In sede di processo confessa di essere stato l’autore del furto. Nessuna attenuante (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 5 febbraio 2020, n. 4904).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente

Dott. GIUSEPPE PAVICH – Consigliere

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere

Dott. FERRANTI Donatella – Rel. Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) GIUSEPPE nato a Torino il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 11/04/2019 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Donatella FERRANTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Sante SPINACI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado che, in sede di rito abbreviato, ha condannato (OMISSIS) Giuseppe, alla pena di anni uno mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 200,00 di multa per il reato di furto pluriaggravato (fatto del 22/25 aprile 2011 in Asti), ai danni dell’Agenzia (OMISSIS) di Asti all’interno della quale si introduceva dopo aver forzato e rotto la finestra sottraendo un portatile, una somma di denaro contante custodita all’interno del cassetto della scrivania e 20 francobolli del valore di 0,60 ciascuno.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, lamentando quanto segue.

I) Vizio di motivazione,e violazione di legge con riferimento agli artt. 62 n. 4 e 62 bis cod. pen. in quanto il (OMISSIS) ha ammesso la propria responsabilità assumendo un atteggiamento collaborativo, ha avuto un corretto comportamento processuale versava in condizioni precarie di vita; inoltre la sentenza impugnata è in contrasto con gli atti processuali poiché dalla lettura del decreto di citazione a giudizio si evince che la somma sottratta era di 360,00 euro in contanti e non 38.000,00 somma tenuta presente dalla Corte territoriale per escludere l’applicazione dell’attenuante dell’art. 62 n. 4 cod. pen; inoltre la tenuità del danno deve essere rapportata anche alla capacità economica della persona offesa nel caso di specie una solida Agenzia di assicurazioni avente una situazione economica florida e non al mero valore estrinseco dell’oggetto sottratto.

II) Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della continuazione previa acquisizione della sentenza passata in giudicato in relazione al reato commesso il 18.08.2011 per il quale il ricorrente è stato condannato dal Tribunale di Asti il 5.04.2012. La contiguità temporale tra i due furti e le modalità concrete di attuazione rivelano la sussistenza di un preciso progetto criminoso inquadrabile in un difficile periodo di vita dell’imputato;

III) Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio avendo omesso ogni valutazione circa l’intensità del dolo e le condizioni di vita materiali e sociali dell’imputato nonché circa il comportamento processuale di collaborazione tenuto; nonché la illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento all’utilizzo dei criteri previsti dall’art. 133 cod. pen..

3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza dei motivi dedotti.

4. Quanto alla censura riferita alla mancata concessione dell’attenuante del danno patrimoniale di lieve entità va rilevato che il presupposto richiesto dall’art. 62 n.4) cod. pen., relativo alla speciale tenuità, del danno causato ai fini della configurabilità dell’attenuante in esame non può aversi, infatti, riguardo esclusivamente al valore venale del corpo del reato, occorrendo far riferimento anche valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, in termini effettivi o potenziali a seconda della tipologia del reato in contestazione e comprensivi anche di quelli non immediati (Sez. 2, n. 21014 del 13/05/2010 – dep. 04/06/2010, Gebbia, Rv. 247122; Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017 – dep. 07/11/2017, Calvio, Rv. 271695).

La contestuale rilevanza attribuita dal legislatore al disvalore degli effetti provocati dall’azione criminosa impone pertanto la necessaria considerazione della condotta nella sua globalità in relazione a tutti gli aspetti dannosi derivatine.

Sul punto la Corte territoriale, che per un errore materiale ha riportato in motivazione una somma diversa da quella effettivamente sottratta pari a 360,00 euro in contanti, ha però valutato complessivamente come rilevante il valore dei beni sottratto anche con riferimento al computer portatile, escludendo di per sé, con un giudizio di merito non censurabile, la qualificazione come lieve del pregiudizio cagionato (fol 3).

5. La censura relativa alla mancata applicazione della continuazione è generica e manifestamente infondata.

La decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, per quanto concerne l’esclusione dell’applicazione della disciplina del reato continuato con altro fatto delittuoso della stessa specie giudicato con sentenza del Tribunale di Asti del 5.04.2012 mancando del tutto la prova dell’unicità del disegno criminoso, non essendo sufficiente al riguardo la omogeneità dei reati in considerazione o la contiguità temporale tra gli stessi.

La Corte territoriale ha escluso la continuazione sulla base di una motivazione logica e coerente che ha ritenuto non sussistente la prova dell’unicità del disegno criminoso nel momento in cui il ricorrente ha deliberato di commettere il primo e più antico reato; non avendo il ricorrente addotto alcun elemento specifico in tal senso e nemmeno prodotto la sentenza citata nei motivi di appello risultando invece dall’esame del casellario che il (OMISSIS) gravato di numerosi precedenti della stessa specie ha improntato uno stile di vita dedito all’illecito.

6. La doglianza relativa al trattamento sanzionatorio è manifestamente infondata.

Si consideri, al riguardo, quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “deve ritenersi rigettata con motivazione implicita la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, in presenza di adeguata motivazione circa la richiesta della attenuazione del regime sanzionatorio, basata su analogo ordine di motivi.” (cfr. Sez. 4, n. 2840 del 21/02/1997, La Legname e altro, Rv. 207668).

Le linee guida della «gravità del reato» (art. 133, co. I, cod. pen.) e della «capacità a delinquere del colpevole» (art. 133, co. Il, cod. pen.) restano pertanto gli indicatori essenziali cui ancorare la particolare valutazione postulata dall’art. 62 bis cod. pen. e ciò conduce – da sempre – a ritenere il «fatto» della confessione processuale come possibile fattore di attenuazione della sanzione, ai sensi dell’art. 133 co. 2 n. 3, cod. pen. (sub specie di condotta susseguente al reato e sua possibile incidenza sulla valutazione della capacità a delinquere).

Pur a fronte della commissione di un fatto-reato di elevata gravità, non vi è dubbio – pertanto – che l’apporto confessori può legittimamente fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sempre che – ed è questo il tema – lo stesso non sia un ‘semplice’ fattore di agevolazione nella ricostruzione del fatto controverso, ma un preciso «indicatore» di riconsiderazione critica del proprio operato e discontinuità con il precedente modus agendi (tra le molte Sez. 6, n. 3018, del 11/10/1990, Rv. 186592; Sez. 6, n. 11732, del 27/1/2012, Rv. 252229).

Va pertanto ribadita, alla luce di quanto sinora detto, la linea interpretativa che esclude l’accesso alla attenuante favorevole atipica, in presenza di confessione, lì dove quest’ultima sia stata dettata non da effettiva resipiscenza ma da intento utilitaristico ( Sez. 1, n. 35703 del 05/04/2017 Ud. (dep. 19/07/2017 ) Rv. 271454 – 01Sez. 6, n.11732, del 27/1/2012, Rv. 252229).

Nella fattispecie, il giudice di merito, ha valorizzato l’inutilità probatoria del “gesto” e la strategia meramente speculativa che lo aveva determinato in quanto l’imputato ebbe a confessare la propria condotta criminale solo nel momento in cui le indagini svolte, tra cui la comparazione delle tracce emetiche rinvenute sul luogo del furto, avevano individuato con certezza la sua responsabilità.

In un tale contesto la concessione dell’attenuante confligge, come correttamente argomenta la Corte territoriale, con lo spirito della stessa mediante un giudizio che, in quanto correttamente argomentato, non è censurabile nella sede di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 5579, del 26/9/2013, Rv. 258874; Sez. 6, n. 6866, del 25711/2009, Rv. 246134).

7. Stante l’inammissibilità del ricorso, alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle ammende.

Così deciso il 21.01.2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.