Intermediazione finanziaria: quando si prescrive l’azione di risoluzione? (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 24 giugno 2025, n. 17005)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta da

Mauro Di Marzio           – Presidente –

Rosario Caiazzo             – Consigliere –

Massimo Falabella        – Consigliere –

Alessandra Dal Moro    – Consigliere Rel. –

Paolo Fraulini                 – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26356/2020 R.G. proposto da

(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in ROMA VIA (omissis) (omissis), 201, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende

-ricorrente-

contro

INTESA SAN PAOLO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA (omissis) (omissis) 15, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende

-contricorrente e ricorrente incidentale-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 1990/2020 depositata il 20/04/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere dr.ssa ALESSANDRA DAL MORO.

FATTI DI CAUSA

1. ― Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma ha parzialmente riformato la decisione del locale Tribunale che aveva respinto le domande proposte da (omissis) (omissis) nei confronti di Intesa San Paolo s.p.a. (quale società incorporante San Paolo IMI, tramite la quale aveva acquistato obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina in data 25.5.98, 05.10.2000, 16.01.2001 e obbligazioni Cirio in data 22.01.2001 per un controvalore complessivo di 266.030,78 euro) domande dirette a ottenere, all’esito della modifica avvenuta nel corso del giudizio rispetto a quelle inizialmente proposte:

a) la risoluzione del contratto quadro e/o del contratto di vendita negoziato dalla banca in favore dell’attrice per grave inadempimento contrattuale della prima e la condanna di Intesa San Paolo alla restituzione della somma investita, oltre al risarcimento dei danni per interessi non percepiti e mancato guadagno;

b) in subordine, l’accertamento e la declaratoria della responsabilità della banca per violazione degli obblighi nascenti dal contratto quadro e dalle norme regolanti i servizi di intermediazione finanziaria di cui al T.U.F. e relativi regolamenti Consob, con conseguente condanna della banca al risarcimento del danno commisurato la somma investita agli interessi non percepiti e al mancato guadagno.

La banca aveva chiesto il rigetto delle domande, e, in subordine, di disporre la compensazione tra le somme da restituire e le somme incassate dalla controparte, inclusi i rendimenti cedolari, nonché la restituzione alla banca della titolarità delle obbligazioni argentine detenute (incluse quelle che potrebbero essere state assegnate a seguito di adesioni all’Offerta Pubblica di Scambio dell’Argentina) ovvero di compensare anche il loro controvalore.

2. ― Contro la sentenza con cui il Tribunale aveva ritenuto assolti gli obblighi di informazione attiva e passiva incombenti sull’intermediario in caso di investimenti inadeguati rispetto al profilo di rischio del cliente nonché nella fase successiva agli investimenti stessi ed escluso il denunciato conflitto di interessi, ha proposto appello la sig. (omissis)

3. – La Corte territoriale ha deciso il gravame considerando, per quanto qui interessa, quanto segue:

a) la sottoscrizione dell’avvertimento della inadeguatezza dell’operazione non esaurisce in sé l’obbligo della banca di fornire al cliente le informazioni concretamente riguardanti le operazioni di investimento da eseguire, poiché, a fronte della contestazione sufficientemente specifica del cliente, resta in capo all’intermediario l’obbligo di dimostrare l’adempimento; fermo restando che l’obbligo di forma scritta riguarda solo l’avvertimento dell’inadeguatezza non tutte le informazioni e motivazioni che l’intermediario è, comunque, tenuto a fornire con libertà di forma; ne consegue che il giudice dovrà verificare se, in presenza di un’operazione inadeguata, l’intermediario abbia informato il cliente delle concrete ragioni che la rendono inopportuna, anche se queste ragioni non devono emergere dall’ordine scritto, in cui è sufficiente sia riferito di aver ricevuto le avvertenze;

b) nella specie quanto agli ordini del 16.01.2001 ― oltre alla clausola contenente la segnalazione dell’inadeguatezza e l’espressa autorizzazione ad eseguirli (idonea a far presumere assolto l’obbligo informativo previsto dall’intermediario) ― risultava sottoscritto un documento avente ad oggetto i rischi connessi a investimenti in prodotti finanziari strutturati di paesi emergenti e ad alto rendimento, con indicazione della natura, dei rischi e delle implicazioni degli specifici investimenti, compresa l’eventualità di non essere facilmente liquidabili, anche per effetto di provvedimenti restrittivi emanati dalle autorità governative del paese emittente, nonché la possibilità di oscillazioni, anche sensibili, tali da non poter fornire alcuna certezza che l’attuale valore possa restare inalterato nel tempo; per cui la contestazione dell’appellante di non avere ricevuto precise informazioni dalla banca circa il motivo di inadeguatezza e circa le ragioni che sconsigliavano le operazioni, risultava non sufficientemente specifica, onde sarebbe stato onere dell’appellante contrastarne la completezza indicando gli ulteriori dati e notizie che l’intermediario avrebbe omesso di fornirle per una compiuta e adeguata valutazione dell’opportunità di procedere all’esecuzione di quelle operazioni; in mancanza, la Corte ha ritenuto dimostrata la correttezza dell’operato della banca a prescindere dalle risultanze della prova testimoniale;

c) diversamente, gli ordini di acquisto delle obbligazioni argentine sottoscritti nel 2000 e delle obbligazioni Cirio sottoscritti nel 2001, recavano soltanto la sottoscrizione della generica clausola di inadeguatezza in calce ai relativi moduli; rispetto a tali acquisti la contestazione della sig. (omissis) circa le carenze informative, risultava, dunque sufficientemente specifica, determinando l’onere dell’intermediario di provare di aver offerto tutte le informazioni e ragioni che sconsigliavano le operazioni; la prova testimoniale espletata sul punto in primo grado, tuttavia, non aveva sortito effetto perché i testi non ricordavano nulla delle relative operazioni di investimento; pertanto doveva concludersi che non era stato assolto l’onere della prova incombente sulla banca di esatto adempimento all’obbligo di fornire un’informazione specifica e completa sui prodotti finanziari da essa stessa indicati come inadeguati;

d) quanto, infine, al primo ordine risalente al 1998 ed avente oggetto obbligazioni Argentina per un controvalore di 80.000 €, oltre alla carenza informativa, risultava difettare del tutto la forma scritta richiesta per il conferimento degli ordini; e, tuttavia, il rilievo della nullità era precluso da un giudicato interno, e, comunque, paralizzato dall’intervenuta eccepita prescrizione;

e) le censure relative alla sussistenza di un conflitto di interessi erano risultate infondate alla luce delle prove offerte dalla banca; così come infondate erano le censure relative alle carenti informazioni rese dalla banca sul disinvestimento dei titoli (in tesi dovute per il fatto che, nel periodo successivo alle negoziazioni il rating delle obbligazioni argentine e Cirio avevano avuto un costante inesorabile declassamento sino al default) per violazione degli obblighi attinenti alla fase esecutiva del rapporto, poiché era da escludersi che in caso di contratto di deposito di titoli in custodia e amministrazione qual era quello concluso dall’appellante, vi fosse tra gli obblighi dell’intermediario anche quello di monitorare e informare l’investitore sull’andamento dei titoli e sull’aggravamento del rischio di investimento al fine di suggerire al medesimo di intervenire sul mercato per ridurre eventuali conseguenze negative collegabili al default, trattandosi di obblighi che sorgono solo nei servizi di gestione del portafoglio e di consulenza;

f) venendo alle conseguenze delle violazione accertate, la Corte ha ritenuto trattarsi di inadempimento grave e di accogliere la domanda di risoluzione dei contratti di investimento in quanto dotati di autonoma individualità rispetto al contratto quadro, ad esclusione di quello impartito nel 1998 per essere maturato il termine di prescrizione; contrariamente al Tribunale, ha osservato, infatti, che la domanda di risoluzione del contratto e quella consequenziale ed accessoria di restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso, diversamente dalla domanda di risarcimento del danno da inadempimento non richiede l’accertamento della sussistenza del nesso causale; sicché, una volta accertata la ricorrenza delle condizioni per una pronuncia costitutiva di risoluzione avente effetto retroattivo tra le parti, il giudice deve operare il ripristino della situazione antecedente attraverso le reciproche restituzioni in ragione del venir meno ex tunc della causa giustificatrice delle reciproche obbligazioni secondo la disciplina dell’indebito oggettivo; g) perciò quanto agli obblighi restitutori, ha accolto la domanda di restituzione del capitale originariamente investito pari a 134.030,78 € (debito di valuta su cui competono gli interessi legali dal giorno della domanda di risoluzione al saldo senza rivalutazioni monetaria che spetta per i debiti di valuta solo in termini di maggior danno che deve essere allegato e provato dal creditore, che nella specie non l’aveva fatto); inoltre ha accolto la domanda di Intesa Sanpaolo di condanna dell’appellante alla restituzione delle somme incassate per cedole in relazione ai due ordini quali frutti civili ricavati, pari a complessivi 9.316,68 € (senza accessori non espressamente richiesti) ed ha disposto, altresì, la restituzione alla banca dei titoli consegnati alla (omissis) o di quelli ricevuti in concambio a seguito dell’intervenuta adesione all’Offerta Pubblica di Scambio della provincia di Buenos Aires, affermando che non vi era prova in atti di ulteriori importi incassati dall’appellante (omissis) a titolo di interessi o frutti civili sulle obbligazioni originarie o scambiate, ovvero a titolo di corrispettivo per la rivendita a terzi delle stesse; infine ha effettuato la compensazione legale tra e rispettivi crediti restitutori.

3. ― Avverso la sentenza la sig. (omissis) (omissis) ha presentato ricorso affidandolo a cinque motivi.

Ha resistito Intesa San Paolo s.p.a. con controricorso con il quale ha proposto anche un motivo di cassazione in via incidentale. Quest’ultima ha depositato anche memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. ― Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. degli artt. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. e 118 comma 2, disp att., rispetto alla domanda di accertamento della responsabilità contrattuale d’Intesa Sanpaolo con riferimento all’ordine del 25.5.98; la ricorrente denuncia un’omessa motivazione a proposito della statuizione di rigetto ― da intendersi resa per effetto della conferma della sentenza di primo grado ― della domanda di accertamento della responsabilità contrattuale dell’intermediario e della conseguente domanda risarcitoria (erroneamente respinte in primo grado), non essendo dato riscontrare nel corpo motivazionale qualsivoglia motivo a fondamento di tale statuizione di conferma della sentenza di primo grado e dell’implicito rigetto della riproposta domanda, perché la Corte si sarebbe limitata a rilevare la fondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca con riferimento alla sola domanda di risoluzione del contratto e non con riferimento alla domanda di accertamento della responsabilità contrattuale.

1.1 ― Il motivo è inammissibile.

La Corte ha esposto le ragioni per cui ha ritenuto fondata la domanda principale di risoluzione del contratto proposta per tutti i contratti di acquisto, ma l’ha accolta solo con riguardo agli ordini del 2000 2001 perché l’ha ritenuta prescritta quanto a quello del 1998; perciò non si è pronunciata sulla domanda subordinata ― volta ad accertare la responsabilità contrattuale della banca per inadempimento degli obblighi informativi ― perché ha ritenuto fondata quella posta in via principale, anche se prescritta.

Pertanto non è ravvisabile alcuna carenza o anomalia motivazionale suscettibile di integrare il vizio dedotto, pacifico essendo che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, laddove tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass. S.U. n.8053/2014). Il che qui non è ravvisabile.

2. ― Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ai sensi dell’art.360 comma 1 n. 4 c.p.c. con riferimento all’omessa pronuncia in ordine alla domanda di accertamento della responsabilità contrattuale di Intesa Sanpaolo con riferimento all’ordine del 25.5.98.

Con detto motivo, proposto in via subordinata al primo, la ricorrente intende valorizzare la circostanza che la Corte d’appello non abbia statuito espressamente il rigetto della domanda di accertamento della responsabilità contrattuale di Intesa San Paolo: in altre parole avrebbe omesso di articolare qualsivoglia supporto motivazionale che possa far ritenere configurabile l’implicito di rigetto della domanda stessa, essendosi limitata, anche nel dispositivo, al di là della statuizione di stile «ogni contraria eccezione deduzione e istanza disattesa» e della statuizione di accoglimento parziale della domanda di risoluzione con effetto restitutorio, a confermare nel resto la sentenza gravata.

2.1 ― Il motivo è inammissibile. Invocando la violazione dell’articolo 112 ― che implica una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ― la ricorrente ripropone lo stesso motivo esaminato sub 1. sotto la diversa prospettiva dell’assenza totale della pronuncia di rigetto, anche in modo «implicito», laddove, invece nella fattispecie è ravvisabile un chiaro rigetto implicito, tanto nella motivazione che nel dispositivo, logicamente derivante dalla fondatezza della domanda principale svolta con riguardo all’ordine in questione benché questa fosse non accoglibile per effetto dell’eccezione di prescrizione. Pertanto è evidente che la ricorrente non si confronta con la ratio decidendi, che pure ha posto a fondamento del primo motivo dolendosi di carenza della motivazione sul punto.

3. ― Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 2935 e 2946 c.c. nonché 101 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. con riferimento all’azione di responsabilità contrattuale riferita all’ordine di acquisto del 25.5.98.

Secondo la ricorrente la Corte d’appello avrebbe errato nell’applicazione dell’articolo 2935 c.c. avendo individuato il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione decennale dell’azione di responsabilità contrattuale nel momento in cui venivano a realizzarsi le violazioni informative, e non già nel momento in cui il diritto poteva essere fatto valere ovvero quello in cui si era prodotto il danno risarcibile (la sospensione dell’erogazione delle cedole obbligazionarie o, comunque, il conclamato default dell’emittente).

La ricorrente precisa che « Il motivo è articolato in via ulteriormente subordinata secondo una terza opzione ermeneutica nell’ipotesi in cui volesse ritenersi sostanzialmente resa una motivazione a sostegno della statuizione di rigetto della domanda di responsabilità contrattuale con riferimento all’ordine del 25.5.98 da rinvenire negli stessi motivi posti a fondamento del rigetto della domanda di risoluzione contrattuale, da ritenersi implicitamente posti a fondamento anche della statuizione di rigetto della domanda di responsabilità contrattuale».

3.1 ― Il motivo è evidentemente inammissibile: anzitutto perché non sussiste la condizione alla quale la ricorrente ne subordina la formulazione, non ritenendo affatto questa Corte che a fondamento del rigetto della domanda di responsabilità contrattuale e risarcimento del danno la Corte territoriale abbia implicitamente posto le stesse ragioni (prescrizione dell’azione) che sorreggono il rigetto della domanda di risoluzione contrattuale, bensì ― come detto ― il fatto che il fondamento della domanda principale (prescritta in relazione al quello specifico contratto d’acquisto) escludeva che il giudice dovesse esaminare quella subordinata.

Perciò, a fronte del fatto che l’unica domanda su si cui è pronunciata la Corte territoriale a proposito dell’eccezione di prescrizione è quella di risoluzione del contratto (che ha effetti restitutori non risarcitori) il motivo risulta del tutto inconferente, riferendosi ad un criterio di individuazione del dies a quo di decorrenza del termine decennale di prescrizione valevole per l’azione risarcitoria (il momento in cui il danno si è manifestato) non per l’azione restitutoria (il momento in cui si è verificato l’inadempimento).

4. ― Il quarto motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 2935, 2946 c.c. nonché 101 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. con riferimento all’azione di responsabilità contrattuale riferita all’ordine di acquisto del 25.5.98, in quanto la Corte avrebbe errato nel considerare il dies a quo della decorrenza del termine di prescrizione del «diritto alla risoluzione del contratto e al risarcimento del danno», riconducendolo al giorno della negoziazione dei titoli in quanto corrispondente a quello in cui erano realizzate le omissioni informative, ciò benché fosse incontestato che, a partire dal 1.1.2002, fosse stato sospeso il rimborso delle obbligazioni argentine, e fosse, perciò, da tale data che gli effetti dell’inadempimento contrattuale riconducibile alle omissioni informative si producevano verso l’esterno e verso la sfera giuridica dell’investitrice, che solo da questo momento sarebbe stata nelle condizioni di poter far valere il proprio diritto.

4.1. ― Il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente insiste nel collegare la decorrenza del termine decennale di prescrizione ad un evento di danno, senza cogliere e confrontarsi con la ratio decidendi della pronuncia che, riguardando la domanda (svolta in via principale dalla stessa ricorrente) di risoluzione del contratto, è destinata a produrre ― per effetto del venir meno ex tunc del vincolo negoziale ― effetti restitutori (riguardo alle prestazioni reciprocamente rese in adempimento del contratto) e non effetti risarcitori, i quali, nella specie erano stati richiesti per mezzo della subordinata domanda di risarcimento del danno da inadempimento, non esaminata essendo stata ritenuta fondata (benché prescritta) la domanda principale.

4.1.1. ― In punto decorrenza del termine decennale di prescrizione a fronte di una domanda di risoluzione che mira a conseguire solo effetti restitutori, è opportuno preliminarmente chiarire che:

(a) come ricordato di recente da Cass. n. 32226/2024, le operazioni di investimento sono atti di natura negoziale autonomi rispetto al contratto quadro;

(b) gli obblighi informativi attivi e passivi che derivano dalla normativa primaria e secondaria (ovvero dall’art. 21 T.U.F. e il Reg. Consob n. 11522/1998 che, al pari della normativa precedente, pongono obblighi di comportamento che risultano finalizzati al rispetto della clausola generale che attribuisce all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nella cura dell’interesse del cliente in parte sono obblighi si collocano nella fase che precede la stipulazione del contratto ― quadro di intermediazione finanziaria, in parte si collocano dopo la conclusione del contratto ― quadro (v. analiticamente sul punto Cass. 32226/2024 in motivazione paragrafi da 1.2.1 a 1.2.6); quanto a questi ultimi, dalla disciplina legislativa e regolamentare si ricava che l’intermediario non può limitarsi a rendere possibile il trasferimento del titolo (cedendolo in contropartita diretta o acquistandolo sul mercato e rivendendolo poi all’investitore in attuazione di un mandato per conto altrui, o infine trasmettendo l’ordine di acquisto a chi lo offra sul mercato), ma che lo stesso è tenuto ad una precisa attività, funzionale al corretto apprezzamento, da parte dell’investitore, della natura, delle implicazioni e dei rischi delle singole operazioni, il che fa dell’intermediario un vero e proprio ausiliario del proprio cliente nella scelta delle medesime, obbligato a dare esecuzione non già agli ordini di investimento «ricevuti», quanto, piuttosto, ad ordini di investimento «sui quali il proprio cliente sia stato convenientemente edotto» e che si riferiscano ad operazioni pienamente conformi all’esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, alla situazione finanziaria, agli obiettivi di investimento e alla propensione al rischio del cliente; tale affermazione trae piena conferma dal Reg. Consob n. 11522/1998 che all’art. 28, comma 2, stabilisce che gli intermediari autorizzati non possono «effettuare» operazioni «se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento» e chiarisce, dunque, che, ricevuto l’ordine, l’intermediario non possa limitarsi ad eseguirlo ove il cliente non sia stato in precedenza puntualmente istruito sui termini dell’operazione da compiersi, per modo che, una volta edotto, lo stesso possa, se del caso, manifestare all’intermediario le ulteriori sue determinazioni, prima che l’operazione abbia corso;

(c) una prestazione del servizio di investimento che trascuri siffatto obbligo non può che tradursi in un «inadempimento», che giustifica il rimedio risolutorio: in assenza di un consenso informato dell’interessato, il sinallagma del singolo negozio non trova difatti piena attuazione, con conseguente possibilità di invocarne la risoluzione per inadempimento (cfr. sul punto, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 16861 e 20617 del 2017; Cass. n. 3261 del 2018; Cass. n. 8997 del 2021) laddove, appunto, «l’inadempimento degli obblighi gravanti sull’intermediario […] per la sua importanza, si riveli idoneo a determinare un’alterazione dell’equilibrio contrattuale» (Cass. n. 24648/2023, conforme a Cass. n. 16820/2016, che a sua volta si richiama in modo espresso al precedente di Cass. n. 23717/2014): infatti ― è bene pure puntualizzare, vista la confusione che nella specie è fatta tra conseguenze restitutorie e risarcitorie dell’inadempimento contrattuale ― che, con riferimento allo svolgimento effettivo dei servizi di investimento, ciò che l’investitore, quale attore «in risoluzione», imputa all’intermediario non è il cattivo esito di un dato investimento (il danno) bensì l’inadempimento degli obblighi cui quello è tenuto per legge e per Regolamento Consob, con riferimento a quel dato investimento; del resto, a mente l’art. 1453 cod. civ., che fa «salvo in ogni caso il risarcimento del danno», la domanda di risoluzione e quella di risarcimento sono autonome tra loro: il presupposto di entrambe è l’accertamento dell’inadempimento, ma lo stesso incide diversamente, dovendo essere di non scarsa importanza per accogliere la domanda di risoluzione e fungendo soltanto da parametro di valutazione per la domanda risarcitoria, la quale, contemplando quale ulteriore fatto costitutivo – oltre a obbligazione e inadempimento – il danno, consente al titolare di conseguire utilità diversa da quella cui mira il titolare di un’azione di risoluzione (cfr. Cass. n. 22277/ 2023; Cass.n. 22883/ 2008; Cass. n. 9926/ 2005; Cass. n. 13598/ 2000);

(d) la natura contrattuale dell’azione di risoluzione di un’operazione di intermediazione finanziaria comporta l’applicazione del regime giuridico (quanto alla ripartizione dell’onere probatorio ed alla individuazione del termine prescrizionale ed alla sua decorrenza) per essa stabilito.

4.1.2 ― Venendo, dunque allo specifico tema della prescrizione ― tipica eccezione a disposizione dell’intermediario per resistere a contestazioni aventi ad oggetto investimenti in strumenti finanziari risalenti nel tempo e rivelatisi pregiudizievoli per il cliente a distanza di anni ― e all’indagine circa il dies a quo per il computo del relativo termine, si deve partire dal pacifico dato che, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere», per poi distinguere il ragionamento a seconda del tipo di domanda formulata dall’investitore:

i) azione volte alla risoluzione del contratto per grave inadempimento (azione cd. caducatoria), con conseguenti pretese di restituzione del prezzo corrisposto per l’acquisto del titolo;

ii) azione volte ad ottenere il risarcimento del danno subito dall’investitore per inadempimento contrattuale dell’intermediario (azione cd. risarcitorie).

4.2.1.1. ― Per queste ultime ― pur con orientamenti non univoci (v. Cass. 32226/2024 in motivazione, che si diffonde ampiamente sullo specifico tema) ― l’interesse ad agire dell’investitore per ottenere l’invocato ristoro patrimoniale non può farsi risalire al momento in cui era sorto il diritto all’esecuzione del contratto ― coincidente con la stipula del contratto costitutivo del diritto stesso ― atteso che esso acquista consistenza solo allorquando si sono effettivamente prodotte nel suo patrimonio le conseguenze negative determinate dall’accertato inadempimento imputabile all’intermediario; dunque, per il diritto «risarcitorio», il termine di prescrizione comincia a decorrere nel momento in cui la produzione del danno si è manifestata all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere (v. Cass.32226/2024 conforme a Cass. n. 2066/2023, in sostanziale continuità con Cass. n. 1823/2022), momento che, in concreto, può essere ― ed è stato ― diversamente individuato, a seconda dei casi (per es. al momento del default dell’emittente, ad un momento successivo al default dell’emittente, se solo a questo poteva farsi risalire «una chiara e sicura conoscenza del danno vale a dire della perdita del capitale investito», o al momento in cui l’investitore aveva venduto i titoli acquistati realizzando una minusvalenza rispetto al prezzo di acquisto).

4.2.1.2. ― Per l’azione di risoluzione, invece, il momento in cui il diritto può essere fatto valere coincide con il momento in cui era sorto il diritto al diligente e conforme a legge adempimento del contratto, coincidente con la conclusione del contratto in quanto «costitutivo» del diritto stesso; ne deriva che il dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione, nel caso di contratti di intermediazione finanziaria coincide con il momento in cui l’intermediario è venuto meno al doveroso comportamento di informare il cliente sulla rischiosità dei prodotti finanziari o sulla inadeguatezza degli stessi, non dal momento in cui l’investitore abbia contezza del declassamento o comunque della minusvalenza dei titoli acquistati, poiché tale evento (dannoso) è elemento estraneo alla fattispecie «caducatoria», che è integrata dalla lesione del diritto dell’investitore ad ottenere protezione dall’intermediario autorizzato – stante la asimmetria informativa esistente tra le parti – riguardo alle proprie scelte di investimento, indipendentemente dalla sorte contingente del valore mobiliare comprato; in altre parole il dies a quo della prescrizione dell’azione di risoluzione va ancorato alla condotta inadempiente lesiva, non ai suoi imponderabili effetti posteriori.

Va, invero, ricordato che «l’impossibilità di far valere un diritto, cui l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è esclusivamente quella derivante da cause di natura giuridica che ne ostacolino l’esercizio, senza che rilevino impedimenti di carattere soggettivo e ostacoli di mero fatto, dato che tra le tassative ipotesi di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 c.c. non rientrano né l’ignoranza del titolare del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sull’esistenza dello stesso ed il ritardo determinato dalla necessità del suo accertamento, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8] dello stesso articolo» (v. Cass. n. 10828/2015; Cass. n. 22072/2018; Cass. n. 14193/2021).

4.2.1.3 ― Si deve quindi concludere affermando il seguente principio di diritto: «In materia di intermediazione finanziaria, il termine di prescrizione dell’azione di risoluzione spettante all’investitore per inadempimento degli obblighi informativi incombenti sull’intermediario finanziario prende il suo corso dal verificarsi dell’inadempimento, connotato dal requisito della non scarsa importanza, e cioè dal momento in cui l’intermediario è venuto meno al doveroso comportamento di informare il cliente sulle caratteristiche del prodotto finanziario o sulla adeguatezza dello stesso al suo profilo di propensione al rischio, senza che rilevi l’acquisita consapevolezza soggettiva, da parte dell’investitore, del subìto inadempimento».

4.3 ― Perciò nella specie la Corte d’Appello correttamente ha individuato il dies a quo della prescrizione in quello in cui si è verificato l’inadempimento della banca intermediatrice all’obbligo di fornire adeguate e complete informazioni all’investitore in merito ai titoli compravenduti, ovvero nel momento della sottoscrizione di contratti di acquisto, ben potendo da quel momento, e a prescindere dal danno, l’investitrice chiederne la risoluzione.

5. ― Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 29 Reg. Consob n. 11522/98 e dell’art 21 T.U.F., nonché degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. con riferimento agli ordini di acquisto del 16.1.2001, in quanto nel valorizzare la sottoscrizione della clausola di inadeguatezza e l’ulteriore informativa resa in occasione della negoziazione dei due ordini del 16.01.2001 (omessa, invece, in occasione del conferimento degli ordini del 5.10.2000 e del 22.1.2001), la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto sussistere in capo all’attrice un onere di allegazione ulteriore avente oggetto le specifiche notizie che l’intermediario avrebbe dovuto fornire ai sensi dell’art. 29 reg. Consob emittenti in ordine all’inadeguatezza degli acquisti che sconsigliavano l’effettuazione dell’operazione.

Osserva la ricorrente:

a) che su entrambi i modelli d’ordine relativi alle operazioni del 16.01.2001 (che trascrive in ricorso) la sottoscrizione dell’investitrice risulta apposta in calce alla seguente clausola «prendiamo atto che l’operazione in oggetto verrà eseguita fuori dai mercati regolamentati e vi autorizziamo espressamente ad eseguirla. (nel primo ordine anche) Operazione non adeguata»; dal momento che la locuzione «Operazione non adeguata» (presente solo nel primo dei due ordini del 16.1.2001) non è seguita ma è preceduta dall’espressa autorizzazione dall’esecuzione all’ordine di acquisto, sicché non poteva essere interpretata nel senso della volontà dell’investitore di dare esecuzione all’ordine nonostante tale informativa, bensì solamente nel senso che tale informativa era stata resa; pertanto l’investitrice non avrebbe sottoscritto una dichiarazione di voler dar corso all’operazione nonostante l’informazione d’inadeguatezza dell’investimento, ma si sarebbe limitata a sottoscrivere una dichiarazione nella quale manifestava la volontà di procedere all’esecuzione dell’ordine nonostante l’avvertenza che il titolo veniva negoziato fuori dai mercati regolamentati;

b) l’informazione ulteriormente valorizzata dalla Corte capitolina e ritenuta dirimente al fine di veder accertato il rispetto degli oneri informativi in capo all’intermediario finanziario, era evidentemente generica ed incompiuta perché non veniva precisato a quale categoria di obbligazioni dovesse ricondursi quella negoziazione oggetto dell’informativa;

c) inoltre l’informazione aveva comunque un contenuto insufficiente a far ritenere assolto l’onere informativo in capo all’intermediario finanziario, avendo carattere generico e standardizzato, ed essendo riferita ad una categoria di prodotti finanziari senza che venisse specificato a quale categoria attenesse il prodotto oggetto di negoziazione nel caso specifico; dunque la Corte avrebbe fatto malgoverno dell’articolo 29 reg. Consob in combinato disposto con l’articolo 2697 c.c.

d) infine la ricorrente reputa che la sentenza vada censurata per violazione dell’articolo 115 c.p.c. nella parte in cui ha ritenuto non sufficientemente adeguata e specifica la contestazione attorea di non aver ricevuto precise informazioni dalla banca circa l’inadeguatezza dell’operazione e circa le ragioni che l’avrebbero sconsigliata, avendo in realtà la (omissis) dedotto già nell’atto introduttivo di primo grado le specifiche informazioni che avrebbero ― con riferimento a tutti gli ordini di acquisto delle obbligazioni Argentina ― reso inadeguate le operazioni e onerato l’intermediario a rendere una maggiormente specifica informativa all’investitrice onde renderla pienamente consapevole del rischio connesso all’effettuazione dello specifico investimento, allegazioni che la Corte avrebbe ignorato.

5.1. ― Il motivo è chiaramente inammissibile, in quanto si risolve in una censura alla ricognizione delle risultanze probatorie compiuta dalla Corte d’Appello ― in particolare di quelle documentali ― sorretta da una motivazione logica e congrua, incensurabile in sede di legittimità, essendo inconferente, sia il richiamo al disposto dell’art. 2697 c.c. – essendo principio consolidato quello secondo cui la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (e multis, Cass n. 7919/2020; Cass. n. 17313/2020; Cass. n. 1634/2020; Cass. n. 26769/2028; Cass. n. 26366/2017; Cass. n. 15107/2013) ― sia il richiamo al precetto di all’’art. 115 c.p.c., norma che non consente di sindacare il risultato dell’attività di valutazione della prova, bensì di denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (per tutte Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867).

5.2. ― Inoltre occorre ricordare che, come ancora recentemente ribadito, dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr., nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 29860/ 2022, Cass. n. 19146/ 2022, Cass. n.25909/ 2021, Cass. n. 14938/ 2018 e Cass. n. 25470/ 2019), il sindacato di legittimità sull’interpretazione di atti o contratti, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo:

(a) per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, da compiersi ― al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – illustrando in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato;

(b) denunciando per una motivazione contraria a logica ed incongrua e, cioè, tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé.

6. ― Con l’unico motivo di ricorso incidentale Intesa Sanpaolo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. e dell’art.2697 c.c. nonché degli artt. 2727, 2728, 2729 in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.

La banca censura la statuizione con cui la Corte d’appello ha disposto la restituzione in favore della banca dei rendimenti cedolari dalla medesima incassati e dei titoli posseduti, in origine o per effetto dell’adesione alle OPS della Repubblica Argentina, ed in particolare il passaggio in cui la Corte di merito ha affermato che non vi era «prova in atti di ulteriori importi incassati dall’appellante a titolo di interessi o frutti civili sulle obbligazioni originarie o scambiate, ovvero a titolo di corrispettivo per la rivendita a terzi delle stesse».

Osserva in proposito che:

a) avendo la sig. (omissis) chiuso tutti i rapporti con Intesa Sanpaolo il 16.3.2010 ― come da allegato la propria comparsa in appello ― quest’ultima non aveva potuto provare che la cliente avesse o meno aderito all’Offerta Pubblica di Scambio lanciata dall’Argentina nel 2010, ma solo quella all’OPS della provincia di Buenos Aires nel 2005; né aveva potuto provare quali cedole avesse incassate dalla medesima (omissis) dal 2010 al 2020; perciò aveva potuto solo chiedere alla Corte di merito di riconoscere il suo diritto di ripetere «gli importi già percepiti anche a titolo di interessi sulle obbligazioni di cui è causa (rendimenti e cedolari) nonché quanto la stessa parte appellante si trovasse nel frattempo a percepire (dal soggetto emittente ciascuno dei prestiti obbligazionari di cui è causa, da garanti o da terzi) in relazione a dette obbligazioni» e che tali crediti restitutori della Banca (con i relativi interessi oltre al maggior danno) venissero posti in compensazione rispetto a quelli fatti valere da controparte; b) prima della redazione della memoria depositata in questo grado, al momento della restituzione dei titoli alla banca in esecuzione della sentenza d’Appello, era emerso che la (omissis) aveva aderito all’OPS lanciata dalla Repubblica Argentina nel 2010 divenendo titolare di obbligazioni che avevano staccato rendimenti cedolari fino al settembre 2020 per euro 42.349,42, importo sul quale, applicando le statuizioni stesse della sentenza, sarebbero dovuti maturare interessi per circa 5.000 €.

Ciò premesso reputa Intesa Sanpaolo che, serbando il silenzio sulla sorte dei titoli originari e di quelli frutto dell’adesione alle OPS lanciate dall’Argentina nel 2005 e nel 2010, la (omissis) avrebbe confermato «implicitamente di averli continuati a mantenere in portafoglio», onde la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere che la stessa non poteva che avere incassato i rendimenti garantiti da tali titoli nel periodo di corrispondente detenzione.

Perciò chiede alla Corte la riforma della sentenza, atteso che la Corte di appello di Roma avrebbe dovuto condannare la (omissis) alla restituzione in suo favore degli ulteriori rendimenti cedolari staccati dai titoli originari ovvero da quelli scambiati, per l’intero periodo in cui tali titoli sono rimasti in possesso della medesima, rendimenti determinabili a posteriori ricorrendo a criteri oggettivi e univoci (sulla base di semplice operazione matematica).

6.1 ― Il motivo di ricorso incidentale è inammissibile: non risulta infatti ― né la banca lo afferma ― che il preteso valore probatorio del silenzio serbato dalla (omissis) sulla sorte dei titoli originari e di quelli frutto dell’adesione alle OPS lanciate dall’Argentina nel 2005 e nel 2010 – nel senso qui indicato di « conferma implicita » del fatto che ella li avesse continuati a mantenere in portafoglio, sia mai stato sottoposto al contraddittorio nel giudizio di merito e alla valutazione della Corte d’appello, onde sorreggere le proposte domande riconvenzionali di restituzione e compensazione; pertanto essendo una questione «di fatto e diritto» (silenzio e sue conseguenze sul piano della prova presuntiva viste le norme in proposito richiamate in rubrica del motivo) del tutto nuova, non può ad alcun titolo essere qui valutata.

Va, invero, ribadito che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini e accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito, salvo le questioni rilevabili d’ufficio (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 5131 e 9434 del 2023; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. nn. 32804 e 2038 del 2019; Cass. nn. 20694 e 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; Cass. n. 16632 del 2010).

7. Pertanto vanno dichiarati inammissibili tanto il ricorso principale quanto quello incidentale.

Le spese seguono la soccombenza certamente prevalente in capo alla ricorrente principale e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140.

Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto nei confronti di entrambe le parti, ricorrente in via principale e ricorrente in via incidentale.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di parte controricorrente liquidate nell’importo di euro 7.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettaria nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge; 

ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per la ricorrente principale nonché da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione civile della Corte di Cassazione il giorno 29 gennaio 2025.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2025.

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