La parziale rimozione dell’antitaccheggio: il furto è solo tentato (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 21 dicembre 2020, n. 36761).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente – 

Dott. NARDIN Maura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) ANGELO nato a Roma il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 28/03/2019 della CORTE APPELLO di L’AQUILA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe PAVICH;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Luca TAMPIERI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Angelo (OMISSIS) ricorre avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di l’Aquila, in data 28 marzo 2019, ha confermato la condanna emessa a suo carico dal Tribunale aquilano in relazione al delitto di furto di un capo di vestiario all’interno di un esercizio commerciale, commesso in L’Aquila il 4 novembre 2012 ed aggravato dalla violenza sulle cose, consistita nella rottura delle placchette dell’antitaccheggio.

Due i motivi di lagnanza.

1.1. Con il primo il ricorrente reitera, sotto la specie della violazione di legge, la doglianza formulata in appello a proposito della mancata riqualificazione del fatto come furto tentato anziché consumato: il Gagliano era stato fermato mentre si accingeva ad uscire dal punto vendita perché si era azionato il sensore sonoro dell’antitaccheggio; per cui, anche alla luce della sentenza a Sezioni Unite Prévete (n. 52117/2014), non é sufficiente affermare, come ha fatto la Corte di merito, che nella specie non vi era stata la vigilanza costante da parte del personale addetto alla vigilanza, avendo invece rilievo a tal fine anche il monitoraggio esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce: ciò che era, per l’appunto, accaduto nella specie.

1.2. Con il secondo motivo, conseguente all’accoglimento del primo, il ricorrente chiede l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, che non é stata riconosciuta dalla Corte di merito ostandovi la pena edittale massima per il delitto di furto consumato aggravato, e che invece – una volta ricondotta la fattispecie nell’alveo del tentativo – ben può essere riconosciuta in relazione alla vicenda di che trattasi.

2. Il primo motivo di ricorso é fondato e assorbente.

Ed invero, il richiamo alla sentenza a Sezioni Unite n. 52117 del 17/07/2014 risulta del tutto pertinente anche con riferimento al caso di specie, atteso che, in base al principio di diritto ivi affermato (relativo al caso di furto in supermercato), il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.

In un passaggio della motivazione della predetta decisione apicale si legge: «appare difficilmente confutabile – e il dato deve ritenersi acquisito per generale consenso e in carenza di veruna apprezzabile obiezione – che l’impossessamento del soggetto attivo del delitto di furto postuli il conseguimento della signoria del bene sottratto, intesa come piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva da parte dell’agente.

Sicché, laddove esso é escluso dalla concomitante vigilanza, attuale e immanente, della persona offesa e dall’intervento esercitato “in continenti” a difesa della detenzione del bene materialmente appreso, ma ancora non uscito dalla sfera del controllo del soggetto passivo, la incompiutezza dell’impossessamento osta alla consumazione del reato e circoscrive la condotta delittuosa nell’ambito del tentativo.».

Sulla base di tale principio viene quindi condiviso l’orientamento, espresso da una parte della giurisprudenza di legittimità a Sezioni semplici, secondo il quale «la concomitante osservazione da parte della persona offesa, ovvero del dipendente personale di sorveglianza, dell’avviata azione delittuosa (al pari dei controlli strumentali mediante apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce, scilicet: sensori, placche antitaccheggio) e la correlata e immanente possibilità di intervento nella immediatezza, a tutela della detenzione, impediscono la consumazione del reato, per non essersi perfezionata la fattispecie tipizzata – dell’ impossessamento, mediante sottrazione, della cosa altrui – in quanto l’agente non ha conseguito l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto passivo, la cui “signoria sulla cosa” non é stata eliminata».

Ne deriva che, come da corretta prospettazione del ricorrente, l’attivazione dei sistemi di rilevazione acustica del movimento della merce (come l’allarme antitaccheggio) svolge, per il consesso apicale, le medesime funzioni della diretta vigilanza del personale preposto e consente allo stesso di intervenire nell’immediatezza, senza cioè che si perfezioni l’impossessamento della res furtiva.

Nella specie l’attivazione dell’allarme antitaccheggio mentre il (OMISSIS) stava uscendo dal locale é avvenuta perché un frammento del dispositivo – precedentemente rotto dall’odierno imputato in un camerino del punto vendita – era rimasto all’interno dell’indumento oggetto del furto; e ciò ha consentito l’immediato intervento del personale dipendente. Ne risulta evidente la riqualificazione del fatto come furto tentato monoaggravato (artt. 56, 624, 625 n. 2, cod.pen.).

Il secondo motivo risulta pertanto assorbito; e, sebbene sia in astratto possibile il riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto anche nel giudizio di cassazione, a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali (Sez. 2, Sentenza n. 49446 del 03/10/2018, Zingari, Rv. 274476), nondimeno nella specie il giudizio va demandato ai giudici di merito, atteso che nella sentenza si fa menzione a numerosi e gravi precedenti penali da cui l’imputato é gravato.

E’ appena il caso di evidenziare che, alla stregua della disciplina della sospensione della prescrizione introdotta dell’art. 83, co. 3-bis D.L. n. 18/2020, introdotto in sede di conversione in legge dalla I. 24 aprile 2020, n. 27, il termine di prescrizione non risulta ad oggi spirato.

3. La sentenza impugnata va perciò annullata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame, nel quale saranno verificati in primo luogo i presupposti per la riconoscibilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.pen. e, in caso negativo, sarà rideterminato il trattamento sanzionatorio per la ravvisata ipotesi di furto tentato monoaggravato.

P.Q.M.

Qualificato il delitto contestato come furto tentato, annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.