REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Relatore Consigliere
la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in Cina il xx/xx/xxxx;
avverso la sentenza del 22/3/2019 della Corte d’appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Luigi Cuomo, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22 marzo 2019 la Corte d’appello di Firenze, provvedendo sulla impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 4 ottobre 2017 del Tribunale di Prato, con cui era stato condannato alla pena di due anni e due mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, ha rideterminato la pena in un anno e sei mesi di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, mediante il quale ha lamentato la violazione degli artt. 143, 178, 179 e 601 cod. proc. pen., ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., a causa della mancata traduzione in lingua cinese conosciuta dall’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello, avendo la Corte d’appello erroneamente disatteso l’eccezione di nullità di tale decreto sollevata nel giudizio di secondo grado, sulla base del rilievo che l’imputato si era posto nella condizione processuale per cui gli atti devono essergli notificati mediante consegna al difensore, presso il quale aveva eletto domicilio.
Ha richiamato il diverso principio affermato nella sentenza n. 48916 del 2016 di questa Corte, sottolineando che l’udienza di convalida dell’arresto si era svolta con l’assistenza dell’interprete di lingua cinese, con la conseguente violazione dell’art. 143, comma 2, cod. proc. pen., a causa della mancata traduzione del decreto di citazione per il giudizio di secondo grado in lingua nota all’imputato, non derivando dalla elezione di domicilio presso il difensore la rinuncia alla traduzione degli atti del giudizio in una lingua conosciuta dall’imputato alloglotta (lingua diversa da quella ufficiale di un paese), né essendo obbligo del difensore provvedere alla traduzione omessa dal giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2. Benché sia stato affermato che l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta sussiste – a pena di nullità ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen. – anche nel caso in cui egli abbia eletto domicilio presso il difensore d’ufficio, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione (v. Sez. 5, n. 48916 del 28/09/2016, Dutu, Rv. 268371, menzionata anche dal ricorrente e nella quale è stato anche chiarito che l’elezione di domicilio presso un difensore attiene solo alle modalità di notificazione degli atti processuali e non comporta la rinuncia dell’indagato alloglotta alla traduzione degli atti nella propria lingua; conf. Sez. 1, n. 23347 del 23/03/2017, Ebrima, Rv. 270274), è stato anche precisato che l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta è escluso ove lo stesso (come nel caso in esame) abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia, non verificandosi in tale ipotesi alcuna lesione concreta dei suoi diritti (v. Sez. 5, n. 57740 del 06/11/2017, Ramadan, Rv. 271860, nella quale è stato chiarito che grava sul difensore di fiducia – e non anche su quello d’ufficio – l’obbligo-onere di traduzione degli atti nell’eventuale diversa lingua del cliente alloglotta o, quantomeno, di farne comprendere allo stesso il significato; v. anche, in senso analogo, Sez. 5, n. 32878 del 05/02/2019, Amarildo Rv. 277111, secondo cui non sussiste, in favore dell’imputato alloglotta, l’obbligo di traduzione del decreto di fissazione dell’udienza camerale di definizione del patteggiamento ex art. 447 cod. proc. pen., qualora quest’ultimo consegua all’istanza del difensore di fiducia munito di procura speciale, non configurandosi in tal caso alcuna lesione del diritto di difesa).
3. Nel caso in esame dagli atti del giudizio di secondo grado, cui questa Corte ha accesso, stante la natura processuale della censura formulata con il ricorso, in relazione alla quale il giudice di legittimità è anche giudice del fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568; Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304; Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 05/06/2018, F., Rv. 273525), risulta l’idoneità del difensore di fiducia a rendere edotto l’imputato del contenuto dell’atto di cui è stata omessa la traduzione, e cioè il decreto di citazione per il giudizio di appello.
3.1 La nomina del difensore per il giudizio di appello (al quale venne conferita anche procura speciale) venne, infatti, effettuata senza l’assistenza dell’interprete, non risultando tale circostanza dall’atto, come pure la nomina al fine della proposizione del ricorso per cassazione, che risulta manoscritta in lingua italiana e sottoscritta dall’imputato, con sottoscrizione autenticata dal difensore, anche in questo caso senza l’assistenza dell’interprete, non risultante da tale atto.
Vi sono, dunque, concreti elementi per ritenere che il difensore, in virtù del rapporto fiduciario che lo legava all’imputato, fosse in grado di informarlo del contenuto dell’atto non tradotto, cioè del decreto di citazione per il giudizio di appello, in quanto, avendo l’imputato medesimo proposto l’appello, l’informazione che occorreva dargli consisteva, sostanzialmente, nella comunicazione della data fissata per il giudizio di appello, informazione che, alle luce del grado di conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, emergente dai suddetti atti processuali, il difensore di fiducia era in grado di dargli.
4. Ne consegue l’infondatezza delle censure sollevate dall’imputato, non sussistendo la nullità conseguente alla mancata traduzione dallo stesso lamentata, che comporta il rigetto del ricorso.
5. Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020.