La manomissione del contatore e dei cavi conduttori dell’energia elettrica ha l’unico scopo quella di rubarla (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 9 gennaio 2020, n. 392).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – rel. Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) CARLO nato a CATANIA il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 19/04/2018 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MARIA TERESA BELMONTE;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Pasquale FIMIANI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità;

udito il difensore l’Avvocato (OMISSIS) Simone che ne chiede l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Enna – che aveva riconosciuto Carlo (OMISSIS) colpevole di furto aggravato di energia elettrica — riqualificava il fatto ai sensi dell’art. 56 cod. pen., con conseguente rideterminazione della pena.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Carlo (OMISSIS) a mezzo del difensore, il quale svolge tre motivi.

2.1. Denuncia, in primis, vizio della motivazione, perché mancante e contraddittoria rispetto al primo motivo di appello, con il quale di deduceva travisamento del fatto e della prova in ordine alla circostanza che gli elementi di prova acquisiti, con riguardo all’effrazione della cassetta del contatore e al fatto che i cavi risultavano lesionati, indirizzerebbero, al più, verso un danneggiamento, in assenza di altri mezzi fraudolenti, né essendo emersa alcuna anomalia nella misurazione dell’energia elettrica.

2.2. Con il secondo motivo denuncia vizio della motivazione perché solo apparente in ordine ai motivi di appello aggiunti con cui era stata denunciata l’assenza di prova in ordine alla riconducibilità del fatto al ricorrente, tenuto conto che la manomissione del contatore era avvenuta, secondo la contestazione, nel 2008, ovvero anni prima dell’accertamento.

2.3. Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 56 cod. pen., e correlato vizio della motivazione in ordine alla riqualificazione del fatto, non essendo emerso il passaggio alla fase esecutiva del reato, tenuto conto che, rispetto a una condotta iniziale collocata temporalmente nel 2008, nessun prelievo era stato registrato fino al 2011; da ciò derivando la insussistenza del tentativo, sia sotto il profilo oggettivo che con riferimento alla intenzione del reo di effettuare realmente il prelievo di energia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

2. Si osserva, innanzitutto, che la attribuzione soggettiva del fatto all’imputato deriva dal ruolo formale da lui ricoperto al momento dell’accertamento, avvenuto il 15 luglio 2011, da parte dei verificatori dell’Enel, in quanto legale rappresentante della cooperativa Euroverde 2001.

Il motivo di ricorso — con il quale la difesa tenta di anticipare la fase della manomissione del contatore al 2008 — è, quindi, chiaramente infondato, dal momento che il tempus commissi delicti del tentativo di furto di energia elettrica, come ritenuto dalla Corte di appello, è da collocarsi, appunto, al momento in cui avvenne tale sopralluogo.

Fu in tale occasione, infatti, che il verificatore rilevò la presenza di una manomissione della cassetta portacontatore e la presenza di cavi scorticati predisposti al fine di consentire un successivo allaccio alla rete elettrica”.

D’altro canto, sempre in quella circostanza, egli accertò la mancata registrazione di prelievo irregolare di energia elettrica, ma solo una predisposizione in tal senso.

3. Venendo agli altri due motivi – che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto correlati, dal momento che il ricorrente articola le proprie doglianze nel senso di escludere la ricostruzione della fattispecie ai sensi dell’art. 56 cod. pen., facendola ricadere, piuttosto, nel paradigma di cui all’art. 635 cod. pen. – essi sono allo stesso modo infondati.

3.1. Prendendo, dunque, le mosse dai criteri normativi alla stregua dei quali individuare la soglia del tentativo punibile, il Collegio, pur consapevole della esistenza di un più risalente indirizzo, secondo cui gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli atti esecutivi, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata (Sez. 1, n. 40058 del 24/09/2008 Cristello e altri, Rv. 241649; conf. sez. I. n. 9411 del 07/01/2010 Musso e altro, Rv. 246620), aderisce alla opzione ermeneutica, oramai prevalente nella giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, per la configurabilità del tentativo di delitto rilevano, non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo.

In tal senso assumono rilevanza tutti quegli indici che possono essere utilizzabili per stabilire se l’azione avesse una significativa probabilità di essere portata a compimento, tra cui l’individuazione dell’obiettivo, la progettazione dell’azione nei minimi particolari, la progressione nell’organizzazione (Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, Rv. 269931; Sez. 2, n. 24302 del 04/05/2017 Rv. 269963; Sez. 2, n. 25264 del 10/03/2016 Rv. 267006).

Secondo tale orientamento, di cui sono state già evidenziate, nella giurisprudenza di questa Corte, le ragioni che lo rendono preferibile (Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009, Alfuso, cit.), deve escludersi che la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi, recepita dal codice Zanardelli (che all’art. 61 puniva «colui che, al fine di commettere un delitto, ne comincia con mezzi idonei l’esecuzione …»), rappresenti tuttora il discrimen per delimitare l’area del tentativo penalmente rilevante.

Si ritiene, piuttosto, che l’atto preparatorio possa integrare gli estremi del tentativo punibile quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione ex ante e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto (Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009 Rv. 45720; conf., Sez. 2, n. 28213 del 15/06/2010, Rv. 247680; Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011 , Rv. 250932; Sez. 2, n. 46776 del 20/11/201- Rv. 254106; Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015, Rv. 264589).

Rileva, ai fini della punibilità del tentativo, l’idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonché l’univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta (Sez. 5, n. 7341 del 1/01/2015, Sciuto, Rv. 262768).

In questa prospettiva, il prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità attribuisce al requisito dell’univocità degli atti una connotazione, non già di criterio di mera prova (in questo senso, Sez. 2, n. 3596 del 01/02/1994 -d ep. 25/03/1994, P.M. in proc. Evinni, Rv. 197753), ma di “criterio di essenza”: l’univocità degli atti nel delitto tentato, dunque, deve essere considerata come una caratteristica oggettiva della condotta, sicché è necessario che gli atti, in sé stessi, per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura ed essenza, rivelino, secondo le norme di esperienza e l’id quod plerumque accidit, il fine perseguito dall’agente (Sez. 5, n. 43255 del 24/09/2009, Alfuso, Rv. 245721; conf., exp/urimis, Sez. 6, n. 25065 del 17/02/2011, Alfano, Rv. 250421; Sez. I, n. 9284 del 10/01/2014 , Losurdo, Rv. 259249).

In altri termini, per affermare l’univocità degli atti, ancorché la prova del dolo sia stata desunta aliunde, è necessario effettuare una seconda verifica per accertare se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettività, per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura e nella loro essenza, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo l’id quod plervmque accidit, il fine perseguito dall’agente (Sez. 5, n. 4033 del 24/11/2015 – dep. 29/01/2016, Rv. 267563).

Orientamento, questo, del resto, già accreditato dalle Sezioni unite, che hanno avuto modo di chiarire che il requisito dell’univocità degli atti impone che gli stessi siano considerati in sé medesimi, per il contesto nel quale si inseriscono e per la loro natura ed essenza (Sez. U, n. 28 del 25/10/2000, Morici, non massimata sul punto; conf. Sez. 1, n. 4161 del 28/10/1986 – dep. 04/04/1987, Melis, Rv. 175567).

Del tutto consolidato, d’altro canto, è l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità in ordine al requisito dell’idoneità degli atti richiesto per la configurabilità del reato tentato, idoneità che deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice (Sez. 1, n. 1365 del 02/10/1997 – / dep. 05/02/1998, Rv. 209688; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 44148 del 07/07/2014. Rv. 260855: Sez. 1, n. 27918 del 04/03/2010, Rv. 248305), indipendentemente dall’insuccesso determinato da fattori estranei (Sez. 6, n. 23706 del 17/02/2004 ,Rv. 229135; Sez. 6, n. 27323 del 20/05/2008, Rv. 240736).

3.2. Muovendo dal rilievo che, ai fini della sussistenza del delitto tentato, non occorre che l’azione esecutiva sia già iniziata, ma è necessario e sufficiente che siano stati compiuti atti idonei, secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, e diretti in modo non equivoco a commettere il reato, con giudizio ex ante, e non con riferimento alle circostanze impreviste che abbiano impedito il verificarsi dell’evento o il compimento dell’intera azione necessaria per la consumazione del delitto, osserva il Collegio che, correttamente, i giudici di merito. nel caso in scrutinio, hanno ricostruito il fatto in esame nei termini del tentativo di furto. Le circostanze di fatto riferite dal teste (OMISSIS) ( manomissione della cassetta portacontatore e dei cavi di alimentazione) si presentano oggettivamente idonee — nel senso della loro capacità – a consentire l’impossessamento dell’energia elettrica – disvelandone, al contempo, l’intenzione furtiva, in quanto, sulla base di una valutazione ex ante, non v’è altra plausibile spiegazione alternativa a una siffatta condotta – neppure, peraltro, dedotta dalla difesa, che, negando la ricostruzione dei fatti in termini del tentativo di furto, ha prospettato l’ipotesi del danneggiamento.

E, tuttavia, non è chiaro per quale ragione — né ne ha dato conto la difesa — il ricorrente avrebbe dovuto danneggiare il meccanismo di misurazione dei consumi di energia elettrica, se non nell’ottica finalistica, appunto, di un illecito prelievo.

La manomissione del contatore e dei cavi conduttori dell’energia elettrica si presenta, invece, secondo comune massima di esperienza, proprio finalizzata all’impossessamento illecito della energia elettrica, poiché, in tal modo, viene evitata la registrazione dei consumi a carico dell’utente che la utilizza furtivamente; non assumendo rilievo la circostanza che a tale azione non sia seguito l’effettivo prelievo, se non per escludere, come ha fatto la Corte di appello, la consumazione del reato.

4. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna dell’imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.