La Corte di Cassazione rigetta il ricorso del ricorrente che chiedeva la sospensione dell’esecuzione della condanna civile (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 2 settembre 2020, n. 24814).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IMPERIALI Luciano – Presidente –

Dott. MESSINI D’AGOSTINO Piero – Consigliere –

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Rel. Consigliere –

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sull’istanza proposta ai sensi dell’art. 612 c.p.p. da:

LISTA CARMINE, nato a Valsinni il 28.12.1966;

per la sospensione dell’esecuzione della condanna civile, pronunciata con la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano il 27.9.2019;

Visti gli atti, la sentenza e l’istanza;

udita nell’udienza camerale del 24 luglio 2020 la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;

ritenuto di procedere senza formalità.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 27 settembre 2019 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città l’11 dicembre 2018, con cui LISTA CARMINE è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di truffa aggravato, oltre al pagamento delle spese processuali e al risarcimento del danno in favore della parte civile, quantificato in euro 105.377,51 quanto al danno patrimoniale e in euro 5.000,00 quanto al danno non patrimoniale.

Lista Carmine, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’anzidetta sentenza della Corte d’appello e, con istanza del 20 luglio 2020, ha chiesto, ai sensi dell’art. 612 c.p.p., la sospensione dell’esecuzione della condanna civile, che comporterebbe un danno grave ed irreparabile, in quanto la somma da versare sarebbe “tanto elevata da privarlo dei beni necessari per le sue esigenze esistenziali”.

Per di più, l’importo richiesto sarebbe “in assoluto tanto elevato da incidere sensibilmente sullo stato economico di qualunque persona e, sotto tale aspetto, la sospensione dell’esecuzione parrebbe essere soluzione non solo di buon senso ma anche conforme ai principi del nostro codice”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Giova puntualizzare che le Sezioni Unite di questa Corte (n. 53153 del 27/10/2016, Rv. 268181) hanno affermato che la richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna civile, prevista dall’art. 612 c.p.p., é decisa dalla Corte di cassazione con procedura “de plano”, ossia senza adozione di contraddittorio preventivo.

Il massimo Consesso ha giustificato tale conclusione a ragione del fatto che la procedura camerale partecipata va osservata nei casi espressamente previsti per legge mentre nel testo dell’art. 612 citato difettano espliciti riferimenti alla necessità di instaurare il contraddittorio tra le parti.

Inoltre, il rito “de plano”, che non contempla particolari scansioni temporali per gli avvisi alle parti e per il deposito di atti e memorie, è maggiormente compatibile con le esigenze di rapida definizione, sottese all’adozione di un provvedimento inibitorio, di natura cautelare ed urgente, finalizzato a paralizzare l’esecuzione della condanna civile.

2. Deve altresì precisarsi che oggetto del presente giudizio é unicamente la richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna civile pronunciata dal Tribunale di Milano e confermata dalla Corte d’appello della stessa città con la sentenza emessa il 27 settembre 2019.

3. Tale istanza va rigettata.

4. La giurisprudenza di legittimità insegna che, ai fini dell’accoglimento da parte della Corte di cassazione della richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna civile (art. 612 cod. proc. pen.), l’instante deve fornire la prova della futura insolvenza del creditore che metta in pericolo la possibilità di recupero della somma (Sez. 4, n. 19351 del 18/2/2017, Rv. 273202; Sez. 6, n. 9091 del 23/11/2012, dep. 2013, Rv. 255999; Sez. 4, n. 30019 del 5/7/2006, Rv. 234821); ovvero deve dare la prova del pericolo di un “danno grave ed irreparabile”, derivante dall’esecuzione della statuizione; con la precisazione che il danno non deve necessariamente essere costituito dalla distruzione di un bene infungibile, giacché può derivare anche dalla necessità di dover pagare una spropositata somma di denaro, che metta in pericolo non solo la possibilità di recupero, ma altresì elida in modo estremamente rilevante il patrimonio dell’obbligato.

5. Grava sull’instante l’onere di dimostrare che la somma, da versare in esecuzione della condanna, abbia un’incidenza rilevante sul proprio patrimonio, non potendosi ritenere il “grave ed irreparabile” danno solo in base a considerazioni di carattere oggettivo (Sez. 4, n. 1813 del 4/10/2005, Rv. 233180).

Nel caso di specie, l’instante non ha adempiuto all’onere probatorio sul medesimo incombente, essendosi limitato a lamentare di avere subito un calo del suo reddito per il prolungato arresto forzoso dell’attività lavorativa, dovuto alla pandemia COVID19, e di avere rottamato e rateizzato diverse cartelle esattoriali.

A fronte di siffatte deduzioni è evidente che l’instante — già solo sul piano delle affermazioni – ha del tutto genericamente rappresentato di versare in una situazione di difficoltà economica, non avendo neppure indicato l’effettiva consistenza del suo patrimonio e la concreta incidenza del pagamento delle somme de quibus sulle sue disponibilità patrimoniali, così da potersi profilare un pregiudizio grave e irreparabile in relazione alle sue esigenze esistenziali, non potendosi pervenire a siffatta conclusione solo in base alla considerazione dell’entità della somma.

6. In conclusione, l’istanza va rigettata.

7. Non si provvede sulle spese in ragione del carattere interlocutorio di questa pronuncia (cfr. Sez. 4, n. 1813 del 4/10/2005, Rv. 233180).

P.Q.M.

Rigetta l’istanza.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.