Il reato di tortura aggravata concorre con quello di lesioni (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 10 gennaio 2024, n. 1243).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

Composta da:

GRAZIA ROSA ANNA MICCOLI – Presidente –

GIUSEPPE DE MARZO – Relatore –

CARLO RENOLDI

DANIELA BIFULCO

ELENA CARUSILLO

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 21/01/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito ii Sostituto Procuratore generale, dott.ssa PAOLA MASTROBERARDINO, la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Udito l’avvocato (omissis) (omissis) che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 21 gennaio 2022 la Corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato (omissis) alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede in favore della costituita parte civile, in relazione ai delitti di tortura aggravata e di lesioni personali aggravate, commessi in concorso con altre persone separatamente giudicate, (omissis) (omissis) (omissis) (omissis), in danno di (omissis) (omissis) all’interno della casa circondariale di Ferrara il 30 settembre 2017.

1.1. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, il (omissis) dopo il violento pestaggio operato anche mediante l’utilizzo di un ferro per la battitura, era stato lasciato in cella ammanettato, in mutande e senza ciabatte, ed era stato trovato in tali condizioni dalla dottoressa (omissis) nel corso dell’ordinario controllo presso la sezione “nuovi giunti”: il (omissis) presentava «un incisivo spezzato, una ferita lacero-contusa al labbro inferiore, altra ferita al centro della fronte, un evidentissimo ematoma all’occhio sinistro ed altro più lieve sullo zigomo, escoriazioni varie sulla nuca, sulle spalle e sul petto, nonché degli altrettanto evidenti segni di forma cilindrica (verticali, orizzontali e diagonali) disseminati su tutta la schiena».

2. Nell’interesse dell’imputato e stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 att. cod. proc. pen.

2.1. Con il primo motivo si lamenta omessa motivazione in ordine al contrasto tra le dichiarazioni della persona e quelle dell’assistente capo (omissis) (omissis) quale dedotto con ii primo motivo di appello.

Secondo il ricorso, dal momento che il (omissis) aveva attribuito l’aggressione a tre soggetti e che due di costoro erano certamente il (omissis) (omissis) la dichiarazione del (omissis) (omissis) di essere entrato in cella e di avervi trovato questi ultimi due e il detenuto già ammanettato scardinava la ritenuta decisività del riconoscimento operato dalla persona offesa, quanta al (omissis) nel senso che esso poteva essere ritenuto solo frutto o di mendacio o di errore di persona.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta, sempre con riferimento alla mancata considerazione delle dichiarazioni del (omissis) travisamento per omissione di una prova decisiva.

2.3. Con il terzo motivo si lamenta contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova, con riguardo alle dichiarazioni della comandante (omissis) (omissis) alle quali la sentenza impugnata aveva attribuito evidente significato ai fini dell’affermazione di responsabilità. Tuttavia, la (omissis) non aveva mai dichiarato  –  secondo quanto rilevato dalla Corte territoriale – di avere riconosciuto nelle immagini del sistema di videosorveglianza il (omissis) in ragione della capigliatura, ma si era limitata a riferire testualmente «durante le operazioni di perquisizione davanti alla cella n. 2 ci sono (omissis) probabilmente (omissis) e un terzo soggetto che non si riesce ad identificare… (dalla capigliatura parrebbe (omissis))

Aggiunge il ricorso che il dato – non oggetto di doppia valutazione conforme da parte dei giudici di merito, dal momento che la sentenza di primo grado lo aveva confinato a mero elemento di conforto della ricostruzione – era servito alla Corte d’appello per superare sbrigativamente le considerazioni difensive che proprio dai filmati avevano tratto elemento di conferma delle dichiarazioni del (omissis) di non essere mai stato dentro o anche solo vicino alla cella: conclusione, del resto, sostenuta da quanto affermato da tutti gli altri soggetti ascoltati.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta mancanza di motivazione in ordine all’attendibilità della persona offesa, alla luce dei precedenti penali e disciplinari di quest’ultimo, che erano stati richiamati dalla difesa in quanto significativi di una personalità e di un contegno affatto difformi da quelli che il (omissis) si era attribuito nella denuncia.

2.5. Con il quinto motivo si lamenta illogicità della motivazione con riguardo all’attendibilità della persona offesa, per avere la Corte territoriale valorizzato, a sostegno della propria positiva conclusione, le risultanze del referto medico (in realtà compatibili anche con la versione dei «poliziotti») e l’assenza di personali motivi di rancore e di astio, senza considerare che il (omissis) avrebbe ben potuto tentare di scaricare le responsabilità dello scontro sugli agenti, per evitare l’ennesima denuncia per resistenza a pubblico ufficiale.

2.6. Con il sesto motivo si lamenta omessa motivazione della Corte territoriale, in relazione alla criticata individuazione, da parte della sentenza di primo grado, di un movente ritorsivo nei confronti del (omissis) per avere «creato svariati problemi nel corso della sua detenzione».

La Corte d’appello, ritenendo irrilevante l’indagine, si era sottratta ad un tema:

a) che avrebbe reso credibile la versione dei coimputati in ordine all’aggressione subita da parte del (omissis) ciò avrebbe screditato l’attendibilità di quest’ultimo, peraltro, a tutto voler concedere, consentendo di ricondurre la condotta dei primi due alla fattispecie di cui all’art. 582 cod. pen.;

b) che avrebbe ancora più giovato alla ricostruzione della posizione del (omissis) intervenuto, anche secondo l’ipotesi accusatoria, in un secondo momento, quando non aveva contezza delle ragioni del contrasto, talché poteva legittimamente ritenere sussistente una resistenza del detenuto nei confronti dei colleghi;

c) che aveva comunque incidenza sulla sussistenza della premeditazione.

2.7. Con il settimo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente il delitto di cui all’art. 613-bis pen., senza considerare:

a) che l’azione si era svolta nel giro di pochi minuti, in un unico contesto spazio-temporale, con la conseguenza che non era ravvisabile una reiterazione di condotte;

b) che non era stato posto in essere un trattamento particolarmente inumano o degradante per la dignità della persona poiché l’ammanettamento aveva rappresentato un – sia pur non consentito – mezzo di contenzione, volto a neutralizzare eventuali atti violenti auto ed etero-diretti da parte del detenuto, inevitabilmente molto agitato dopo i fatti;

c) che le sofferenze lamentate dalla persona offesa non potevano essere qualificate come acute, dal momento che si erano sostanziate in lesioni guaribili in quindici giorni.

2.8. Con l’ottavo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, con riferimento al mancato assorbimento del reato di lesioni nella circostanza aggravante di cui al quarto comma dell’art. 613-bis pen.

2.9. Con il nono motivo si lamenta contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente il pieno coinvolgimento del (omissis) nelle condotte delittuose, senza considerare che la stessa persona offesa aveva collocato l’intervento del ricorrente solo nella seconda parte della vicenda, quando, secondo la stessa sentenza impugnata, «le condizioni della vittima erano già gravemente pregiudicate dall’azione del correo». Si sottolinea, inoltre, che già il giudice di primo grado aveva concesso le circostanze attenuanti generiche per essere il contributo stato limitato «ad una porzione della condotta».

2.10 Con il decimo motivo si lamenta, con riguardo al medesimo tema, violazione di legge per la mancata applicazione dell’art. 114 cod. pen.

2.11. Con l’undicesimo motivo si lamenta mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione della circostanza attenuante della provocazione, richiesta con il quarto motivo di appello, applicabile quantomeno ai sensi dell’art. 60 cod. pen., tenuto conto del fatto che il (omissis) intervenuto nella seconda fase dell’episodio, ben avrebbe potuto interpretare la vicenda coma una aggressione da parte del detenuto nei confronti dei colleghi.

2.12. Con il dodicesimo motivo, con riguardo allo stesso tema di cui all’undicesimo motivo, si lamenta violazione di legge per la mancata applicazione degli artt. 60 e 62, n. 2, cod. pen.

2.13. Con il tredicesimo motivo si lamenta mancanza di adeguata motivazione in ordine al confermato giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche, fondato dalla Corte territoriale sulla mera riedizione degli argomenti adoperati dal giudice di primo grado e sul richiamo a quelli che rappresentano gli elementi costitutivi del reato.

2.14. Con il quattordicesimo motivo si lamenta, nella stessa prospettiva di cui al tredicesimo motivo, erronea applicazione dell’art. 69 cod. pen., aggiungendo che il primo giudice, nel dispositivo, aveva riferito il giudizio di bilanciamento alle «contestate aggravanti», pur riconoscendo in motivazione che la circostanza aggravante considerata era una soltanto, ossia quella di cui al secondo comma dell’art. 613-bis cod. pen. La medesima incertezza era ravvisabile anche nella motivazione della sentenza impugnata.

Ne discende, secondo il ricorso, la violazione del costante orientamento di legittimità secondo il quale il giudizio di bilanciamento va operato in relazione alla determinazione della pena per la violazione più grave, mentre delle circostanze concernenti i reati-satellite si deve tener conto solo per graduare l’aumento di pena di cui all’art. 81 cod. pen.

2.15. Con il quindicesimo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale, in violazione del principio del ne bis in idem, utilizzato, ai fini del giudizio di bilanciamento, «le stesse ragioni che giustificano il discostamento dal minimo edittale».

3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa Paola Mastroberardino, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

4. All’udienza del 20 dicembre 2023 si é svolta la discussione.

Considerato in diritto

1. I primi due motivi, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono aspecifici.

Poiché il dato é rilevante, ai fini della valutazione dei motivi di ricorso, si osserva che, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, il (omissis) non é affatto intervenuto in un secondo momento, se non nel senso che ha picchiato la vittima dopo che il “brigadiere”, ossia il (omissis) aveva iniziato il pestaggio in danno del (omissis) e dopo che  quest’ultimo era stato ammanettato.

Secondo le coerenti sentenze di primo e secondo grado, il (omissis) era entrato con i due colleghi nella cella e, dopo l’azione aggressiva del suo superiore, gli aveva passato un coltello con il quale il (omissis) aveva minacciato il detenuto; poi, dicendo che “toccava a lui”, aveva proseguito il pestaggio con pugni e calci mentre la vittima era in ginocchio.

Questa lettura delle due sentenze non e smentita dal fatto che ii Tribunale abbia ritenuto di concedere al (omissis) le circostanze attenuanti generiche.

La valorizzazione, da parte del giudice di primo grado, della partecipazione del ricorrente ad una “porzione della condotta” non può essere letta isolatamente dal contesto motivazionale nel quale si sottolinea che siffatto segmento dell’azione non era di scarsa rilevanza, alla luce di “qualche colpo sferrato” e del passaggio del coltellino. Ma, soprattutto, il pur non lineare passaggio motivazionale si colloca sul piano delle valutazioni finalizzate ad adeguare la pena alla dimensione oggettiva e soggettiva del fatto, senza intaccare la ricostruzione fattuale della vicenda quale emerge univocamente dalla struttura della sentenza, confermata dalla decisione della Corte territoriale.

Ciò posto, occorre premettere che il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugnato ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività, ma deve, invece:

a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento;

b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza;

c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda;

d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085 – 01).

II profilo della decisività attraversa anche ii vizio di omessa motivazione su un motivo di impugnazione (v., ad es., con riguardo al carattere apparente della motivazione o alla sua inesistenza, Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mule, Rv. 279284 – 0, in tema di giudizio di prevenzione, ma con affermazioni di carattere generale).

Ora, già sul piano dell’articolazione della censura, la critica sviluppata in ricorso e del tutto generica, dal momento sarebbe entrato nella cella, trovandovi il (omissis) ammanettato. Poiché non c’è nessuna emergenza processuale che confermi che il (omissis) (omissis) sia rimasto nella cella anche dopo la fine del pestaggio, il dato dell’ingresso del (omissis) é del tutto inidoneo a scardinare la tenuta logica della motivazione.

La lettura delle dichiarazioni allegate al ricorso conferma la loro assoluta irrilevanza, posto che il (omissis) ha riferito appunto di essere entrato nella cella e di avervi trovato i due colleghi che lo avevano rassicurato sul fatto che la situazione fosse sotto controllo; il (omissis) era accovacciato e ammanettato: tanto conferma che l’ingresso del dichiarante si colloca in un momento successivo alla fine dell’aggressione.

Per completezza, va aggiunto che la sentenza impugnata contiene elementi relativi alla assoluta irrilevanza dell’apporto del (omissis) nel momento in cui, occupandosi, ad altri fini, come si vedrà nell’esame del terzo motivo di ricorso, delle immagini tratte dal sistema di videosorveglianza, colloca il passaggio dell'(omissis) e del (omissis) in un momento certamente successivo all’inizio dell’azione aggressiva.

2. II terzo motivo è, del pari, privo di specificità.

La Corte territoriale, dopo avere ampiamente e logicamente illustrato le ragioni del giudizio di attendibilità espresso, quanta alle dichiarazioni del (omissis)­ alla luce di plurimi elementi di verifica razionale della veridicità del suo narrato (tema sul quale si tornerà nell’esame dei successivi motivi di ricorso), ha sottolineato in termini non equivoci la rilevanza assegnata alle riprese del sistema di sorveglianza. Da esse si traggono risultanze che «non smentiscono affatto la versione fornita dalla persona offesa e offrono, al contrario, elementi a sostegno della partecipazione del (omissis) al reato».

In altri termini, é reso evidente dal tessuto argomentativo della sentenza impugnata che la prova della responsabilità dell’imputato e fondata sui precedenti elementi analizzati e che le immagini, che «riportano una rappresentazione parziale, frammentaria e incompleta degli accadimenti», si limitano a confortare (questo il verbo adoperato in sentenza) il narrato della persona offesa, quanta all’ingresso del (omissis) in cella sin dal principio dell’azione, in tal modo smentendo la versione del (omissis) che aveva riferito di un successivo intervento del primo, in suo ausilio, a seguito delle resistenze del (omissis).

La sentenza prosegue aggiungendo che “inoltre” le riprese dimostrano l’esistenza di una terza persona (usando l’espressione contestata dal ricorrente) “riconosciuta dalla Comandante (omissis) in ragione della  capigliatura nel (omissis). Sennonché, la medesima sentenza riporta in nota un brano nel quale si indica chiaramente la diversa espressione “dalla capigliatura parrebbe (omissis) che dimostra, come del resto puntualmente riconosciuto dal primo giudice, che si tratta di una valutazione di carattere probabilistico che, di per se, non avrebbe mai condotto, isolatamente considerata, ad alcuna logica pronuncia di condanna.

In altri termini, il ricorso, attraverso un artificioso frazionamento delle argomentazioni della sentenza di secondo grado, invece di cogliere che la puntualizzazione riportata nella nota a piè di pagina chiarisce la reale, limitata portata ricostruttiva attribuita al “riconoscimento” del quale si tratta, considera la prima affermazione in termini di attribuzione di rilevanza centrale al riconoscimento, per poi trarre dalla nota ricordata conferma della contraddittorietà e illogicità della premessa.

3. II quarto, il quinto e il sesto motivo devono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica e sono privi di specificità.

La valutazione di attendibilità della persona offesa e stata operata dai giudici di merito, valorizzando non solo la sostanziale costanza delle dichiarazioni della prima, ma anche, come si diceva, una serie di indici di verifica razionale, dei quali il ricorso si disinteressa necessariamente, finendo per cadere nella assoluta assenza di specificità.

In sintesi, si tratta:

a) delle tracce materiali e degli esiti dell’aggressione;

b) dell’assenza di lesioni agli arti del (omissis) e della presenza delle stesse sugli arti del (omissis);

c) dell’assenza di lesioni in danno di quest’ultimo riconducibili al pugno che egli aveva affermato di avere sofferto per l’iniziativa aggressiva del detenuto;

d) delle gravissime violazioni di regole di condotta da parte, secondo i casi, del (omissis) e dei correi (l’uso delle manette, la mancata segnalazione della circostanza da parte degli agenti ai loro superiori; la falsità del racconto degli agenti quanto al possesso, da parte del (omissis) di un coltello).

In tale contesto, anche a voler tacere dell’assenza di doglianze specifiche del ricorso su tali aspetti, i profili con i quali la Corte territoriale ha superato le critiche sollevate al racconto della persona offesa non si espongono alle censure del ricorso.

In particolare, i precedenti del (omissis) (quarto motivo), se anche fossero in grado di smentire in astratto la personalità pacifica attribuitasi dal primo, proprio per la loro valenza generale, non possono scardinare la tenuta di un percorso argomentativo saldamente agganciato alle specifiche, concrete risultanze del processo.

Ancora, il prospettato tentativo di scaricare sugli agenti la responsabilità dello scontro (quinto motivo), oltre ad essere deduzione meramente congetturale, non spiega perché, in assenza di motivi di astio, il detenuto, con una ricostruzione resa sostanzialmente nell’immediatezza dei fatti (e, quindi, come osserva la Corte d’appello, senza avere il tempo di “inventare” un succedersi degli avvenimenti che trova ampio riscontro nelle risultanze obiettive e nelle omissioni, quando non nelle menzogne, degli agenti), avrebbe dovuto coinvolgere il ricorrente, che assume di non essere «mai stato dentro o anche solo vicino alla cella» (pag. 7 del ricorso).

Del pari, con specifico riguardo al sesto motivo, l’esistenza o non di una spedizione punitiva nei confronti del  (omissis) che aveva creato svariati problemi nel corso della sua detenzione, é stata esattamente ritenuta irrilevante dalla Corte territoriale, senza che ciò incida sulla credibilità del racconto della persona offesa, affidata, come detto, a solidi ed oggettivi elementi di verifica o sulla posizione del (omissis) che, come si é detto e si ribadirà, non é intervenuto solo in un secondo momento, se non nel senso, del tutto irrilevante ai fini del decidere, che ha picchiato il detenuto dopo il suo superiore.

Quanta poi alla rilevanza della questione ai fini dell’accertamento della premeditazione, si osserva che la deduzione e del tutto generica e non si raccorda ad alcuna puntualizzazione che indichi come l’atto di appello avrebbe illustrato l’incidenza dello specifico movente del quale s’e detto sull’accertamento della circostanza aggravante, introducendo un tema fattuale che la motivazione della Corte d’appello avrebbe eluso.

4. II settimo motivo é infondato.

Questa Corte ha chiarito, innanzi tutto, che il delitto di tortura e stato configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell’incolumità o della liberta individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona (Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544 – 01).

Nel caso di specie, sarebbe sufficiente osservare che, dopo la violenta aggressione, il detenuto e stato lasciato in cella, ammanettato e in mutande per dare conto della gravissima lesione della dignità che é stata consumata nei suoi confronti da parte di chi, proprio perché rappresenta lo Stato, e più di ogni altro chiamato a rispettare la personalità di coloro che sono posti in condizioni di restrizione della libertà personale e affidati alla custodia e al controllo delle Istituzioni.

Ma deve aggiungersi che, ai fini dell’integrazione del delitto di tortura di cui all’art. 613-bis, comma primo, cod. pen. (e, naturalmente, ferma restando la necessita che ricorrano gli altri elementi costitutivi della fattispecie), la locuzione “mediante più condotte” va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico (Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841 – 01, la quale ha, altresì, precisato che la crudeltà della condotta :;i concretizza in presenza di un comportamento eccedente rispetto alla normalità causale, che determina nella vittima sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore particolarmente riprovevole dell’autore del fatto).

Sempre alla luce della ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza e oggetto del generico settimo motivo di ricorso, va ribadito che il “trauma psichico verificabile”, previsto dall’art. 613-bis cod. pen. non deve necessariamente tradursi in una sindrome duratura da “trauma psichico strutturato” (PTSD) e può consistere anche in una condizione critica temporanea che risulti, per le sue caratteristiche, non integrabile nel pregresso sistema psichico della vittima, sì da minacciarne la coesione mentale e di tale condizione la norma richiede l’oggettiva riscontrabilità, che non esige necessariamente l’accertamento peritale, ne l’inquadramento in categorie nosografiche predefinite, potendo assumere rilievo anche gli elementi sintomatici ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dal suo comportamento successivo alla condotta dell’agente e dalle concrete modalità di quest’ultima (Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, R., Rv. 277544 – 02).

Tutti profili sui quali la sentenza impugnata indugia senza incontrare alcuna critica specifica da parte del ricorrente.

5. Infondato é anche l’ottavo motivo, dal momento che l’interpretazione, letterale e sistematica, del quarto comma dell’art. 613-bis cod. orienta verso l’individuazione di un’ipotesi di reato aggravato dall’evento (che le lesioni costituiscano elemento circostanziale, non necessario ai fini del perfezionamento del reato base, e affermato in motivazione da Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019, S., Rv. 277841 – 0).

In altri termini, la previsione normativa mira non già ad attenuare, sul piano delta dosimetria della pena, anche per effetto del possibile  giudizio di bilanciamento (in questa sede, per quanta si dirà, e ultronea ogni considerazione sulle varie questioni applicative determinate dai reati aggravati dall’evento), le conseguenze discendenti da un’azione dolosamente diretta, come nella specie, a provocare lesioni, ma solo ad aggravare la risposta sanzionatoria al verificarsi, quale conseguenza non voluta dell’azione, delle lesioni stesse.

Anticipando i risultati dell’analisi, si osserva che la diversa scelta del quinto comma dello stesso art. 613-bis cod. pen. di differenziare il caso in cui la morte sia una conseguenza non voluta da quello in cui sia una conseguenza voluta non é affatto incompatibile con l’analisi della struttura variabile dei cd. reati aggravati dall’evento (per un’ipotesi contravvenzionale, v., ad es., l’21rt. 689, quarto comma, cod. pen.), espressione dietro la quale si  unificano soluzioni sanzionatorie diversificate e non sempre frutto di un meditato inquadramento sistematico.

Ai fini del decidere, si rileva che non é in discussione che l’evento delle lesioni rientrasse nel fuoco del dolo degli agenti.

II ricorrente contesta principalmente, salvo quanta si dirà oltre, con i motivi sopra analizzati nei termini dei quali s’e detto, di avere partecipato all’azione criminosa; in ogni caso, la condotta degli agenti, secondo la puntuale ricostruzione dei giudici di merito, era finalizzata a provocare lesioni, come dimostrano i ripetuti colpi inferti anche con uno strumento in ferro.

In questa sede, pertanto, non si pone, come si diceva, direttamente il problema di scandagliare i profili controversi che caratterizzano la concreta applicazione delle norme con le quali il legislatore prevede la punibilità di un comportamento, comminando una sanzione penale più grave, se da siffatto comportamento derivi un evento tipico (in particolare, se l’accadimento ulteriore sia circostanza aggravante o elemento costitutivo di un’autonoma fattispecie incriminatrice, con le conseguenze in tema di criteri di imputazione soggettiva o di possibilità di operare il giudizio di comparazione di cui all’art. 69 cod. pen.).

II tema centrale e rappresentato dal fatto che le varie previsioni ricondotte alla mobile categoria dei reati aggravati dall’evento sono state dalla dottrina classificate in varie ipotesi:

1) i reati aggravati da un evento necessariamente voluto (ad es., art. 243, secondo comma, cod. pen.; 286, secondo comma, cod. pen.; art. 434, secondo comma, cod. pen.; art. 642, secondo comma, cod. pen.;

2) i reati aggravati da un evento che indifferentemente può essere o non voluto (ad es., ii delitto di calunnia, aggravato se dal fatto deriva la condanna dell’innocente ad una determinata pena: art. 368, terzo comma, cod. pen.);

3) i reati nei quali l’evento non può essere voluto poiché ii reato base ha struttura colposa (ad. es., art. 452, in relazione all’art. 449, secondo comma, cod. pen.);

4) i reati aggravati da un evento necessariamente non voluto, in quanto, se fosse voluto, si realizzerebbe il perfezionamento di un’autonoma fattispecie incriminatrice dolosa (ad es., art. 571, secondo comma, cod. pen.; 572, secondo comma, cod. pen.; 588, secondo comma, cod. pen.).

Proprio quest’ultima ipotesi rivela, peraltro, che la ricostruzione del significato delle diverse previsioni si correla, oltre che con profili strutturali, con ii problema del concorso apparente di norme incriminatrici.

Sul piano letterale, il quarto comma dell’art. 613-bis in esame focalizza la sua attenzione sulla «derivazione» delle lesioni dai fatti di cui al primo comma, in tal modo sottolineando la centralità del nesso eziologico tra condotta ed evento ed esprimendo una scelta finalizzata ad isolare l’ipotesi dal caso in cui le lesioni, ben più intensamente che essere il mero termine di un processo causale, costituiscano oggetto della rappresentazione e volontà dell’agente.

Sul piano sistematico, la finalità di inasprire ii trattamento sanzionatorio, per il caso che dai «fatti di cui al primo comma» derivi l’evento delle lesioni, ossia una conseguenza, per quanto sopra detto, non necessaria ai  fini del perfezionamento della fattispecie incriminatrice-base, é incompatibile con l’intenzione del legislatore di provocare l’assorbimento del delitto doloso di lesioni in quello di tortura, rendendolo un mero elemento circostanziale.

In altri termini, proprio l’esistenza di un’autonoma fattispecie dolosa, in difetto di indici normativi diversi e, anzi, tenuto canto delle finalità di colmare una lacuna nell’ordinamento stigmatizzata dalla giurisprudenza sovranazionale (v., ad es., Corte EDU, 22 giugno 2017, Bartesaghi Gallo e altri c. Italia, in particolare, par. 121, che richiama le conclusioni della propria giurisprudenza nella sentenza Cestaro c. Italia, 7 aprile 2015), dimostra che la previsione del quarto comma dell’art. 613- ter cod. pen. va intesa, pur in assenza di alcuna limitazione esplicita, come circoscritta al caso delle lesioni non volute. In caso contrario, si realizzerà un concorso di reati.

A diverse conclusioni non conduce la previsione, nel quinto comma, dell’esplicita distinzione, per l’ipotesi del verificarsi dell’evento morte, tra il caso in cui esso non sia voluto e il caso nel quale sia voluto.

La differenziazione normativa, pur sollevando, per quest’ultima ipotesi, criticità che in questa sede non occorre esaminare per difetto di rilevanza (basti pensare alla singolarità dell’attribuzione dolosa dell’evento ulteriore, che sembra collocare la previsione al di fuori della categoria dei delitti aggravati dall’evento, e alle questioni di svilimento dell’esigenza di protezione di beni fondamentali, quali potrebbero scaturire dalla possibilità di operare il giudizio di bilanciamento tra circostanze, finendo per rendere applicabile, per un omicidio volontario la più ridotta pena base prevista dall’art. 613-ter cod. pen.), per la prima ipotesi prevede senz’altro un inasprimento sanzionatorio rispetto alle conseguenze scaturenti dall’art. 586 cod. pen.

Va ribadito che, in questa sede, non é necessario soffermarsi sui dubbi di razionalità del quinto comma dell’art. 613-ter cod. pen., essendo sufficiente, a livello sistematico, prendere atto che da esso non può trarsi alcuna implicazione sulla lettura del precedente quarto comma, nel senso che l’esplicita distinzione operata tra evento morte voluto e non voluto non rende ii silenzio sul punto del quarto comma come significativo dell’irrilevanza della volontà dell’agente rispetto alle lesioni.

Esattamente, pertanto, la Corte territoriale ha confermato l’attribuzione del delitto di lesioni, oggetto della consapevole e volontaria azione dei correi.

6. II nono e il decimo motivo vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica.

Essi sono manifestamente infondati e privi di specificità, in quanto presuppongono una ricostruzione fattuale che non trova alcun fondamento, per quanto sopra osservato.

II (omissis) anche nelle dichiarazioni della persona offesa, e, secondo quanto razionalmente accertato dai giudici di merito, presente sin dal primo momento, anche se la sua personale aggressione fisica interviene dopo quella del suo superiore, al quale passa un coltellino, per poi continuare a picchiare un detenuto ormai ammanettato.

Ed é assolutamente paradossale che il ricorrente, a sostegno della sua tesi di una partecipazione di minima importanza, ai sensi dell’art. 114 cod. pen., giunga a valorizzare il riferimento della sentenza impugnata al fatto che la sua violenza ebbe a dispiegarsi «quando le condizioni della vittima erano già gravemente pregiudicate dall’azione del correo»: ciò che, nella prospettiva del reato ritenuto, connota in termini ancora più gravi l’inaccettabile abuso commesso da uomini delle Istituzioni su una persona affidata alla loro custodia e al loro controllo.

7. L’undicesimo e ii dodicesimo motivo vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica.

Essi sono privi di specificità e manifestamente infondati, in quanto, ancora una volta, presuppongono una ricostruzione dei fatti che non trova alcun fondamento nel razionale accertamento dei giudici di merito.

La presenza, sin dal principio, del (omissis) all’aggressione rende priva di qualunque razionale fondamento la tesi della possibile percezione, da parte sua, di una situazione qualificabile come reazione ad un fatto ingiusto del detenuto.

8. II tredicesimo motivo é manifestamente infondato e privo di specificità.

La Corte territoriale non ha affatto richiamato in termini generali gli elementi costitutivi del reato, ma ha valorizzato le modalità esecutive della condotta, avendo quindi riguardo non ai dati astratti della fattispecie, ma al concreto atteggiarsi del comportamento del ricorrente.

Tanto vale ad escludere qualunque errore giuridico o illogicità nell’esercizio del potere discrezionale riconosciuto al giudice di merito nell’operare le valutazioni richieste dall’art. 69 cod. pen.

9. II quattordicesimo motivo é infondato poiché inequivoca e, nelle due sentenze di merito, la ritenuta considerazione, ai fini del giudizio di bilanciamento, della sola circostanza aggravante di cui all’art. 613-bis, secondo comma, cod. pen.

II chiaro tenore letterale delle motivazioni giustifica tale conclusione, che non resta incrinata dal fatto che la sentenza della Corte territoriale, prima di illustrare le ragioni del confermato giudizio di equivalenza, abbia premesso la frase «Le stesse ragioni che giustificano ii discostamento dal minima edittale, operato dal giudice di prime cure, ostano ad un diverso bilanciamento tra circostanze attenuanti generiche ed aggravanti».

L’uso del plurale, infatti, che sia un errore di battitura o che nasca dal carattere generale dell’espressione adoperata, non toglie che la conferma del giudizio di bilanciamento e affidata ad una motivazione che non assume in alcun modo, a dati dell’argomentazione giuridica, l’esistenza di una pluralità di circostanze.

10. II quindicesimo motivo é infondato, dal momento che, alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità  (v., ad , Sez. 3, n.  17054 del 13/12/2018, dep. 2019, M., Rv. 275904 – 0), il carattere unitario delle valutazioni dosimetriche, tutte ruotanti attorno alla ponderazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., ai fini dell’adeguamento della risposta sanzionatoria alle caratteristiche oggettive e soggettive della vicenda, consente di tenere conto del medesimo data di fatto sotto differenti profili e per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem.

Più in particolare, tenendo conto del peso maggiore che si vorrebbe attribuire, nel caso di specie, per effetto di un diverso giudizio di bilanciamento, alle circostanze generiche rispetto alla ritenuta sussistenza di una circostanza aggravante, va sottolineata l’incompatibilità logico-giuridica della censura con ii sistema di determinazione della pena.

L’aggravamento sanzionatorio che la Corte territoriale ha confermato, quanto al discostamento dal minimo edittale, si giustifica in ragione della ritenuta gravita, oggettiva e soggettiva, del fatto; al contrario, il mero giudizio di equivalenza delle circostanze generiche si spiega con l’inesistenza di elementi positivi di tale pregnanza da consentire (non solo di elidere il peso della circostanza aggravante ritenuta, ma anche) di ridurre l’entità della pena base.

Si tratta di valutazioni diverse, che, a ben vedere, riposano su presupposti diversi: ai fini della determinazione della pena, la gravità, oggettiva e soggettiva, del fatto, anche in relazione ai suoi elementi circostanziali, serve a individuare, nella forbice prevista dal legislatore, la pena base; ai fini del riconoscimento delle circostanze generiche e del giudizio di bilanciamento, la gravità indica soltanto uno dei termini necessari della comparazione rispetto al quale e necessario individuare elementi positivi di tale pregnanza da incidere in senso riduttivo sulla pena base così come determinata.

11. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 20/12/2023.

Depositato in Cancelleria, Roma lì 10 gennaio 2024.

SENTENZA