Comandante di Stazione dei CC offende e minaccia un brigadiere afferrando le spalline della giacca a vento indossata dal medesimo.

(Corte di Cassazione penale, sez. I, sentenza 24 marzo 2014, n. 13598)

…, omissis …

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 11/2012 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA del 13/06/2012;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in pubblica udienza del 09/07/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Angela Tardio;

udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FLAMINI Luigi Maria, che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso;

udito per il ricorrente l’avv. (omissis), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 giugno 2012 la Corte militare d’appello di Roma ha confermato la sentenza del 4 ottobre 2011 del Tribunale militare di Napoli, che aveva condannato C.G. alla pena di mesi cinque di reclusione militare, condizionalmente sospesa, perchè ritenuto responsabile dei reati di ingiuria e minaccia, di cui all’art. 196 c.p., commi 1 e 2, mil. pace, commessi il 25 novembre 2009, quale comandante della Stazione di Passo Corese con il grado di maresciallo aiutante, in danno dell’inferiore di grado, brigadiere A.O., nei cui confronti aveva pronunciato frasi offensive e minacciose, anche afferrando le spalline della giacca a vento indossata dal medesimo.

2. Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale sulla base delle dichiarazioni testimoniali assunte:

– i militari A. e P., in servizio radiomobile, erano intervenuti per il segnalato inseguimento di un’autovettura da parte di altro veicolo che aveva tentato di speronarla;

– dall’autovettura inseguitrice, che era stata fermata, erano scese due persone in evidente stato di ebbrezza, una delle quali era l’attuale imputato, che, dopo un diverbio con gli occupanti dell’autovettura inseguita, un uomo e una donna, aveva rivolto all’ A. le frasi offensive e minacciose contestate nel capo i (a) della imputazione, qualificandosi quale maresciallo dei carabinieri con trent’anni di servizio;

– l’imputato, accompagnato in caserma, aveva opposto il suo rifiuto di sottoporsi all’esame del tasso alcolico e aveva pronunciato nei confronti dello stesso A. ulteriori frasi ingiuriose, indicate nel capo b) della imputazione.

3. La Corte militare d’appello, richiamata analiticamente la vicenda processuale e illustrate le ragioni della decisione e le censure svolte con i motivi di appello, rilevava che lo stesso appellante aveva confermato lo svolgimento dei fatti e riteneva corretta la qualificazione giuridica operata dal Tribunale, che aveva escluso l’estraneità del comportamento dell’imputato al servizio e alla disciplina, solo rilevando l’inapplicabilità del Codice dell’ordinamento militare, approvato con D.Lgs. n. 66 del 2010, e richiamando le Norme di principio sulla disciplina militare, di cui alla L. n. 382 del 1978, e in particolare, l’art. 5, alla cui stregua il regolamento di disciplina trovava applicazione nei confronti dei militari che si qualificavano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgevano ad altri militari in servizio o che si qualificavano come tali.

Assumeva rilievo la circostanza che l’imputato si era qualificato, sin dall’inizio della vicenda, con il suo grado poichè egli, facendolo pesare, aveva tentato di sottrarsi alle conseguenze dell’intervento degli altri militari, invece doverose per le funzioni rivestite, confermando il nesso con il servizio e la disciplina, alla luce dei principi fissati da questa Corte, non contrastati dalla pronuncia n. 16413 del 3 marzo 2005, richiamata in appello, riferita a un caso analogo in cui non vi era stata tuttavia la spendita del grado sin dall’inizio, nè dall’intervento della Corte cost. con ord. n. 367 del 2001, che aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale posta con riferimento agli artt. 189 e 199 c.p., mil. pace, lasciando impregiudicata l’interpretazione della normativa da parte del giudice.

Neppure rilevava che l’imputato quel giorno si trovasse in riposo, avendo lo stesso ricondotto la questione in atto nell’ambito della disciplina militare, richiamando il suo grado e il rapporto gerarchico con la parte lesa, e non era condivisibile il rilievo dell’appellante in ordine alla esigenza di evitare una diffusa “soggezione formalistica del militare alla disciplina in ogni momento e aspetto della sua vita privata”, poichè l’interpretazione accolta escludeva dal nesso con il servizio e la disciplina le condotte non incidenti su un servizio e tenute senza spendere il grado.

Non poteva, infine, trovare accoglimento la tesi difensiva secondo la quale l’imputato voleva solo esternare il suo disappunto, essendo le parole pronunciate e la condotta tenuta cariche di inequivoco significato penalmente rilevante.

4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, con il ministero del suo difensore, C.G., che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi.

4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione agli artt. 484 e 420 – ter c.p.p..

Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata è nulla perchè la Corte militare d’appello, differendo il processo dall’udienza del 5 aprile 2012 a quella del 13 giugno 2012, a seguito della richiesta di rinvio depositata dal suo difensore per documentato pregresso impedimento in relazione a un procedimento penale dinanzi al Tribunale di Isernia, non ha disposto la comunicazione al medesimo difensore della data della nuova udienza come previsto dall’art. 420 – ter c.p.p..

4.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 196 c.p., commi 1 e 2, e art. 199 c.p., mil. pace.

Non è condivisibile, ad avviso del ricorrente, l’analisi svolta dalla Corte militare in ordine alla portata e al tenore delle contestate violazioni di legge, poichè questa Corte e la Corte costituzionale hanno escluso la punibilità del fatto quando l’ingiuria e la minaccia sono indirizzate a un militare in servizio da un militare non in servizio, ed esso ricorrente, non in servizio e in borghese, pur menzionando il grado non ha fatto riferimento al valore e al peso dello stesso in rapporto a quello della controparte e non ha pertanto leso i principi connessi alla disciplina militare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso, attinente alla dedotta nullità della sentenza in dipendenza della omessa notifica al difensore di fiducia della data della nuova udienza, fissata a seguito del rinvio disposto per il documentato impedimento dello stesso per ragioni professionali, è destituito di fondamento.

1.1. Questa Corte ha più volte condivisibilmente affermato che il difensore, che abbia ottenuto la sospensione o il rinvio della udienza per legittimo impedimento a comparire, ha diritto all’avviso della nuova udienza solo quando non ne sia stabilita la data già nella ordinanza di rinvio, posto che, nel caso contrario, l’avviso è validamente recepito, nella forma orale, dal difensore previamente designato in sostituzione, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, il quale esercita i diritti e assume i doveri del difensore sostituito e nessuna comunicazione è dovuta a quest’ultimo (Sez. U, n. 8285 del 28/02/2006, dep. 09/03/2006, Grassia, Rv. 232906; e, tra le successive, Sez. 6^, n. 19831 del 20/03/2009, dep. 09/05/2009, Bartolucci, Rv. 243855; Sez. 5^, n. 28818 del 11/05/2010, dep. 08/07/2010, Terlizzi, Rv. 247897), a nulla rilevando che il giudice abbia comunque disposto la comunicazione della data della nuova udienza (Sez. 5^, n 36643 del 04/06/2008, dep. 24/09/2008, Sorrentino, Rv. 241721; Sez. 5^, n. 20863 del 24/02/2011, dep. 25/05/2011, Sechi, Rv. 250451).

1.2. Nel caso di specie risulta dall’esame degli atti, cui questa Corte ha accesso essendo dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), secondo il consolidato orientamento di questa Corte (tra le altre, Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, dep. 28/11/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 4^, n. 47981 del 28/09/2004, dep. 10/12/2004, Mauro, Rv. 230568, e da ultimo Sez. 1^, n. 8521 del 09/01/2013, dep. 21/02/2013, Chahid, Rv. 255304), che:

– all’udienza del 4 aprile 2012, fissata nel giudizio di appello con decreto notificato all’imputato appellante il 16 febbraio 2012 e al suo difensore, avv. Epifanio, il 13 febbraio 2012, assente l’imputato e il suo difensore, è stato nominato difensore di ufficio, ex art. 97 c.p.p., comma 4, l’avv. Roberto Saccomanno ed è stata dichiarata la contumacia dell’appellante;

– con ordinanza in pari data la Corte, accogliendo l’istanza del 14 febbraio 2012 del difensore di fiducia volta a ottenere un rinvio del dibattimento per pregresso impedimento di natura professionale, ha disposto il differimento del processo all’udienza del 13 giugno 2012, senza ulteriore avviso alle parti;

– all’udienza così rinviata, nominato all’imputato contumace un difensore di ufficio ex art. 97 c.p.p., comma 4, il processo è stato assunto in decisione sulle conclusioni illustrate dalle parti.

1.3. Tali evidenze fattuali escludono ogni fondatezza alla eccezione difensiva, che, limitata al mero rilievo della incorsa violazione dell’art. 420 – ter c.p.p., per non essere stato il difensore impedito notiziato del rinvio nei modi e termini di legge, è astratta, senza opporre alcuna alternativa interpretazione, da ogni correlazione con gli enunciati principi di diritto fondati su un coordinata disamina delle norme del rito penale, condotta dalle sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 8285 del 28/02/2006, citata), e prescinde da ogni considerazione delle attività in fatto compiute, tra le quali la pronuncia della ordinanza di rinvio dell’udienza, con contestuale indicazione della data di rinvio, in presenza del difensore di ufficio, previamente designato in sostituzione di quello di fiducia impedito e agente in suo nome e conto.

2. E’ privo di fondamento anche il secondo motivo, che censura l’interpretazione che i Giudici di merito hanno fatto dell’art. 199 c.p., mil. pace, sulla base del rilievo che la punibilità del reato di ingiuria e minaccia deve essere esclusa quando il fatto sia commesso, come nella specie, da un militare non in servizio nei confronti di un militare in servizio, in coerenza con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, e non emerga in concreto dai fatti una menzione del proprio grado da parte del primo verso il secondo in modo da farne valere il peso in violazione dei principi della gerarchia militare.

2.1. Questa Corte ha già in altre occasioni affermato che il reato militare di insubordinazione con minaccia o ingiuria è punibile pur quando il soggetto agente commetta il fatto fuori dal servizio, ove si qualifichi come militare nei confronti dei superiori persone offese (Sez. 1^, n. 14351 del 12/03/2008, dep. 07/04/2008, Spano, Rv. 240014; Sez. 1^, n. 8495 del 28/09/2012, dep. 21/02/2013, P.G. Mil. in proc. Pozzani, non massimata sul punto).

Il principio affermato è stato logicamente correlato all’indirizzo espresso dalla Corte costituzionale con sentenza n. 367 del 2011, che ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 199 c.p., mil. pace, che scrimina per certi reati (tra i quali l’insubordinazione) i fatti commessi per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, osservando che la norma non deve essere interpretata (nel caso della insubordinazione) nel senso che si deve guardare solo alla condizione della persona offesa dal reato, potendo rilevare – per una lettura costituzionalmente orientata – anche la correlazione tra la situazione in cui si trovi ad agire l’autore del fatto e il servizio militare.

Il principio è stato riferito anche a precedente intervento di questa Corte (Sez. 1^, n. 16413 del 03/03/2005, dep. 02/05/2005, Andresini, Rv. 231573), alla cui stregua (in fattispecie riguardante un militare in licenza e in abiti civili che, in stato di ebbrezza alcolica, aveva inveito all’indirizzo di appartenenti all’Arma dei carabinieri, intervenuti in un locale pubblico su segnalazione di alcuni avventori) la minaccia o l’offesa all’onore di un superiore (art. 189 c.p. mil. pace) rivolta dal militare appartenente alle forze armate al di fuori dell’attività di servizio attivo e non obiettivamente correlata all’area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, rientra nella clausola di esclusione del reato di insubordinazione, prevista dall’art. 199 c.p., mil. pace, coerentemente rimarcandosi che il soggetto agente nella fattispecie non si era qualificato come militare ed esulava del tutto, nella situazione creatasi, il profilo della tutela della disciplina.

2.2. L’indicato indirizzo interpretativo è pure confortato dal L. n. 382 del 1978, art. 5, (contenente norme di principio sulla disciplina militare), e dal D.P.R. n. 545 del 1986, art. 8, (che ha approvato il regolamento di disciplina militare), che trovano il loro presupposto di operatività in presenza di una delle seguenti condizioni:

svolgimento da parte del militare di un’attività di servizio, presenza in luoghi militari, uniforme indossata dal militare, ed esplicita indicazione della propria qualità di militare in relazione a compiti di servizio ovvero nei rapporti con altri militari in divisa o che si qualifichino come tali.

3. Alla stregua di questi principi, che il Collegio condivide e riafferma, nel caso in esame, è del tutto corretta la ritenuta applicabilità delle fattispecie incriminatrici di cui all’art. 196 c.p., commi 1 e 2, mil. pace, per la non sussistenza della causa di esclusione del reato prevista dall’art. 199 dello stesso codice, poichè, alla luce delle emergenze fattuali e delle relative fonti di prova, logicamente utilizzate e valutate per la ricostruzione della vicenda, il ricorrente ha esternato sin dall’inizio la propria condizione di militare e il proprio grado nei confronti degli altri militari, al cui indirizzo ha proferito le frasi oggetto delle contestazioni, e sul cui intervento, attinente al servizio svolto, ha inciso tentando di ostacolarlo, spendendo il rapporto gerarchico nel contesto della disciplina militare, in strada e nei locali della caserma.

In tale contesto, non possono trovare accoglimento le obiezioni difensive, che, mentre ripropongono la interpretazione delle norme incriminatrici e dell’art. 199 c.p., mil. pace già sostenuta con i motivi di appello, e oggetto di esaustiva e ragionata analisi critica da parte della Corte militare, rispetto alla quale esprimono generiche ragioni di dissenso, si pongono come censure sul significato e sulla valenza di elementi di fatto utilizzati in sede di merito invocando una non consentita rilettura in fatto della vicenda e una diversa valutazione del risultato probatorio, in contrasto con i limiti del sindacato di legittimità.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2013.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2014.