Il de cuius, con testamento olografo, nomina come erede universale una nipote. Insorgono le altre nipoti che adducano che il testamento è falso (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 19 febbraio 2021, n. 4538).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10347-2016 proposto da:

(OMISSIS) ANNELISA, (OMISSIS) MARIA LUDOVICA, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA (OMISSIS) 75, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI (OMISSIS) (OMISSIS), rappresentate e difese dagli avvocati FRANCESCO (OMISSIS), ROSARIO MARIO (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) TIBERIO, (OMISSIS) ANNARITA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SAN (OMISSIS) (OMISSIS) 40, presso lo studio dell’avvocato GAETANO (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 332/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 09/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

lette le memorie delle ricorrenti.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con citazione del 11 giugno 1991 de (OMISSIS) Elena deduceva che, con testamento olografo del 3 luglio 1982, il fratello (OMISSIS) (OMISSIS) Antonio le aveva lasciato, unitamente alle figlie (OMISSIS) Maria Ludovica e (OMISSIS) Annelisa, alcuni beni immobili, residuati da altre disposizioni testamentarie.

Lamentava che il de cuius con una successiva scheda testamentaria del 15 maggio 1987 aveva istituito sua erede universale la nipote (OMISSIS) Maria e che aveva interesse ad impugnare questo secondo testamento, disconoscendone la sottoscrizione, essendo stato redatto allorché il testatore era incapace.

In via subordinata chiedeva di accertare la compatibilità del secondo testamento con le previsioni del primo, con il riconoscimento quindi dei diritti spettanti ad essa attrice nonché alle figlie.

Con successivo atto di citazione del 15 gennaio 1992 (OMISSIS) (OMISSIS) Elena, (OMISSIS) Maria Ludovica e (OMISSIS) Annelisa, deducendo di essere legatarie per effetto delle previsioni di cui al testamento olografo di (OMISSIS) (OMISSIS) Antonio del 3 luglio 1982, convenivano in giudizio sempre la (OMISSIS) per sentire accertare la nullità o comunque l’annullabilità dell’atto di donazione del 14 gennaio 1987, con cui il defunto aveva donato alla convenuta un fondo rustico in Rossano Calabro, meglio descritto in citazione.

In entrambi i giudizi si costituiva la convenuta che contestava la fondatezza della domanda, rilevando in particolare che la contestazione circa l’autenticità del testamento doveva avvenire mediante presentazione di querela di falso; inoltre deduceva la piena capacità di intendere e di volere del disponente e l’incompatibilità della prima scheda testamentaria con le posteriori volontà testamentarie.

Il Tribunale di Rossano Calabro con sentenza del 3 Febbraio 2006 rigettava le domande delle attrici nonché la domanda riconvenzionale della convenuta ex articolo 96 c.p.c.

Avverso tale sentenza proponeva appello (OMISSIS) Maria Ludovica in proprio e nella qualità di erede di (OMISSIS) (OMISSIS) Elena.

La Corte d’appello di Catanzaro disponeva preliminarmente l’integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS) Annelisa, anche in qualità di erede della de (OMISSIS).

Provvedutosi a tale adempimento si costituiva (OMISSIS) Annelisa che aderiva alle conclusioni dell’appellante principale e proponeva a sua volta appello incidentale, nella parte in cui il Tribunale aveva disatteso la richiesta di accertare l’esistenza di un legato a proprio favore.

Nella resistenza dell’appellata, la Corte d’appello con sentenza non definitiva n. 1400 del 14 ottobre 2013 rigettava l’eccezione di nullità della sentenza impugnata nonché la domanda di accertamento dell’incapacità di intendere e di volere del de cuius, con il conseguente rigetto della domanda di annullamento sia del testamento olografo del 15 maggio 1987 sia della donazione del 15 gennaio 1987; con separata ordinanza rimetteva la causa in istruttoria per la decisione delle altre domande.

Con tale sentenza, preliminarmente dichiarava l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto da (OMISSIS) Annelisa in quanto tardivo.

Disattendeva altresì l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado in quanto redatta da un giudice diverso da quello inizialmente designato, richiamando la giurisprudenza che riconosce il potere del presidente di poter disegnare anche informalmente un nuovo relatore all’udienza di discussione.

Passando alla disamina del secondo motivo di appello che investiva la validità della scheda testamentaria del 15 maggio 1987, la Corte d’appello riteneva di dover aderire all’orientamento secondo cui la contestazione circa l’autenticità del testamento olografo non dovesse necessariamente passare attraverso la querela di falso, essendo invece possibile far riferimento all’istituto del disconoscimento, con successiva possibilità per la parte interessata ad avvalersi del testamento, di richiederne la verificazione.

Nella fattispecie emergeva che le attrici avevano validamente operato il disconoscimento del testamento favorevole alla convenuta la quale, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non si era limitata solo ad eccepire l’inammissibilità del disconoscimento, ma aveva invece tempestivamente dichiarato, già nella comparsa di risposta, di volersi avvalere del documento disconosciuto, richiedendo anzi alle attrici di produrre il primo testamento del 3 luglio 1982, anche in quanto utile alla verificazione circa l’autenticità del testamento posteriore.

Secondo i giudici di appello tale richiesta equivaleva ad una dichiarazione di volersi avvalere del documento e quindi permetteva di ritenere effettivamente avanzata l’istanza di verificazione, la quale può anche essere implicita allorquando si insista per l’accoglimento della pretesa presupponente l’autenticità del documento.

In particolare, una volta avanzata siffatta istanza, è necessario solamente che i mezzi istruttori siano presentati nel rispetto delle preclusioni di rito (nella specie di fatto del tutto diluite, trattandosi di processo sottoposto alle regole del cosiddetto vecchio rito).

Inoltre, non poteva trarsi alcun argomento a favore delle appellanti dal contenuto dell’ordinanza del 18 ottobre 1994, la quale, oltre a non essere allegata, sembrerebbe essere rimasta del tutto silente sulla richiesta di verificazione, laddove il silenzio ben può giustificarsi, non già come rigetto della richiesta di verificazione, quanto piuttosto come giudizio implicito di superfluità di ulteriori attività istruttorie.

Ancora, il provvedimento istruttorio non precludeva la reiterazione delle relative istanze a supporto della verificazione e non incideva sul fatto che ormai tale istanza risultava già proposta, legittimando quindi il giudice a potersi pronunciare sulla stessa.

Del pari irrilevante era la circostanza che non fossero state disposte le cautele relative alla custodia del testamento, atteso che lo stesso risultava pubblicato ed era quindi raccolto agli atti del notaio che aveva proceduto alla pubblicazione, non ricorrendo quindi alcuna esigenza di particolare custodia.

Una volta quindi ritenuta validamente avanzata l’istanza di verificazione del testamento olografo, la sentenza non definitiva passava ad esaminare la domanda volta ad ottenere l’annullamento sia della donazione che del testamento per incapacità naturale del disponente.

Secondo la Corte distrettuale erano condivisibili le valutazioni espresse dal tribunale a supporto del rigetto della domanda.

Richiamate le caratteristiche che deve avere l’incapacità naturale per determinare l’invalidità dell’atto, e ricordato quindi che non è sufficiente una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive della parte, occorrendo invece che, a cagione di un’infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere, la sentenza escludeva che il de (OMISSIS) fosse affetto da incapacità naturale permanente.

In primo luogo, le ripetute richieste di interdizione del de cuius non erano indicative di un’incapacità, atteso che le istanze erano state avanzate, in tempi diversi, anche dalle parti del presente giudizio; la stessa attrice nel corso di un giudizio di interdizione aveva smentito l’assunto della parte richiedente circa l’incapacità del fratello di poter attendere ai propri affari.

Peraltro, all’esito di quel giudizio di interdizione, il Tribunale disattese la richiesta alla luce dell’esame condotto sull’interdicendo, che aveva escluso che lo stesso fosse affetto da turbe mentali che lo rendessero incapace di provvedere ai propri interessi.

Quanto alla successiva procedura di interdizione avviata nel 1987, e quindi subito dopo la donazione impugnata, è pur vero che tale procedura si era conclusa per effetto della morte del de (OMISSIS), intervenuta nell’aprile del 1989, senza che fosse stato possibile espletare la consulenza tecnica medico legale, ma, come si rilevava dal verbale di audizione del defunto, risultava che lo stesso avesse risposto in maniera conferente e lucida alle domande che gli erano state poste, atteso che nel verbale si dava atto che l’esaminando si era espresso con disinvoltura e prontezza presentandosi con un aspetto ben curato anche nell’abbigliamento.

Solo nel dicembre del 1988 era stata disposta una tutela provvisoria e ciò in ragione del peggiorare delle sue condizioni di salute, confermato dai numerosi ricoveri ai quali era stato sottoposto nel 1988 nel 1989.

Secondo la sentenza di appello, nonostante il rapido aggravarsi in questi anni delle patologie di cui soffriva, anche in occasione della visita del 15 dicembre 1988, il sanitario attestava che il paziente risultava ben orientato avuto riguardo all’età ed alle sue attuali condizioni di salute.

Anche le varie consulenze mediche redatte nel corso degli anni concludevano tutte per la capacità di intendere e di volere, ad esclusione di una sola consulenza redatta peraltro in epoca successiva alla morte e solo su parte della documentazione sanitaria, occorrendo considerare che analoga indagine eseguita nel corso del giudizio, e sempre dopo la morte del testatore, aveva condotto ad un esito diametralmente opposto, avendo i consulenti tecnici d’ufficio negato l’esistenza di una franca patologia psichiatrica e di una condizione tale da inficiare la capacità di autodeterminazione del soggetto.

A tali elementi occorreva altresì aggiungere il fatto che i notai che avevano rogato nel corso degli anni vari atti stipulati dal defunto, nulla avevano rilevato in ordine ad eventuali profili di incapacità, così come le cartelle cliniche relative ai ricoveri avvenuti nel 1988 nulla segnalavano di anomalo quanto alle facoltà mentali del de cuius, pur essendo munite di un’accurata anamnesi familiare e personale.

Per l’effetto dovevano ritenersi scarsamente rilevanti le deposizioni testimoniali, soprattutto quelle rese dei familiari più prossimi, essendo connotate da una minore affidabilità in ragione degli interessi legati alla sorte del patrimonio del de cuius, come peraltro confermato dalle varie richieste di interdizione avanzate da parte proprio dei congiunti.

In definitiva, doveva ritenersi che il de (OMISSIS) fosse pienamente capace quantomeno sino alla data del 25 giugno 1987, in epoca cioè successiva sia alla donazione che al testamento, come peraltro confermato dalle prove testimoniali riproducenti le dichiarazioni di soggetti estranei al nucleo familiare, e da ritenersi quindi disinteressati alle vicende del patrimonio ereditario.

Infine, alcuna valenza di segno contrario alla detta conclusione potevano assumere i numerosi atti pubblici di disposizione e gestione del patrimonio posti in essere dal de (OMISSIS), non essendovi prova che si trattasse di atti aventi carattere pregiudizievole ed emergendo piuttosto che lo stesso fosse solito compiere atti di liberalità in favore dei familiari, in un contesto di rapporti di affetto e di considerazione dei parenti.

Formulata tempestiva riserva di impugnazione avverso la sentenza non definitiva, nel corso dell’istruttoria, la Corte d’appello ravvisava quindi l’opportunità, anche in ragione della consistenza del patrimonio caduto in successione, di disporre una consulenza tecnica d’ufficio quanto all’autenticità del testamento olografo del 15 maggio 1987.

Espletato tale mezzo istruttorio, i giudici di appello, con sentenza definitiva n. 332 del 9 marzo 2015, rigettavano anche gli altri motivi di appello, confermando integralmente la decisione di primo grado.

In questa seconda sentenza, in primo luogo, rilevavano che in sede di precisazione delle conclusioni, le appellanti non avevano riproposto in maniera esplicita la domanda finalizzata a far accertare la compatibilità delle disposizioni a loro favore contenute nel primo testamento con il contenuto del secondo testamento.

Osservavano che la mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni di domande ed eccezioni precedentemente formulate implica normalmente una presunzione di abbandono o di rinuncia alle stesse e nella specie tale presunzione era confortata dal fatto che tutte le richieste esplicite erano riferite solo all’ammissibilità della verificazione ed alla richiesta di nullità del testamento del 1987.

La domanda tesa ad accertare la compatibilità tra le due schede testamentarie non poteva poi ritenersi contenuta ovvero connessa in quella espressamente formulata, ed inoltre nessuna esposizione in merito alla domanda abbandonata risultava contenuta nella comparsa conclusionale, nella quale veniva esclusivamente discusso il tema dell’ammissibilità della verificazione nonché esposta la critica alla consulenza tecnica d’ufficio.

Confortava tale convinzione anche il precedente comportamento processuale dell’appellante che in occasione della precisazione delle conclusioni, anche in vista della riserva in decisione avvenuta in occasione della pronuncia della sentenza non definitiva, aveva precisato analiticamente le conclusioni riproponendo in maniera esplicita la richiesta di riconoscimento dell’efficacia del preteso legato a proprio favore.

Passando quindi ad esaminare la domanda di nullità del testamento olografo del 15 maggio 1987, i giudici di appello ritenevano condivisibili le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio il quale aveva evidenziato come tale atto fosse stato effettivamente redatto dal de cuius, come confermato dalla comparazione con le varie scritture prodotte a tal fine in corso di causa.

L’affermazione secondo cui vi sarebbe una differenza tra la grafia utilizzata nel testamento e quella invece presente in altri atti riferibili al de (OMISSIS) era frutto di una mera valutazione personale dell’appellante, non munita di alcuna argomentazione tecnica di supporto, così come del pari era sfornita di un’adeguata giustificazione tecnica l’affermazione circa la disomogeneità tra testo e sottoscrizione dell’atto impugnato.

Doveva pertanto confermarsi il giudizio espresso dal tribunale, sebbene inizialmente privo di un conforto di carattere tecnico, ma fondato sul raffronto compiuto direttamente dal giudice con le scritture di comparazione.

Per l’effetto andava anche rigettata la domanda di annullamento del testamento.

Per la cassazione di entrambe le sentenze d’appello hanno proposto ricorso (OMISSIS) Maria Ludovica e (OMISSIS) Annelisa sulla base di quattro motivi, illustrati da memorie.

(OMISSIS) Annarita e (OMISSIS) Tiberio, quali eredi di (OMISSIS) Maria, resistono con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo.

Risultano depositate tardivamente le memorie dei controricorrenti ed inviate solo a mezzo pec.

2. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 214, 215 e 216 c.p.c. quanto all’istanza di verificazione del testamento olografo disconosciuto, nonché degli artt. 2697 e 2702 c.c., con la conseguente nullità delle sentenze impugnate.

Si deduce che la Corte d’Appello ha ritenuto che fosse stata correttamente accertata la validità del testamento del 15 maggio 1987, sebbene mancasse una formale richiesta di verificazione ad opera della (OMISSIS), che in primo grado si era limitata a dedurre l’inammissibilità del disconoscimento, sul presupposto della necessità della querela di falso.

La formale carenza di un’istanza di verificazione è poi confortata anche dalla disamina delle difese in grado di appello, laddove la controparte ha sempre contestato l’utilità della CTU disposta in secondo grado, manifestando in tal modo la volontà di non avvalersi dell’olografo, essendo quindi frutto di una tardiva resipiscenza la dichiarazione resa solo nel verbale di udienza del 7/1/2014.

Ne consegue che è del tutto irrituale la decisione della Corte d’Appello di disporre una consulenza grafologica, in mancanza di sollecitazione della (OMISSIS).

Inoltre, non risulta che sia stato prodotto l’originale del testamento disconosciuto.

2.1 II motivo deve essere rigettato.

A tal fine occorre anche dare contezza del motivo di ricorso incidentale condizionato proposto dagli intimati, con il quale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 214 e ss. c.p.c. e degli artt. 221 e ss. c.p.c.

Si deduce che, ancorché per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale, la sentenza non definitiva avrebbe ritenuto legittimo contestare la validità del testamento olografo tramite il semplice disconoscimento da parte delle originarie parti attrici, non ritenendo quindi necessario l’esperimento della querela di falso.

Si contesta la correttezza di tale affermazione, ricordandosi come la controversa questione concernente la corretta individuazione dello strumento da utilizzare per far valere la falsità del testamento olografo sia stata di recente risolta dalle Sezioni Unite che hanno optato per la necessità di dover proporre un’autonoma azione di accertamento della nullità per difetto di olografia.

Osserva il Collegio che è stato affermato, proprio in relazione agli effetti dell’intervento delle Sezioni Unite sulle impugnative testamentarie pendenti, che (Cass. n. 10760/2019) il giudicato interno non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame.

Pertanto, in applicazione di tale principio, è stata cassata la sentenza di appello che aveva affermato l’inopponibilità all’erede di un testamento olografo fatto valere da un legatario in ragione della tardività dell’istanza di verificazione avanzata da quest’ultimo a seguito del disconoscimento operato dal primo, sul rilievo che il motivo di appello con cui il legatario aveva contestato la tempestività del disconoscimento medesimo aveva riaperto la cognizione pure sulla questione relativa alla procedura da seguire per accertare l’autenticità del testamento.

In motivazione, è stato rilevato che il contrasto giurisprudenziale, al quale fa cenno anche la sentenza non definitiva, circa lo strumento processuale da seguire per far accertare la falsità dell’olografo, è stato risolto da Cass. Sez. U, 15/06/2015, n. 12307 (il cui principio il Collegio ritiene di condividere ai sensi dell’art. 374, comma 3, c.p.c.), affermandosi che la parte che contesti l’autenticità di un testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo.

Le Sezioni Unite di questa Corte, il cui intervento è richiamato dalla difesa di parte controricorrente che ne fa oggetto di motivo di ricorso incidentale, in particolare, hanno ritenuto inadeguato, al fine di superare l’efficacia probatoria di un testamento olografo, sia il ricorso al disconoscimento che la proposizione di querela di falso, prescegliendo, all’uopo, la terza via secondo cui occorre proporre un’azione di accertamento negativo della falsità della scheda testamentaria.

La sentenza delle Sezioni Unite ha concluso in tal senso in quanto la necessità di una siffatta azione per quaestio nullitatis consente di rispondere:

– da un canto, all’esigenza di mantener il testamento olografo definitivamente circoscritto nell’orbita delle scritture private;

– dall’altro, di evitare la necessità di individuare un (assai problematico) criterio che consenta una soddisfacente distinzione tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe “di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso”, non potendosi esse “relegare nel novero delle prove atipiche” – dall’altro, di non equiparare l’olografo, con inaccettabile semplificazione, ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi, destinata come tale a rappresentare, quoad probationis, una ordinaria forma di scrittura privata non riconducibile alle parti in causa;

– dall’altro ancora, di evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarità ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell’attore che si professa erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che, non va dimenticato, è innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa;

– infine, di evitare che la soluzione della controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso, consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo, anche alla luce dei principi affermati di recente da questa stessa Corte con riguardo all’oggetto e alla funzione del processo e della stessa giurisdizione, apertamente definita “risorsa non illimitata”» (conformi, di seguito, Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1995; Cass. Sez. 2, 04/01/2017, n. 109; Cass. Sez. 6-2, 12/07/2018, n. 18363).

Sempre secondo le Sezioni Unite “le inevitabili aporie destinate a vulnerare l’una e l’altra ipotesi di soluzione (ovvero: sufficienza del disconoscimento o necessità della querela di falso) possano essere non del tutto insoddisfacentemente superate” adottando la strada indicata da Cass. 15 novembre 1951, n. 1545.

Come venne osservato in dottrina a proposito di questa risalente pronuncia, è stata in tal modo elaborata in giurisprudenza una sorta di impugnazione di autenticità del testamento, legittimato a sperimentare la quale è l’erede legittimo.

Chiunque, pertanto, voglia contestare l’autenticità di un olografo, vuoi in via di azione che di eccezione, deve sopportarne l’onere probatorio, proponendo necessariamente domanda di accertamento negativo circa la provenienza della scheda dal de cuius, ovvero circa l’altrui vocazione testamentaria, evidentemente intese non come fatti impeditivi della domanda avversa, ma come fatti costitutivi della propria pretesa di erede legittimo.

Orbene, alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite di cui si è dato sinora conto, risulta evidente l’infondatezza del primo motivo del ricorso principale, in quanto intende trarre dal presupposto che non fosse stata avanzata una valida istanza di verificazione, la conclusione della impossibilità per la (OMISSIS) di poter invocare gli effetti a sé favorevoli del testamento olografo del 1987, e ciò perché solo l’esito positivo del giudizio di verificazione potrebbe assicurare l’utilizzazione del testamento una volta che ne sia stata disconosciuta la sottoscrizione da parte del de cuius.

Viceversa, una volta ritenuta necessaria la proposizione di una domanda di nullità dell’atto mortis causa, non sarebbe sufficiente il solo disconoscimento per privarlo di efficacia, ma si impone la specifica dimostrazione della sua falsità, quale causa di nullità ex art. 606 c.c., dimostrazione della quale sarebbe onerata la parte che intende contestarne la validità, e quindi le odierne ricorrenti.

Per l’effetto, non avrebbe rilevanza la denuncia della violazione delle norme in tema di verificazione né sarebbe fondata la censura fondata sulla violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, atteso che la stessa si fonda sul presupposto, smentito dall’intervento delle Sezioni Unite, che incomberebbe sulla parte che intende avvalersi del testamento dimostrarne l’autenticità.

In tal senso, effettivamente la sentenza gravata ha ritenuto che l’impostazione della controversia dovesse essere ricondotta nella previsione di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c., ma ritiene il Collegio che in presenza di un motivo di ricorso che ponga in discussione la tempestività del disconoscimento, non possa reputarsi passata in cosa giudicata la necessità di dover regolare la fattispecie in base alle previsioni di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c. (e ciò anche in considerazione del fatto che la correttezza di tale assunto è oggetto di un motivo di ricorso incidentale, sia pure condizionato).

A tal fine deve richiamarsi la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. ex multis Cass. n. 16583/2012) la nozione di “parte della sentenza”, alla quale fa riferimento l’art. 329, comma secondo, cod. proc. civ., dettato in tema di acquiescenza implicita e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica soltanto le “statuizioni minime”, costituite dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia.

Ne consegue che il gravame, motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato, apre il riesame sull’intera questione che essa identifica, ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (conf., tra le più recenti, Cass. n. 21566/2017; Cass. n. 2217/2016; Cass. n. 12202/2017; Cass. n. 16853/2018; Cass. n. 24783/2018).

Nella vicenda, il fatto dedotto in giudizio era costituito dall’asserita nullità dell’olografo per difetto di autografia, contestazione operata da parte delle attrici, sul presupposto della loro qualità di eredi in base ad un precedente testamento, con il ricorso al meccanismo del disconoscimento, avendo la Corte d’Appello affermato che la norma applicabile era appunto quella relativa al complesso delle previsioni di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c.

Il motivo di ricorso, nel contestare l’affermazione del giudice di appello, che ha comunque riscontrato la proposizione di una valida istanza di verificazione, è idoneo in ogni caso a rimettere in discussione l’effetto al quale era invece pervenuto il giudice di appello, e cioè quello della autenticità del testamento (in ragione del riscontro poi a mezzo di CTU e nell’ambito del giudizio di verificazione incidentale della totale olografia dell’atto), mirando quindi nel suo esito finale, e tramite la contestazione della corretta applicazione delle previsioni in tema di disconoscimento e verificazione della sua inefficacia.

Appare quindi evidente al Collegio che non è possibile individuare nell’affermazione circa la procedura da seguire per la contestazione della validità dell’olografo per difetto di autografia una parte di sentenza suscettibile di passare autonomamente in cosa giudicata, essendo invece la nozione di parte riferibile alla diversa e più ampia statuizione concernente la validità ed opponibilità del testamento nei confronti delle attrici, parte che, per quanto detto, è stata nuovamente posta in discussione con il motivo di ricorso principale in esame che appunto punta, all’esito del suo accoglimento, a vanificare l’effetto che il Tribunale aveva fatto scaturire dalla condotta della convenuta.

A favore di tale conclusione appaiono deporre anche le considerazioni svolte dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 21691/2016, che, ancorché chiamate a valutare l’applicabilità dello ius superveniens quale motivo di ricorso in cassazione, hanno chiaramente affermato che non può reputarsi formato il giudicato ove la parte esprima la volontà di non acquietarsi all’intera decisione di cui mira a scardinare la parte principale con i suoi corollari.

Ne consegue che una volta rimessa in discussione la possibilità di avvalersi del testamento, la Corte è chiamata a valutare la correttezza del procedimento seguito dal giudice di appello, alla luce dell’intervento delle Sezioni Unite del 2015, intervento che implica come effetto quello per cui sono le ricorrenti principali onerate di far accertare la falsità del testamento, e ciò senza quindi la necessità di una richiesta di verificazione da parte dell’erede testamentaria, con onere probatorio sempre a carico delle prime.

Non rileva, quindi, come invece valorizzato dal motivo di ricorso, il fatto che l’appellata non avrebbe sollecitato l’espletamento della CTU ovvero si sarebbe opposta alla stessa, posto che l’eventuale carenza di prova circa la falsità del testamento ripercuoterebbe i suoi effetti in danno delle stesse ricorrenti principali, le quali in tal modo non avrebbero assolto all’onere su di loro incombente.

Peraltro, avendo la Corte d’Appello nella sentenza definitiva in concreto accertato l’autenticità del testamento impugnato, ancorché facendo propri i rilievi dell’ausiliario di ufficio, senza che in relazione a tale giudizio risultino formulate specifiche censure da parte delle ricorrenti principali, tale accertamento, una volta ritenuto inconferente il richiamo alle previsioni in tema di giudizio di verificazione, resterebbe intatto.

Ancorché tali considerazioni assumano portata assorbente, ritiene il Collegio che, anche a restare nel solco del giudizio di verificazione, come appunto ritenuto dal giudice di appello, il motivo si riveli privo di fondamento.

La sentenza non definitiva, una volta optato per il ricorso al meccanismo del disconoscimento e del successivo giudizio di verificazione al fine di contestare l’autenticità dell’olografo, ha però ritenuto che in realtà la (OMISSIS) non si era limitata a dedurre l’inammissibilità del disconoscimento, attesa la dedotta necessità del giudizio di querela di falso, ma già nella comparsa di risposta in primo grado, sollecitando la produzione del diverso testamento del quale le attrici erano beneficiarie, ed al fine di avvalersene come utile elemento di riscontro dell’autenticità del testamento successivo, aveva in tal modo manifestato la volontà di avvalersi di tale secondo testamento, formulando, sia pure in maniera implicita, un’istanza di verificazione.

Trattasi di conclusione che trova il conforto della costante giurisprudenza di legittimità la quale ha reiteratamente affermato che (Cass. n. 16383/2017) l’istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta può essere anche implicita, come quando si insista per l’accoglimento di una pretesa che presuppone l’autenticità del documento e non esige la formale apertura di un procedimento incidentale, né l’assunzione di specifiche prove, quando gli elementi già acquisiti o la situazione processuale siano ritenuti sufficienti per una pronuncia al riguardo (conf. Cass. n. 8272/2012; Cass. n. 13258/2006, secondo cui il riferimento ai pareri espressi in alcune perizie svolte in sede penale soddisfaceva l’onere di indicazione delle prove da parte dell’istante, essendo irrilevante l’omessa specifica reiterazione dell’istanza di verificazione, la quale si risolve nell’accertamento dell’autenticità della firma disconosciuta, che è da ritenere implicita nella domanda di accoglimento della pretesa fondata su detto documento).

La sentenza non definitiva ha poi evidenziato come il Tribunale avesse ritenuto di decidere la questione relativa all’autenticità dell’atto senza necessità di ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio, e ciò in quanto aveva ritenuto sufficiente il mero raffronto diretto tra la scrittura contestata e quelle offerte in comparazione, non potendosi quindi attribuire valore significativo al fatto che con un’ordinanza istruttoria del 18/10/1994 il Tribunale nulla avesse detto quanto ai mezzi di prova da espletare ai fini della verifica dell’autenticità.

Ha altresì aggiunto che, una volta accertata la presentazione di un’istanza di verificazione, sebbene senza avvalersi di formule sacramentali, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, non poteva trarsi alcuna conseguenza anche da un silenzio serbato dalla convenuta, posto che la detta presentazione attribuiva al giudice il potere di decidere sulla richiesta di verificazione, senza incorrere in ultra petizione ( cfr. pag. 16 della sentenza non definitiva).

Anche tale affermazione risulta incensurabile.

Va, infatti, ribadito che poiché, come detto, l’istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta non esige la formale apertura di un procedimento incidentale, né l’assunzione di specifiche prove, quando gli elementi già acquisiti o la situazione processuale siano ritenuti sufficienti per una pronuncia al riguardo, ai fini del relativo accertamento ben potrebbe il giudice di merito decidere la controversia senza reputare di avvalersi dell’ausilio di un tecnico, ovvero ben può, ancorché abbia disposto una consulenza grafica, formare il proprio convincimento sulla base di ogni elemento istruttorio obiettivamente conferente, comprese le risultanze della prova testimoniale e la valutazione del complessivo comportamento tenuto dalla parte cui la sottoscrizione sia attribuita, senza essere vincolato ad alcuna graduatoria fra le varie fonti di accertamento della verità, posto che la consulenza tecnica sull’autografia di una scrittura privata disconosciuta, da un lato, non costituisce un mezzo imprescindibile per la verifica dell’autenticità della sottoscrizione, come si desume dalla formulazione dell’art. 217 cod. proc. civ., mentre, dall’altro, non è suscettibile di conclusioni obiettivamente certe, tenuto conto del carattere irripetibile della forma della scrittura umana (Cass. n. 15686/2015; Cass. n. 12695/2008, a mente della quale allorché sia proposta istanza di verificazione della scrittura privata, il giudice non è tenuto a disporre necessariamente una consulenza tecnica grafologica per accertare l’autenticità della scrittura, qualora possa desumere la veridicità del documento attraverso la comparazione di esso con altre scritture incontestabilmente provenienti dalla medesima parte e ritualmente acquisite al processo).

Alla luce di tali considerazioni, la censura delle ricorrenti principali si rivela priva di fondamento.

La critica quanto alla valenza della condotta processuale tenuta dalla convenuta in primo grado risulta del tutto generica, e non tiene conto delle puntuali considerazioni della Corte distrettuale, che ha valorizzato la circostanza che la (OMISSIS) avesse sempre insistito per volersi avvalere degli effetti del testamento del 1987, mostrando in tal modo, pur a fronte dell’intervenuto disconoscimento, di voler far verificare l’autenticità dell’atto di ultima volontà.

Ne discende che, una volta riscontrata la valida formulazione di un’istanza di verificazione già in primo grado, la quale impone al giudice di doversi pronunciare sulla stessa, alcuna rilevanza può assumere la successiva condotta in grado di appello, e ciò anche alla luce del fatto che già il Tribunale si era in realtà pronunciato sulla verificazione, ritenendo, sulla base del raffronto diretto con le scritture di comparazione, che non vi fossero dubbi circa l’olografia dell’atto.

La contestazione della (OMISSIS) all’esperimento della CTU in grado di appello, lungi dal denotare una volontà di non voler coltivare la richiesta di verificazione si giustifica piuttosto alla luce del fatto che la relativa richiesta era stata positivamente vagliata dal Tribunale e che si reputava superfluo l’esperimento di un mezzo istruttorio ulteriore che avrebbe potuto sovvertire l’esito del giudizio di primo grado.

Non si tratta quindi della mancata coltivazione in appello dell’istanza di verificazione, ma della comprensibile opposizione all’ingresso di ulteriori elementi di valutazione che avrebbero potuto anche portare ad una decisione di segno contrario rispetto a quella raggiunta dal Tribunale.

Né, infine, può trovare accoglimento l’argomento secondo cui non si sarebbe potuto dare seguito alla verificazione, per non essere stato depositato l’originale del testamento disconosciuto.

La Corte d’Appello a pag. 16 della sentenza non definitiva ha evidenziato come non potesse trarsi alcun impedimento al giudizio di verificazione dalla mancata adozione da parte del Giudice istruttore delle cautele di cui all’art. 217 c.p.c., attesa la superfluità delle stesse, in ragione del fatto che, una volta pubblicato il testamento olografo oggetto di causa, l’originale era raccolto agli atti del notaio, con modalità che ne assicuravano quindi la conservazione, scongiurando il pericolo di alterazioni.

Trattasi di considerazioni ineccepibili e che trovano il conforto anche nella recente giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che (Cass. n. 711/2018) che, sebbene il giudizio di verificazione di un testamento olografo debba necessariamente svolgersi con un esame grafico espletato sull’originale del documento per rinvenire gli elementi che consentono di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione, tuttavia una volta verificati sul documento originale i dati che l’ausiliario reputi essenziali per l’accertamento dell’autenticità della grafia, il prosieguo delle operazioni può svolgersi su eventuali copie o scansioni, e ciò a prescindere dal fatto che l’originale sia stato prodotto da una delle parti, dovendosi quindi reputare sufficiente che l’originale esista e che lo stesso, sebbene custodito presso il notaio, come nella specie, sia stato comunque accessibile all’ausiliario.

3. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la nullità della sentenza definitiva della Corte d’Appello per la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto sebbene le ricorrenti avessero disconosciuto solo la sottoscrizione, il consulente d’ufficio aveva verificato l’autenticità dell’intera scheda testamentaria.

4. Il motivo è infondato.

In disparte la considerazione secondo cui, riportata la contestazione circa la validità dell’olografo in una domanda di accertamento negativo della sua validità, il che impone di dover riscontrare, attese le caratteristiche del testamento olografo, non solo l’autenticità della sottoscrizione ma l’olografia dell’atto, ma anche a voler restare nell’ambito del giudizio di verificazione, la Corte d’Appello, in conformità del Tribunale ha comunque statuito sull’autenticità della sottoscrizione, non potendosi ricondurre il vizio di ultrapetizione al contenuto del mandato conferito al CTU, senza che però si denunci anche la violazione dell’art. 112 c.p.c. quanto al contenuto della decisione finale.

5. Il terzo motivo del ricorso principale denuncia la nullità, annullamento ed inefficacia dell’olografo e della donazione, in relazione al vizio di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.

Il mezzo di gravame richiama una serie di atti che avrebbero permesso di accertare le reali condizioni di salute del de cuius, nonché una serie di atti di disposizione posti in essere sempre dal de (OMISSIS), la cui complessiva valutazione deporrebbe per l’esistenza dell’incapacità naturale del testatore e donante alla data di compimento dei rispettivi atti.

Il motivo è evidentemente inammissibile in quanto volto a sollecitare una non consentita rivalutazione del materiale istruttorio da parte del giudice di legittimità.

Il giudice di appello nella sentenza non definitiva, da pag. 18 a pag. 24, ha analiticamente esaminato una serie di elementi probatori, tra cui proprio perizie di carattere medico, cartelle cliniche, atti dei vari giudizi di interdizione proposti per il de (OMISSIS), atti di disposizione patrimoniale, deposizioni testimoniali, manifestando con motivazione logica e connotata da intrinseca coerenza, le ragioni per le quali doveva escludersi che gli atti impugnati fossero affetti da invalidità per incapacità naturale.

Il motivo di ricorso, senza peritarsi nemmeno di confutare in dettaglio le argomentazioni del giudice di appello, si limita ad elencare gli elementi di prova asseritamente favorevoli alle ricorrenti, invitando quindi ad una nuova valutazione di merito, come detto non ammessa in sede di legittimità.

Inoltre, va ricordato che a seguito della novella dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio).

La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali).

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. 8053/2014).

Pertanto, non possono essere sollevate doglianze per censurare, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la correttezza logica del percorso argomentativo della sentenza, a meno che non sia denunciato come incomprensibile il ragionamento ovvero che la contraddittorietà delle argomentazioni si risolva nella assenza o apparenza della motivazione (in tal caso, il vizio è deducibile quale violazione della legge processuale ex art. 132 c.p.c.).

Le Sezioni Unite (Cass. 8054/2014) hanno altresì sottolineato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie, affermazione questa che preclude la possibilità di denunciare, come invece fatto dalle ricorrenti, una mancata o erronea considerazione di elementi probatori da parte del giudice di merito, una volta che il fatto, costituito dalla capacità del defunto all’epoca del compimento degli atti impugnati sia stata specificamente presa in esame.

6. Il quarto motivo di ricorso denuncia, quanto alla decisione del giudice di appello di ritenere rinunciata la domanda volta a far valere la compatibilità tra le disposizioni a favore delle ricorrenti di cui alla scheda testamentaria del 3 luglio 1982 con quella della scheda testamentaria del 15/5/1987, la violazione e falsa applicazione degli artt. 189 e 112 c.p.c.

Si ricorda come la sentenza non definitiva della Corte d’Appello avesse rimesso la causa in istruttoria anche per la decisione di tale domanda.

Tuttavia, in maniera inopinata la sentenza definitiva ha ravvisato una rinuncia alla stessa attesa la sua mancata riproposizione in occasione della precisazione delle conclusioni in vista della pronuncia della seconda sentenza.

Assumono le ricorrenti che tale domanda aveva carattere subordinato rispetto a quella di accertamento della falsità dell’olografo, sicché una volta posta la necessità di dover decidere sulla stessa, non poteva il giudice di appello pretendere che fosse trattata come una domanda di carattere principale necessitante una specifica reiterazione.

Ancora, si sottolinea come nella comparsa conclusionale depositata in occasione della seconda sentenza della Corte d’Appello vi fosse un chiaro richiamo all’accoglimento dell’appello principale di (OMISSIS) Maria Ludovica e di quello incidentale di (OMISSIS) Annelisa, il che rende evidente la volontà delle parti di ottenere la decisione su tutte le domande proposte.

Il motivo è parimenti infondato.

La Corte d’Appello, nella sentenza definitiva a pagina 12 ha innanzi tutto richiamato i precedenti di legittimità in tema di presunzione di rinuncia, nel caso di mancata riproduzione in sede di conclusioni di alcune delle domande inizialmente proposte, richiamando anche le condizioni che consentono di ritenere superata la presunzione de qua.

Nello specifico ha, quindi, rilevato che nelle conclusioni di cui all’udienza del 28 gennaio, 2015, peraltro trascritte in sentenza, vi era esplicito riferimento solo alla domanda di invalidità del testamento, stante l’inammissibilità della verificazione.

Al dato formale ha poi fatto seguire la considerazione che la domanda presuntivamente abbandonata non era legata da un nesso di continenza o connessione con quella di validità del testamento, ma ne presupponeva invece il rigetto, non potendosi quindi reputare che il riferimento alla domanda principale potesse necessariamente sorreggere anche la reiterazione della domanda de qua.

Inoltre, mancava qualsiasi riferimento alla stessa sia nella comparsa conclusionale, e ciò a differenza invece di quanto denotava la precedente condotta processuale delle appellanti, che in occasione della precisazione delle conclusioni del 4 luglio 2008 avevano analiticamente trascritto la richiesta di accoglimento della domanda di riconoscimento del legato in loro favore, supportando tale richiesta con specifiche deduzioni nella successiva comparsa conclusionale.

Analoga esplicitazione era poi rinvenibile nelle conclusioni rese all’udienza del 15/2/2013, seguite dalla loro illustrazione nella comparsa conclusionale.

Per l’effetto, la valutazione combinata di tali elementi deponeva per la conclusione della rinuncia alla domanda de qua.

Osserva la Corte che anche di recente è stato riaffermato che (Cass. n. 31571/2019) affinché una domanda possa ritenersi presuntivamente abbandonata dalla parte, non basta la sua mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi anche accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, non emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (conf. Cass.n. 15860/2014; Cass. n. 1603/2012).

È stato altresì precisato (Cass. n. 4794/2006) che tale accertamento compete al giudice del merito, cui spetta il compito di interpretare nella loro esatta portata le conclusioni, le richieste e le deduzioni delle parti (conf. Cass. n. 14964/2006; Cass. n. 10569/2004), con valutazione non sindacabile in sede di legittimità se sorretta da congrua e logica motivazione (conf. Cass. n. 4301/1998).

La Corte d’Appello ha adeguatamente argomentato il proprio convincimento, non arrestando la propria indagine al solo dato formale della mancata formulazione di specifiche conclusioni in relazione a tale autonoma domanda, volta a far accertare la sostanziale sopravvivenza delle disposizioni favorevoli alle ricorrenti di cui al primo testamento, ma ha rilevato che si trattava di una domanda autonoma, il cui esame non poteva reputarsi inscindibilmente connesso alla disamina della domanda di nullità del testamento per difetto di autografia, presupponendo al contrario il rigetto della stessa.

Ha altresì valorizzato il mancato riferimento nello sviluppo della successiva comparsa conclusionale ad argomenti a sostegno della domanda in oggetto (ancorché debba ricordarsi che secondo questa Corte – Cass. n. 4111/1996 – non possono trarsi elementi in senso contrario alla presunzione di abbandono della domanda dal contenuto della comparsa conclusionale che ha solo funzione di illustrare le conclusioni già presentate).

Ha infine, sottolineato come ben diverso fosse stato l’atteggiamento processuale delle appellanti che, in occasione della precisazione delle conclusioni nel corso dello stesso giudizio di appello, avevano invece esplicitato la richiesta di accoglimento della domanda de qua, corroborando tale richiesta con le deduzioni di cui alla comparsa conclusionale.

La censura delle ricorrenti principali sostiene che invece la domanda fosse stata reiterata, ma contrapponendo alle coerenti argomentazioni della Corte distrettuale, un personale convincimento, fondato in parte sul richiamo a precedenti atti difensivi, che invece appaiono idonei a confortare la conclusione che il diverso atteggiamento processuale sia sintomatico della volontà di abbandonare la stessa, ed in parte sul fatto che a seguito della prima sentenza del giudice di appello, essendo stata rimessa la causa in istruttoria per la decisione delle altre domande, non fosse necessario riproporre specificamente quella invece considerata rinunciata, negando però in tal modo il principio sopra richiamato, secondo cui la rinuncia, oltre che essere esplicita, può ricavarsi anche ab implicito.

7. Atteso il rigetto del ricorso principale, va dichiarato assorbito il motivo di ricorso incidentale espressamente condizionato.

8. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale, condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese di legittimità, che liquida in euro 7.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso il 17 dicembre 2020.

Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.