L’assuntore del fallimento è legittimato attivo nel giudizio di revocatoria fallimentare in luogo del curatore (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 15 ottobre 2020, n. 22257).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16249-2017 proposto da:

BANCA POPOLARE DI SONDRIO SCPAZ, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GORIZIA 22, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LUDOVICO MOTTI BARSINI, che la rappresenta unitamente all’avvocato MASSIMO BONDIONI;

– ricorrente –

contro

GEM 21 SRL, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 162, presso lo studio dell’avvocato LUCIA P. SCALONE DI MONTELAURO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO PASINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 664/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata l’08/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTI DI CAUSA

1.- Il Fallimento della s.p.a. Realvit (dichiarato nel luglio 2002) ha convenuto avanti al Tribunale di Mantova la Banca Popolare di Sondrio, chiedendo ex art. 67 comma 2 legge fall. la revoca di una serie di rimesse di conto corrente.

Nel corso del giudizio è intervenuta la s.r.l. Gem 21, «nella qualità di proponente un concordato omologato».

Il Tribunale ha accolto la richiesta attorea.

2.- La Banca Popolare ha presentato appello avanti alla Corte di Appello di Brescia.

2.1.- Con sentenza depositata l’8 maggio 2017, questa ha rigettato l’impugnazione.

3.- A fronte del rilievo mosso dall’appellante – secondo cui la decisione del primo grado aveva errato nell’«avere qualificato come tardiva l’eccezione di carenza di legittimazione attiva dell’intervenuta Gem 21 -, la Corte territoriale ha osservato che «solo in sede di comparsa conclusionale la convenuta avesse contestato la legittimazione attiva della intervenuta Gem 21»;

che, in realtà, l’eccezione aveva per oggetto non la legittimazione, ma «la titolarità della situazione giuridica sostanziale per la quale non è consentito l’esame d’ufficio», rientrando nel potere dispositivo della parte, «tenuta a dedurla nei tempi e nei modi previsti per le eccezioni di parte»;

che, comunque, il «concordato fallimentare, omologato con provvedimento in data 1/4/2008 prevedeva, come si legge nella comparsa» di intervento, «la cessione di tutti i beni compresi nell’attivo fallimentare, nonché delle azioni di pertinenza della massa esercitate dal Fallimento (tra cui, quindi, la presente), sicché non è sostenibile, come pretende l’appellante, che l’azione revocatoria da essa esercitata rappresenti l’esercizio di un diritto estraneo al modello legale tipico connaturato all’azione revocatoria fallimentare»;

che la questione «relativa alla dedotta necessità della previsione in sede di concordato della cessione dell’azione revocatoria è superata dal fatto che tanto Gem 21 ha dichiarato in comparsa di intervento e non risulta che controparte avesse tempestivamente contestato la circostanza».

4.- Avverso questo provvedimento presenta ricorso la Banca Popolare, svolgendo quattro motivi di cassazione.

Resiste con controricorso la s.r.l. Gem 21.

5.- Il resistente ha anche depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.- I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini qui di seguito riportati.

Primo motivo: «nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., con riferimento all’art.112 cod. proc. civ.».

Secondo motivo: «violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., con riferimento agli artt.81 e 100 cod. proc. civ.: l’erronea qualificazione della fattispecie come inerente la titolarità sostanziale del rapporto. Il difetto di legitimatio ad causam della Gem 21».

Terzo motivo: «nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 comma 1 n. 4 con riferimento agli artt. 167, 183 e 342 cod. proc. civ. In subordine, l’erronea statuizione circa la tardività dell’eccezione di difetto di titolarità in capo alla Gem 21 s.r.l. I principi espressi dalla Suprema Corte con la sentenza SS.UU. 16 febbraio 2016, n. 2951. L’erronea applicazione del principio di specificità dei motivi di appello e il difetto di prova in ordine alla titolarità della Gem 21 s.r.I.».

Quarto motivo: «violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., con riferimento all’art. 2697 cod. civ.: la titolarità del rapporto sostanziale non è provata».

7.- Con i detti motivi, il ricorrente assume, nell’ordine, che la Corte territoriale non si è pronunciata sull’eccezione di legitimatio ad causam, avendola riqualificata come relativa alla titolarità della situazione sostanziale;

che l’eccezione di carenza di legittimazione attiva non può essere considerata tardiva, posto che è rilevabile d’ufficio e sollevabile in ogni stato e grado del processo; che «l’intervento della Gem 21 s.r.l. ha posto un problema di legittimazione ad agire e non di titolarità del rapporto: la riqualificazione operata dalla Corte … è quindi senza pregio»;

che, in ogni caso, anche l’eccezione relativa alla titolarità effettiva del diritto non può essere tardiva, posto che, come riscontrato dalla pronuncia delle Sezioni Unite 16 febbraio 2016 n. 2951, si tratta di una mera difesa e non già di un’eccezione;

che «non si comprende sulla base di quali principi possa ritenersi raggiunta la prova circa l’effettiva titolarità dell’azione revocatoria in capo all’interveniente Gem 21 s.r.I.»; «Gem 21 non ha prodotto nel giudizio di primo grado i documenti necessari a dimostrare il patto espresso e quindi l’effettiva cessione delle azioni revocatorie a suo favore».

8.- Il ricorso non merita di essere accolto.

Al riguardo, si manifesta opportuno fare riferimento alla pronuncia di Cass. Sezioni Unite, 16 febbraio 2016, n. 2951, che già è stata richiamata dal ricorrente (ma risulta presa in considerazione anche dal controricorrente).

Incentrata sui temi della legittimazione ad agire e della titolarità del diritto fatto valere, questa pronuncia presenta un contenuto particolarmente ampio e articolato.

Per quanto viene qui specificamente in interesse, essa risulta esprimere due distinti principi.

Il primo principio – la cui sostanza è condensata nel n. 49 – è che la «titolarità, costituendo un elemento costitutivo del diritto fatto valere in giudizio, può essere negata dal convenuto con una mera difesa e cioè con una presa di posizione negativa, che contrariamente alle eccezioni in senso stretto, non è soggetta a decadenza ex art. 167 secondo comma, cod. proc. civ.».

Il secondo principio si trova sintetizzato nel successivo n. 52: «Tuttavia, la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta può avere rilievo, perché può servire a rendere superflua la prova dell’allegazione dell’attore in ordine alla titolarità del diritto.

Ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo».

9.- Nell’ambito delle più rationes decidendi, che è venuta a formulare, la sentenza della Corte bresciana ha in specie riscontrato, da un lato, che, nel suo atto di intervento, Gem 21 ha dichiarato di essere cessionario delle azioni revocatorie connesse al fallimento della s.p.a. Realvit, quale assuntore concordatario; dall’altro, che la Banca Popolare non ha contestato tale circostanza negli atti processuali immediatamente consecutivi all’intervento.

Il ricorso, che è stato presentato dalla Banca Popolare, non viene a contestare, d’altra parte, il suddetto profilo.

10.- Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nell’ambito del dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di C 10.100,00 (di cui C 100,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma del comma 1 bis dell’art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.