Imposta sui redditi: accertamento (Corte di Cassazione Civile, Sezione V, Ordinanza 15 settembre 2017, n. 21424).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 17332 del ruolo generale dell’anno 2010, proposto da:

s.r.l. LI.FIN. -Ligure finanziaria in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del ricorso, dagli avvocati Luigi Manzi e Cesare Glendi, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del primo in Roma, alla via F. Confalonieri, n. 5

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;

– controricorrente e ricorrente in via incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata in data 11 maggio 2009, n. 54.

Svolgimento del processo

La pretesa impositiva scaturisce dall’esame dei conti correnti della società contribuente e dei suoi soci, che ha fatto emergere in relazione all’anno 1999 prelievi e versamenti che non sono stati adeguatamente giustificati, di modo che sono stati considerati ricavi non contabilizzati ai fini delle imposte dirette ed operazioni imponibili non contabilizzate ai fini dell’iva.

Ne è scaturito un avviso di accertamento col quale si sono recuperate le maggiori imposte (irpeg, irap ed iva), che la società ha impugnato, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale.

Quella regionale ha parzialmente accolto l’appello, ritenendo adeguatamente giustificata la pretesa, ma con esclusione dei prelievi dei quattro soci perchè, ha sottolineato, in relazione ad essi l’avviso scaturisce da una doppia presunzione, ossia che quanto prelevato dal singolo sia stato utilizzato per acquisti in nero, da investire in successive vendite, sempre in nero, delle merci acquistate, con indebita percezione dei redditi, sottratti ad imposizione.

Il giudice d’appello ha poi escluso la pregiudizialità di altra decisione della Commissione tributaria provinciale concernente il 1997 e, quanto alla notificazione dell’avviso, ha respinto l’eccezione d’inesistenza, rilevando che la notificazione è avvenuta presso l’ufficio della commercialista della società, eletto come domicilio fiscale di questa.

Contro questa sentenza la società propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a sei motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso e ricorso incidentale, articolato in quattro mezzi.

Motivi della decisione

1.-Infondato è il primo motivo del ricorso principale, o proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale la società lamenta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. d) e degli artt. 156 c.p.c. e segg., sostenendo che la notificazione dell’avviso, ricevuta da tale B.M., c/o studio V., sia inesistente, perchè eseguita nei confronti di persona che nessun rapporto ha mai avuto con la Li.Fin..

Sul punto, difatti, le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 20 luglio 2016, n. 14916) hanno chiarito che il luogo in cui la notificazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, di modo che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità).

L’inesistenza della notificazione è di contro configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità; tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, si da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

Questi principi, benchè espressi con riguardo alla notificazione del ricorso per cassazione, sono applicabili, per la loro portata generale, altresì alla notificazione dell’avviso (per la loro estensione alla notificazione della cartella di pagamento, vedi Cass. 28 ottobre 2016, n. 21865).

Per conseguenza, nel caso in esame i vizi della notificazione, anche qualora sussistenti, sono stati sanati dalla tempestiva impugnazione dell’avviso ad opera della contribuente.

2.- Inammissibili sono poi il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, con i quali, in entrambi i casi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la contribuente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sull’illegittimità dell’indagine sui conti bancari disposta dal Comandante di zona in mancanza di indizi di evasione (secondo motivo), nonché sulla nullità dell’avviso per difetto di motivazione in ordine alla riferibilità alla società delle risultanze dei conti dei quattro soci (terzo motivo).

2.1.- Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; conf., tra varie, 11 settembre 2015, n. 17956).

2.2.- Il che è quanto accaduto nel caso in esame, in cui i profili coinvolgono aspetti preliminari, inequivocabilmente superati dalla decisione di fondatezza nel merito, nei limiti indicati in narrativa, dell’avviso di accertamento.

2.2.1.- A tanto va aggiunto, con riguardo al terzo motivo, che si manifesta un ulteriore profilo d’inammissibilità, per mancanza di soccombenza e, quindi, d’interesse ad agire, là dove il giudice d’appello, sia pure soltanto con riguardo ai prelievi dei soci, ha escluso che i conti loro intestati fossero in realtà riferibili alla società.

3.- Con il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, da esaminare congiuntamente perché connessi, la società deduce, rispettivamente, violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, in combinazione con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, n. 2, nonché con il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, e con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 3, (quarto motivo), nonché, in subordine, insufficiente motivazione sui relativi profili in fatto (quinto motivo).

La ricorrente censura la sentenza impugnata perchè il giudice d’appello, nel ritenere riferibili alla società i versamenti risultanti dai conti correnti dei soci, non avrebbe considerato che la presunzione legale prevista a carico del contribuente, secondo cui i versamenti non giustificati si presumono ricavi, opera con riferimento ai soli conti bancari intestati al contribuente e non riguardo ai conti bancari intestati a terzi, salvo prova contraria, anche mediante presunzioni, posta a carico dell’ente impositore, che in realtà si tratti di conti bancari del contribuente o a sua disposizione, e non di terzi.

I motivi sono infondati, come già questa Corte ha ritenuto in fattispecie in tutto analoga, riguardante le medesime parti (Cass. 31 gennaio 2017, n. 2414).

3.1.- Per consolidata giurisprudenza (in particolare, cfr. Cass. 22 aprile 2016, n. 8112), in sede di rettifica e di accertamento d’ufficio delle imposte sui redditi l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorchè risulti provata dall’amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati, senza necessità di provare altresì che tutte le movimentazioni di tali rapporti rispecchino operazioni aziendali, atteso che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e dell’omologa norma in tema di iva, incombe sulla contribuente dimostrarne l’estraneità alla propria attività di impresa.

3.2.- Nel caso in esame, nessuna violazione dell’art. 2697 c.c. si prospetta, in quanto il giudice d’appello non ha mostrato di invertire l’onere della prova, ma ha valutato gli elementi probatori sottopostigli.

In particolare, con congrua motivazione ha valorizzato l’entità delle operazioni, in combinazione con la circostanza che tutti i soci operavano sul conto corrente sociale.

3.3.- Elementi, questi, che assumono particolare pregnanza alla luce della considerazione, sottolineata da Cass. n. 2414/17, della ristretta compagine sociale della s.r.l. LI.FIN.; in tal caso, infatti, per intuibili ragioni, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei soci debbano -in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario-ascriversi allo stesso ente sottoposto a verifica.

4. Quanto al sesto motivo di ricorso, col quale la società torna a denunciare omessa pronuncia in ordine all’illegittimità dell’imputazione in capo alla società dei versamenti asseritamente ingiustificati risultanti dai conti correnti dei singoli soci ed afferenti ad operazioni strettamente personali, valgono le considerazioni sub 2., 2.1. e 2.2., che ne determinano l’inammissibilità.

5.-Venendo all’esame del ricorso incidentale, con i primi due motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 600 del 1973, art. 32 e dell’omologa norma del decreto iva, ossia del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il giudice d’appello, posto che risultava provato per presunzioni che i conti bancari intestati ai soci fossero riferibili anche alla società, erroneamente ha escluso che i prelevamenti effettuati non potessero essere considerati ricavi evasi dalla società, sul rilievo che i conti erano intestati alla società e non ai soci, che non era stato contestato alla società di aver tenuto contabilità formalmente irregolare e che una diversa conclusione sarebbe stata contraria al divieto di doppia imposizione.

Entrambi i motivi sono infondati, come già rimarcato da Cass. n. 2414/17 in relazione ad analoga censura.

In quell’occasione, la Corte ha considerato che la ricorrente, pur evocando vizio di violazione o falsa applicazione di legge, deduce, nella sostanza, un vizio afferente alla motivazione della decisione in relazione all’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito circa l’estraneità all’attività sociale dei prelevamenti effettuati sui conti correnti dei soci.

6.- Inammissibile è il terzo motivo del ricorso incidentale, col quale l’Agenzia denuncia vizio di infrapetizione, perchè il giudice d’appello non avrebbe esaminato il capo di appello concernente l’iva.

Ciò in quanto, benchè in motivazione la Commissione si riferisca soltanto al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, la decisione adottata, che afferma l’illegittimità dell’avviso limitatamente ai prelievi dei quattro soci implica che, per quanto riguarda il restante apparato presuntivo valorizzato dall’Ufficio, esso si debba ritenere confermato dal giudice d’appello anche in relazione alla pretesa per iva.

7.- Ed analoghe considerazioni valgono per il quarto motivo, che ripropone la censura sotto il profilo della nullità della sentenza.

8.- In definitiva, vanno respinti il primo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale e dichiarati inammissibili i restanti; vanno poi rigettati il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale e dichiarati inammissibili i restanti.

La soccombenza reciproca comporta la compensazione delle spese.

P.Q.M.

la Corte:

rigetta il primo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale e dichiara inammissibili i restanti; rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibili i restanti.

Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2017.