REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29453-2018 proposto da:
MIRABELLO ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO DE LUCA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI (80224030587);
– intimato –
avverso la sentenza n. 93912018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 05/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO CHE:
la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato il ricorso introduttivo di primo grado di Antonio Mirabella avverso l’ordinanza ingiunzione della Direzione Provinciale del Lavoro di Catanzaro, avente ad oggetto il pagamento di Euro 7.662,00, a titolo di sanzioni e spese di notificazione, in relazione alla violazione dell’art. 36 bis, comma 7, lett. a) del D.L. nr. 223 del 2006 per l’omessa annotazione nelle scritture contabili dei nominativi di due lavoratori;
avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione, Antonio Mirabello, affidato ad un unico motivo;
è rimasto intimato il Ministero in epigrafe;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’articolo 380 bis cod.proc.civ.;
CONSIDERATO CHE:
con l’unico motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 325 cod.proc.civ. e dell’art. 23 della legge nr. 689 del 1981 come modificato dall’art. 26 del D.Igs nr. 40 del 2006, ratione temporis applicabile, prima dell’entrata in vigore del D.Igs. nr. 150 del 2011;
secondo l’assunto di parte ricorrente, il ricorso in appello, notificato il 18.5.2015, sarebbe inammissibile, in quanto tardivamente proposto;
il motivo è fondato alla stregua delle considerazioni che seguono;
la fattispecie riguarda un giudizio introdotto il 3.6.2010 ed è relativa ad un’ordinanza ingiunzione emessa per «sanzioni nella materia di lavoro»; dunque, per violazioni diverse da quelle consistenti «nella omissione – o da cui è derivata l’omissione – totale o parziale del versamento dei contributi»;
essa (id est: la fattispecie) è, dunque, disciplinata dal «rito speciale della legge nr. 689 del 1981»( Cass., sez.un., nr. 63 del 2000), per cui l’appello andava proposto nella forma della citazione e non del ricorso ( Cass. nr. 2907 del 2014);
non trova, infatti, applicazione il d.lgs 150 del 2011: la disposizione transitoria di cui all’art. 36 d.Igs. n. 150 del 2011, nella parte in cui prevede che «le norme del presente decreto (tra cui quella dell’art. 6, che assoggetta al rito del lavoro le controversie in tema di opposizione a sanzioni amministrative) si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso» è stata interpretata dalla Corte nel senso che per «procedimenti instaurati», devono intendersi i giudizi di primo grado iniziati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, restando irrilevante l’instaurazione, successivamente a tale data, di un ulteriore grado di giudizio ( Cass.nr.1356 del 2017);
dovendo, pertanto, l’appello proporsi nella forma della citazione e non del ricorso, viene in rilievo il seguente principio: «ove l’appello avverso sentenze in materia di opposizione a ordinanza-ingiunzione, pronunciate ai sensi dell’art. 23 legge nr. 689 del 1981, in giudizi iniziati, in primo grado, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2011, […] sia stato erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte» (Cass. nr. 1356 del 2017);
sulla base degli anzidetti principi, l’appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia del 5.11.2014 è tardivo;
il Ministero ha notificato un primo atto di citazione in appello il 20.2.2015, al quale, tuttavia, non è seguita alcuna iscrizione a ruolo della causa;
l’atto successivo del procedimento è stato intrapreso sempre dal Ministero ed è l’impugnazione di cui si discute, impropriamente promossa nelle forme del ricorso, notificata il 18.5.2015 quando, tuttavia, era definitivamente consumato il potere di impugnare.
A tale riguardo, deve, infatti, osservarsi che, seppure la prima impugnazione non avesse precluso la possibilità di procedere ad una seconda impugnazione, il successivo atto di appello avrebbe dovuto essere proposto nel rispetto (non già del termine lungo di mesi sei decorrenti dalla sentenza – e comunque spirato il 5.5.2015 – ma di quello breve, decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione (20.2.2015), equivalente alla conoscenza legale della decisione impugnata (v. per tutte, Cass. nr. 22957 del 2010);
la constatazione della inammissibilità dev’essere fatta in questa sede dalla Corte e comporta la cassazione senza rinvio della sentenza qui impugnata a norma dell’art. 382, comma 3, cod. proc. civ. (in termini, Cass., sez. un., nr. 23019 del 2008; Cass.nr. 6821 del 2015);
le spese del presente giudizio e dei giudizio di appello seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso;
cassa senza rinvio la sentenza impugnata;
condanna il Ministero in epigrafe al pagamento delle spese del giudizio di appello e del presente giudizio, che liquida, per compensi professionali, rispettivamente in Euro 2.100,00, per il giudizio di appello, e in Euro 2.300,00, per il giudizio di legittimità, oltre Euro 200,00 per esborsi, per ciascun grado, rimborso forfettario dei 15% delle spese generali e accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 6.7.2020.
Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2020.