualmente a tutte le censure formulate nei ricorsi dei due imputati.

In particolare, si segnala:

a) con riferimento al primo motivo, che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può essere censurata a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen.;

b) con riferimento al secondo motivo, che la valutazione circa la non necessità di un accertamento peritale costituisce giudizio di fatto, nella specie congruamente motivato, a maggior ragione per l’assenza di consulenze prodotte dagli imputati, e che l’esclusione della contraffazione per il bene n. 24 è frutto di un equivoco tra due volumi recanti il medesimo titolo, uno con dedica autentica, l’altro con dedica mendace;

c) con riferimento al terzo, al quarto ed al sesto motivo, che la sentenza impugnata indica compiutamente le ragioni da cui inferire la mala fede degli imputati circa la non autenticità delle opere, la contraffazione di tutti gli oggetti in contestazione, ivi compreso quello di cui al n. 11-bis, e la misura dei risarcimenti liquidati.

3.2. La memoria nell’interesse di Roberto (OMISSIS), a firma dell’avvocato Tiziana (OMISSIS) replica anch’essa a tutte le censure formulate nei ricorsi dei due imputati in termini analoghi a quelli esposti nella memoria nell’interesse della Fondazione “Il Vittoriale”.

In particolare, si sottolinea che le indagini compiute nelle consulenze sono state meticolose, che le relative conclusioni si fondano su elementi obiettivi, e che l’esclusione della contraffazione del bene n. 24 è frutto di un equivoco.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono fondati limitatamente al giudizio di responsabilità in ordine al bene di cui al n. 47 del capo A) ed alla determinazione dell’ammontare dei risarcimenti dovuti alle parti civili (OMISSIS) Roberto, (OMISSIS) Giovanni Maria e Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, mentre sono inammissibili nel resto.

2. Manifestamente infondate, innanzitutto, sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la mancata assunzione di prova decisiva con riferimento al rigetto della richiesta di perizia in ordine al carattere apocrifo o veridico delle scritture manoscritte attribuite a Gabriele D’Annunzio.

Invero, costituisce principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, enunciato di recente anche dalle Sezioni Unite, quello secondo cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (così Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270936-01).

Questo principio, inoltre, non risulta in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza della Corte EDU.

La Corte di Strasburgo, infatti, ha più volte precisato che «il diritto ad un processo equo non impone al Tribunale un obbligo di richiedere pareri di esperti o qualsiasi altra misura investigativa sulla base della semplice richiesta avanzata da una parte.

Laddove la difesa insista per ascoltare un testimone o assumere altre prove, spetta ai giudici nazionali decidere se è necessario o consigliabile acquisire tali prove per esaminarle nel processo» (cfr., nel testo tradotto in lingua italiana, Corte EDU, 12/05/2016, Poletan e Azirovik c. ex Repubblica jugoslava di Macedonia, ma anche Corte EDU, 04/04/2019, Hodzic c. Croazia).

3. Manifestamente infondate, se non addirittura prive di specificità sono le censure esposte nel secondo motivo, e che deducono vizio di motivazione con riguardo alla mancata ammissione di perizia, contestando la correttezza di un giudizio di condanna fondato su relazioni di consulenti incaricati dalle parti civili, e nonostante le relative conclusioni siano state smentite con riferimento al bene di cui al n. 24 dell’imputazione sub A), in ordine al quale la Corte d’appello ha escluso qualunque falsità.

In primo luogo, il riferimento all’esclusione del mendacio con riguardo al bene di cui al n. 24 dell’imputazione sub A), costituito dall’edizione a stampa dell’opera di Gabriele D’Annunzio “Laudi del cielo e del mare della terra degli eroi”, volume quarto, con dedica autografa manoscritta «All’amico Ottorino […]», non è di per sé elemento da solo sufficiente ai fini della contestazione dell’attendibilità delle conclusioni dei consulenti tecnici delle parti civili.

Da un lato, infatti, la sentenza impugnata ha sì escluso la sussistenza del fatto di reato con riguardo a tale bene perché lo stesso è stato riconosciuto autentico e restituito alla parte civile Roberto (OMISSIS), ma non ha contestato specificamente le risultanze delle consulenze tecniche in proposito, né ha evidenziato particolari criticità degli accertamenti specialistici.

Dall’altro, poi, l’eventuale errore sull’origine di un unico oggetto non costituisce, di per sé, e senza l’emergenza di specifiche ragioni di criticità degli accertamenti specialistici, elemento indicativo dell’inaffidabilità delle indagini relative a tantissimi altri oggetti.

In secondo luogo, i ricorsi, salvo un unico riferimento concreto, quello relativo alla esclusione della sussistenza del fatto con riguardo al bene di cui n. 24 dell’imputazione sub A), formulato però senza alcuno specifico rilievo di tipo tecnico o metodologico, contestano l’affidabilità delle conclusioni dei consulenti tecnici in termini assolutamente generali e di principio, e precisamente in quanto provenienti da esperti incaricati dalle parti private.

In terzo luogo, come meglio si chiarirà nel successivo § 4, le conclusioni in ordine alla falsificazione delle scritture manoscritte attribuite a Gabriele D’Annunzio non sono fondate solo sulle relazioni dei consulenti tecnici delle parti civili, ma anche, e soprattutto, su una vastissima gamma di elementi fattuali, alcuni dei quali altamente indicativi del mendacio, pur se esaminati singolarmente.

4. Prive di specificità e, insieme, diverse da quelle consentite in sede di legittimità, sono le censure enunciate nel terzo motivo, e che attengono sia alla sussistenza del fatto di contraffazione, sia, più in generale, alla configurabilità dell’elemento psicologico necessario per l’integrazione del reato.

4.1. La sentenza impugnata ha ricostruito i fatti, tanto nella loro consistenza materiale, quanto con riguardo all’elemento psicologico, procedendo dapprima ad ampi richiami delle motivazioni della sentenza impugnata e poi esponendo proprie osservazioni e considerazioni.

4.1.1. Nel sintetizzare la pronuncia di primo grado, la Corte d’appello indica come il Tribunale ha precisato l’oggetto delle contraffazioni e delle autenticazioni in contestazione, ha descritto lo svolgimento delle indagini ed ha dato conto degli elementi su cui ha fondato le sue conclusioni.

Secondo la sentenza di primo grado, le falsificazioni riguardavano tutte le dediche e gli autografi riferiti a Gabriele D’Annunzio presenti sui beni in contestazione, nonché anche alcuni di questi oggetti nella loro materialità.

Si rappresenta, poi, che, come rileva il Tribunale, le indagini erano iniziate in quanto Roberto (OMISSIS) aveva sottoposto la sua collezione, composta di circa 500 oggetti riferibili a Gabriele D’Annunzio, all’esame della Fondazione “Il Vittoriale”, ed era così emersa la contraffazione di ben ventiquattro di essi, tutti provenienti dalla libreria “(OMISSIS)”, in ogni caso con riferimento alle dediche ed agli autografi, e in alcune occasioni anche in ordine ai beni nella loro materialità.

Quanto agli elementi da cui inferire la contraffazione dei beni e il dolo degli imputati, si rileva che la sentenza di primo grado ha evidenziato molteplici elementi testimoniali, oltre che le risultanze delle consulenze tecniche.

Tra gli elementi testimoniali, si richiamano:

a) le dichiarazioni del teste (OMISSIS), il quale ha riferito che gli imputati, all’atto della cessione dei beni, gli consegnavano un expertise per validare l’autenticità degli stessi, che egli aveva appreso delle contraffazioni quando aveva sottoposto i cimeli alla Fondazione “Il Vittoriale”, e che, in particolare, osservando la fotografia di cui al n. 10 dell’imputazione sub A, era agevole constatare come la stessa fosse una «mera stampa meccanica»;

b) le dichiarazioni del teste (OMISSIS), collezionista di oggetti dannunziani, il quale ha riferito di aver verificato che alcuni degli oggetti indicati su un volantino diffuso dalla libreria “(OMISSIS)” nel 2012, erano precedentemente in vendita sul sito eBay ed erano stati poi acquistati da un account riferibile alla ricorrente Ilaria (OMISSIS), e che, in particolare, uno di questi oggetti, un pugnale di ardito (di cui al n. 46 dell’imputazione sub A), poi acquistato da (OMISSIS), recava un motto ed una firma di D’Annunzio non presenti quando il bene era in vendita sul sito eBay;

c) le dichiarazioni del teste (OMISSIS), il quale ha dichiarato di aver venduto sul sito eBay, all’account di Ilaria (OMISSIS), il volantino antigiolittiano di cui al n. 11-bis dell’imputazione sub A, precisando che su tale bene non vi era alcuna firma di D’Annunzio;

d) le dichiarazioni del teste (OMISSIS), il quale ha dichiarato di aver venduto sul sito eBay, all’account di Ilaria (OMISSIS), alcune fotografie, tra cui quella di cui al n. 9 dell’imputazione sub A, precisando che su tali beni non vi erano né autografi, né dediche;

e) le dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno affermato di aver acquistato dalla libreria “(OMISSIS)” rispettivamente, i beni di cui ai nn. 42 e 43 dell’imputazione sub A, e la lettera di cui al n. 43-bis dell’imputazione sub A, e di averli restituiti agli imputati, dopo averne contestato l’autenticità, ricevendo riconsegna di quanto pagato senza necessità di azioni legali;

f) le dichiarazioni della teste (OMISSIS), la quale ha affermato di aver acquistato dalla libreria “(OMISSIS)” la lettera di cui al n. 2 dell’imputazione sub A, con expertise di autenticazione, di aver ricevuto successivamente richiesta dagli imputati di restituirla, e di avere però preferito di consegnare il bene alle forze dell’ordine.

Per quanto riguarda dichiarazioni testimoniali di tipo più propriamente “tecnico”, si dà conto delle dichiarazioni della teste (OMISSIS), responsabile degli archivi della “Fondazione II Vittoriale”.

La teste, in particolare, ha dichiarato che:

a) sulla maggior parte dei beni erano riportate scritture e dediche non riconducibili alla grafia di Gabriele D’Annunzio, e però ad un’unica mano scrivente;

b) vari reperti recavano negli autografi date incompatibili con il motto utilizzato sulla carta intestata o con gli eventi biografici e storici del Poeta;

c) alcuni documenti risultavano formati su materiale anomalo, come fotografie stampate su carta moderna;

d) il pugnale di cui al n. 46 dell’imputazione sub A, poi acquistato da (OMISSIS), corrispondeva a quello in vendita sul sito eBay privo di incisioni;

e) ella aveva sconsigliato agli imputati di mettere in vendita il taccuino di cui al n. 4 dell’imputazione sub A), avendo dubbi sulla sua autenticità, ma non era stata ascoltato, in quanto l’oggetto era stato successivamente messo in commercio.

Con riguardo al contenuto delle deposizioni dei consulenti tecnici, si rappresenta che:

a) secondo il consulente tecnico della parte civile (OMISSIS), Raffaella (OMISSIS) (OMISSIS), la lettera di cui al n. 45 dell’imputazione sub A, acquistata dalla parte civile (OMISSIS), è falsa e la grafia apposta su di essa non è riconducibile a D’Annunzio;

b) secondo un consulente della Fondazione “Il Vittoriale”, Adele (OMISSIS), tutte le scritture verificate non solo erano apocrife, ma anche provenienti dalla stessa mano;

c) secondo un altro consulente della Fondazione “Il Vittoriale”, Giovanni (OMISSIS), gli inchiostri utilizzati per gli autografi non erano riferibili al periodo dannunziano, ed alcuni dei motti riportati sui beni erano stati realizzati con stampa di epoca successiva;

d) secondo un ulteriore consulente della Fondazione “Il Vittoriale”, Alessandro (OMISSIS), il pugnale di cui al n. 46 dell’imputazione sub A, poi acquistato da (OMISSIS), non solo corrispondeva a quello in vendita sul sito eBay privo di incisioni, ma era di modello comparso solo in epoca successiva alla morte di D’Annunzio e l’incisione presente su di esso era stata realizzata con una tecnica risalente agli anni Sessanta.

Si osserva, ancora, che la sentenza di primo grado ha esaminato anche la tesi difensiva, secondo cui i beni sarebbero stati acquistati dall’antiquario (OMISSIS), ed ha rilevato che la stessa è inattendibile perché:

a) non risultano annotazioni documentali né nei registri della libreria “(OMISSIS)” gestita dagli imputati, né nei registri dell’antiquario (OMISSIS);

b) la teste (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), ha ricordato come il marito fosse estremamente meticoloso nell’annotare acquisti e vendite nei registri;

c) i testi a difesa hanno reso deposizioni dal contenuto estremamente generico, e comunque prive di qualunque riferimento ai beni in contestazione.

La Corte d’appello, a questo punto, rileva che secondo il Tribunale:

a) i documenti in contestazione debbono ritenersi contraffatti perché incompatibili storicamente sia per la composizione chimica tanto della carta, quanto dell’inchiostro, sia per il tipo di stampanti utilizzate, e perché recanti motti in date discordanti con quelle tipicamente riconducibili a D’Annunzio, il quale utilizzava in determinai periodi carta intestata con determinati motti;

b) le contraffazioni erano tutte riconducibili alla stessa mano;

c) gli imputati avevano consapevolezza di tale contraffazione, sia perché particolarmente esperti in cimeli dannunziani, sia perché avevano posto in vendita il taccuino di cui al n. 4 dell’imputazione sub A inserendolo in catalogo come autentico, nonostante i dubbi formulati dalla responsabile degli archivi della “Fondazione Il Vittoriale”, sia perché avevano riacquistato beni già da essi medesimi ceduti a collezionisti con certificazione di autenticità e risultati non autentici, restituendo il denaro senza fornire giustificazioni;

d) la tesi difensiva dell’acquisto dei beni dall’antiquario (OMISSIS) non era attendibile, sia perché priva di supporto documentale e persino testimoniale, sia perché, anzi, espressamente smentita dalla moglie dell’antiquario e dalla constatazione per cui alcuni oggetti erano stati acquistati dall’odierna ricorrente Ilaria (OMISSIS) sul sito eBay.

4.1.2. Nell’esporre le sue considerazioni, la Corte d’appello riprende quanto sintetizzato con riferimento alla sentenza di primo grado.

Precisa, in particolare, quanto alla sussistenza dei fatti contestati, che:

a) le contraffazioni erano riferibili alla stessa mano perché costituivano «ripetizione meccanica di un modello»;

b) le fotografie relative ai beni oggetto di compravendita sul sito eBay erano facilmente scaricabili da tutti e, quindi, anche dal teste (OMISSIS) (o da altri);

c) i beni di cui ai nn. 9 e 11-bis dell’imputazione sub A non solo erano stati oggetto di compravendita sul sito eBay, dove risultavano sprovvisti di dediche, come aveva constatato il teste (OMISSIS), ma erano stati ceduti sicuramente privi di qualsiasi manoscrittura alla ricorrente (OMISSIS) da (OMISSIS) e (OMISSIS), in quanto entrambi avevano confermato detta circostanza a dibattimento;

d) il pugnale di cui al n. 46 dell’imputazione sub A era inciso con sistema di “brunitura a freddo”, introdotto in uso in epoca successiva alla morte di D’Annunzio, ed era quello acquistato sul sito eBay, in quanto non poteva essere confuso con altro pugnale, esibito in giudizio dalla difesa, ma incompatibile per le caratteristiche assolutamente diverse delle ossidazioni.

Osserva, quindi, in relazione all’elemento psicologico, che:

a) la tesi dell’acquisto dei beni da (OMISSIS) è smentita sia per l’assenza di risultanze documentali presso la ditta di quest’ultimo e presso la libreria “(OMISSIS)”, la quale avrebbe dovuto registrare i beni anche autonomamente, sia per l’implausibilità di pagamenti in contanti, così come asserito dagli imputati, stante l’entità cospicua degli importi versati, sia per l’accertato acquisto dei beni di cui ai nn. 11-bis, 9, 4 e 46 dell’imputazione sub A da altre fonti (rispettivamente, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), ed un sito presente su eBay);

b) gli imputati erano esperti in materia, e, quindi, non è credibile la mancata scoperta della falsità di un numero elevatissimo di beni tenuti a lungo a disposizione prima della rivendita;

c) gli imputati, addirittura, hanno posto in vendita i beni di cui ai nn. 4, 17 e 43-bis dell’imputazione sub A dopo aver appreso della loro sicura o probabile falsità (per il primo dalla dottoressa (OMISSIS), per il terzo avendo comunque provveduto al ritiro del cimelio presso il collezionista (OMISSIS)).

Segnala, infine, quanto al bene di cui al n. 24 dell’imputazione sub A, che lo stesso, già prima del dibattimento di primo grado, era stato riconosciuto autentico e restituito ad (OMISSIS).

4.2. Tanto premesso, le censure formulate nei ricorsi non si confrontano compiutamente con le motivazioni esposte dai giudici di merito, ma si limitano a sollevare solo critiche parziali.

In particolare, la doglianza concernente la mancata acquisizione di scritture di comparazione non evidenzia lacune istruttorie, perché resa irrilevante dal complesso degli elementi esposti; su tutto, non va trascurato che diversi beni sono stati acquistati dai ricorrenti sul sito eBay privi di annotazioni manoscritte e poi rivenduti dagli stessi con autografi e dediche apparentemente recati di pugno da D’Annunzio (il riferimento è al pugnale da ardito, al volantino antigiolittiano ed alla fotografia di cui, rispettivamente, ai nn. 46, 11-bis e 9 dell’imputazione sub A).

La doglianza relativa alla valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni dei testi a discarico, addotte a sostegno della tesi difensiva secondo cui gli imputati avevano acquistato i beni da (OMISSIS), non si confronta con quanto puntualmente indicato dalla Corte d’appello.

La sentenza impugnata, infatti, come si è detto ampiamente in precedenza, ha precisato, facendo specifico riferimento a concreti elementi di prova, che la prospettazione difensiva è smentita sia dall’assenza di qualunque risultanza documentale o finanziaria in proposito, sia dall’accertato acquisto di almeno quattro cimeli da altre fonti.

Più in generale, poi, la sussistenza di una condotta di contraffazione riferibile agli imputati con riferimento ai beni contestati è correttamente motivata, in linea generale, sulla base di due circostanze.

Da un lato, almeno tre beni furono acquistati dalla ricorrente Ilaria (OMISSIS) privi di annotazioni manoscritte e poi rivenduti da lei e dal marito, il coimputato (OMISSIS), con autografi e dediche apparentemente recati di pugno da D’Annunzio.

Dall’altro, le contraffazioni erano tutte riconducibili alla stessa mano.

Le doglianze relative alla omessa considerazione degli elementi ritenuti indicativi della buona fede dei ricorrenti, in realtà, si pongono come una richiesta di diversa valutazione delle risultanze istruttorie.

Le stesse, infatti, sono formulate a fronte di un’articolata e non puntualmente contrastata esposizione dei dati evidenziati dalla sentenza impugnata come univocamente indicativi del dolo; dati costituiti non solo dal mendacio degli imputati sulla provenienza dei beni, ma anche dalla messa in vendita, da parte dei medesimi, di alcuni di tali oggetti dopo esserne stati espressamente sconsigliati o dopo aver addirittura ritirato detti cimeli dal commercio.

Non va trascurato, inoltre, che gli imputati accompagnavano la cessione degli oggetti con propri expertises per validare l’autenticità degli stessi, e, quindi, dovevano soffermare approfonditamente la loro attenzione in ordine a tale profilo.

5. In parte manifestamente infondate ed in parte invece fondate sono le censure esposte nel quarto motivo, e che contestano l’omessa risposta alle censure formulate con l’atto di appello in relazione alla sussistenza della contraffazione per i beni di cui ai nn. 11 -bis e 47 dell’imputazione sub A.

5.1. Per quanto riguarda il bene di cui al n. 11-bis dell’imputazione sub A, la sentenza impugnata offre esplicite e precise indicazioni.

La Corte d’appello ha infatti precisato che il volantino antigiolittiano:

a) era stato messo in vendita su eBay senza alcuna dedica o autografia da Francesco (OMISSIS), come confermato sia da questo, sia dall’altro teste (OMISSIS);

b) era stato venduto sempre senza dedica o autografia dal medesimo (OMISSIS) all’imputata Ilaria (OMISSIS), la quale aveva usato per l’acquisto il suo account;

c) era stato infine pubblicizzato per la vendita nel catalogo delle libreria “(OMISSIS)”, facente capo agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), con l’apposizione di firma e dedica di D’Annunzio entrambe contraffatte.

5.2. Per quanto riguarda, invece, i beni di cui al n. 47 dell’imputazione sub A, invece, la sentenza impugnata è del tutto priva di specificazioni.

La Corte d’appello, infatti, non ha offerto alcuna espressa indicazione in proposito, nonostante il puntuale motivo di appello, che contestava, in particolare, come questi beni fossero stati commercializzati sul sito e-bay, e come non risultasse alcun elemento relativo al coinvolgimento degli imputati nella commercializzazione di tali oggetti.

6. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel quinto motivo, e che contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la determinazione della pena, denunciando l’omessa considerazione di elementi favorevoli agli imputati.

6.1. Per quanto riguarda il primo profilo, va rilevato che, secondo un consolidato principio nella giurisprudenza di legittimità, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899- 01, e Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244-01).

Nella specie, la sentenza impugnata, per escludere le circostanze attenuanti generiche, ha valorizzato la «pluralità considerevole di beni, riferiti ad un poeta di particolare notorietà (recando così danno al patrimonio culturale nazionale), la protrazione della condotta per un lungo arco temporale, la commissione del fatto nell’esercizio di un’attività commerciale, ed anche nei confronti di clienti con cui si era instaurato un particolare rapporto di fiducia (come (OMISSIS))».

La stessa, quindi, anche se non ha dato rilievo alle circostanze indicate dai ricorrenti, come la spontanea consegna dei beni ai Carabinieri e del riacquisto di oggetti contraffatti da compratori inconsapevoli, ha comunque esposto indicazioni congrue ed articolate per giustificare il diniego del beneficio richiesto.

6.2. Per quanto riguarda il secondo profilo, è utile premettere che, in giurisprudenza, è costante l’indirizzo in forza del quale non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (cfr. per tutte, Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Del Papa, Rv. 276288-01, e Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01).

Nella specie, la pena base è stata fissata in misura ampiamente inferiore alla media edittale per quanto concerne la misura della reclusione e molto contenuti sono gli aumenti per la continuazione.

Invero, la sentenza impugnata ha fissato perché «congruo» un trattamento sanzionatorio in cui la pena base è pari ad un anno e sei mesi di reclusione e 2.000,00 euro di multa, e l’aumento per la continuazione è pari a quattro mesi di reclusione e 500,00 euro di multa.

La disposizione incriminatrice prevede come limiti edittali la reclusione da tre mesi fino a quattro anni e con la multa da euro 103 a euro 3.099. Di conseguenza, la motivazione esposta è sicuramente soddisfacente.

Né può dirsi lacunosa con riferimento alla pena pecuniaria: questa, infatti, è comunque contenuta in termini assoluti ed ha rilievo ampiamente secondario, nella determinazione del trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie, rispetto alla pena detentiva.

7. Fondate, infine, sono le censure relative alla determinazione del danno liquidato alle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”.

Indubbiamente, il danno morale deve essere liquidato sulla base di criteri equitativi; occorre però un’esposizione apprezzabile del percorso logico posto a base della decisione (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 48086 del 12/09/2018, B., Rv. 274229-01, e Sez. 4, n. 18099 del 01/04/2015, Lucchelli, Rv. 263450-01).

Il danno patrimoniale, invece, richiede una puntuale dimostrazione delle sue componenti. Non a caso, infatti, in giurisprudenza si è affermato che il giudice penale, nel condannare l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, può procedere alla liquidazione immediata di una sola tipologia di danno, in relazione alla quale sussistono in atti gli elementi sufficienti per deliberare, rimettendo le parti dinanzi al giudice civile per ciò che concerne le eventuali altre tipologie di danno (così Sez. 6, n. 2545 del 21/12/2009, dep. 2010, Bazzano, Rv. 245853-01, relativamente a fattispecie in cui il giudice aveva provveduto alla definizione del danno morale con la sentenza di condanna ed aveva invece rinviato al giudice civile per la liquidazione di quello patrimoniale).

Nella specie, la sentenza impugnata:

a) con riferimento alla parte civile (OMISSIS), ha liquidato il danno patrimoniale in 1.300,00 euro, sulla base delle indicazioni della parte civile, ed il danno morale in euro 1.700,00 perché ammontare «congruo»;

b) con riferimento alla parte civile (OMISSIS), ha liquidato il danno patrimoniale in «circa 25.000 euro», ed il danno patrimoniale in euro 25.000,00 perché ammontare «congruo»;

c) con riferimento alla parte civile Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani”, ha liquidato il danno patrimoniale in 35.000,00 euro, sulla base delle indicazioni della parte civile, ed il danno patrimoniale in euro 20.000,00 perché somma complessivamente «adeguata».

Così esposti in sentenza, i criteri seguiti dalla Corte d’appello risultano privi di specifica indicazione delle componenti relative al danno patrimoniale e affidati a valutazioni del tutto impalpabili quanto al danno patrimoniale.

Tra l’altro, non è agevole comprendere perché per la parte civile Staffieri il danno morale è superiore a quello patrimoniale, per la parte civile (OMISSIS) è pari e per la parte civile Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” è notevolmente inferiore.

Occorre aggiungere, ancora, che l’ammontare del risarcimento del danno nei confronti della Fondazione appena precisata potrebbe essere condizionato dall’esito del giudizio con riferimento alla contestazione relativa al bene di cui al n. 47 dell’imputazione sub A.

8. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio limitatamente al giudizio di responsabilità in ordine al bene di cui al n. 47 del capo A e alla determinazione dell’ammontare dei risarcimenti dovuti alle parti civili Roberto (OMISSIS), Giovanni Maria (OMISSIS) e Fondazione II Vittoriale degli Italiani.

Il giudice del rinvio, quanto al primo profilo, provvederà ad esaminare compiutamente le censure formulate nell’atto di appello in ordine alla sussistenza del fatto di reato relativamente ai beni di cui al n. 47 del capo A, alla riferibilità dello stesso agli imputati ed alla integrazione del dolo.

Il medesimo giudice del rinvio, inoltre, provvederà alla determinazione del risarcimento spettante alle partì civili Roberto (OMISSIS), Giovanni Maria (OMISSIS) e Fondazione II Vittoriale degli Italiani individuando ed indicando congrui criteri di apprezzamento dell’entità economica dei danni patrimoniali e non patrimoniali, nonché, con riferimento alla Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, tenendo conto dell’esito del giudizio in ordine al fatto relativo ai beni di cui al n. 47 del capo A.

L’esito del giudizio in ordine al fatto relativo ai beni di cui al n. 47 del capo A potrebbe influire sulla entità dell’aumento di pena apportato a titolo di continuazione: in caso di assoluzione o comunque di proscioglimento, infatti, il pertinente segmento di sanzione dovrebbe essere eliminato dall’ammontare complessivo delle pene inflitte.

Le statuizioni di annullamento con rinvio ai finì della determinazione del risarcimento spettante alle partì civili Roberto (OMISSIS), Giovanni Maria (OMISSIS) e Fondazione Il Vittoriale degli Italiani e ai fini dell’accertamento concernente il fatto relativo ai beni di cui al n. 47 del capo A, profilo al quale è interessato anche il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, inoltre, impediscono la liquidazione in questa sede delle spese in favore delle parti civili per il giudizio di legittimità. Ogni determinazione in proposito, infatti, deve essere rimessa al giudice del rinvio, il quale assumerà le sue decisioni in considerazione dell’esito del suo giudizio.

9. L’inammissibilità nel resto dei ricorsi determina l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità degli imputati in ordine alle condotte per le quali la Corte d’appello ha pronunciato condanna, salvo, ovviamente, che nella parte relativa ai beni di cui al n. 47 del capo A.

9.1. Occorre precisare che, per i reati diversi da quelli relativi ai beni di cui al n. 47 del capo A, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso esclude ogni rilievo, ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere, del periodo compreso tra la pronuncia della sentenza di appello e la presente decisione, ossia tra il giorno 8 aprile 2019 ed il giorno 21 gennaio 2020.

9.2. In particolare, la fondatezza del ricorso con riferimento ai beni di cui al n. 47 del capo A non implica la costituzione di un valido rapporto processuale con riferimento agli altri beni.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (cfr., per tutte, Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966-01).

Ciò posto, deve ritenersi che il reato concernente il bene di cui al n. 47 è del tutto autonomo rispetto a quelli concernenti gli altri beni, anche perché il precisato oggetto è stato commercializzato in un momento diverso da quello relativo alla commercializzazione degli altri beni, e con modalità specifiche.

Di conseguenza, l’ammissibilità dell’impugnazione per la condotta relativa al bene n. 47, in quanto riferita ad un autonomo reato, non può determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati concernenti gli altri beni, ed in relazione ai quali i motivi dedotti sono inammissibili.

9.3. Né può affermarsi che il rapporto processuale relativo ai reati concernenti i beni diversi da quello di cui al n. 47 del capo A si è validamente costituito in ragione della fondatezza delle censure che si riferiscono alle pertinenti questioni civili.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la cosa giudicata si forma sui capi della sentenza, nel senso che la decisione acquista il carattere dell’irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli (così, per tutte, Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239-01).

Ora, le questioni civili non solo non sono necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto a uno dei reati attribuitigli, ma sono del tutto estranee rispetto a tale tema di giudizio.

Plurimi elementi normativi depongono in questo senso.

Innanzitutto, l’esercizio dell’azione civile nel processo penale è meramente eventuale, e non obbligatori (cfr. artt. 74 e 75 cod. proc. pen.).

In secondo luogo, il giudice penale, pur se ritualmente investito della domanda per le restituzioni ed i risarcimenti del danno, può anche limitarsi a pronunciare condanna generica e a rimettere le parti davanti al giudice civile (cfr. art. 539 cod. proc. pen.).

In terzo luogo, l’impugnazione proposta ai soli effetti civili, secondo quanto dispone l’art. 573, comma 2, cod. proc. pen., in deroga alla regola generale della sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato fino all’esito del giudizio di impugnazione (cfr, art. 588 cod. proc. pen.), non sospende l’esecuzione delle disposizioni penali, così determinandone, come osserva la dottrina, la formale irrevocabilità.

La previsione di cui all’art. 573, comma 2, cod. proc. pen., anzi, è ancor più significativa se si considera che pure l’imputato può proporre impugnazione ai soli effetti civili (v. art. 574 cod. proc. pen.).

In quarto luogo, l’annullamento disposto dalla Corte di cassazione che si riferisce «solamente» alle disposizioni ai capi che riguardano gli effetti civili determina il rinvio, ove necessario, al giudice civile e non al giudice penale (art. 622 cod. proc. pen.).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio di responsabilità in ordine al bene di cui al n. 47 del capo a) e alla determinazione dell’ammontare dei risarcimenti dovuti alle parti civili (OMISSIS) Roberto,  (OMISSIS) Giovanni Maria e Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, e rinvia per un nuovo giudizio su tali punti ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi e irrevocabile all’affermazione di responsabilità degli imputati in ordine alle condotte residue.

Così deciso il 21/01/2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020.