Lavoro terziario: il lavoratore in malattia non può essere licenziato se non trascorsi 180 giorni (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 22 ottobre 2020, n. 23155).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DELLA TORRE Paolo Negri – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33410-2018 proposto da:

COMMERCIALE GICAP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ORAZIO 31, presso lo studio dell’avvocato MARCO MATTEI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE AUGELLO;

– ricorrente –

contro

MAZZEI FRANCESCO, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUDOVICO MASSIMO RUSSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1242/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 23/08/2018 R.G.N. 621/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/09/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.

Camera di consiglio dell’8 settembre 2020 – n. 24 del ruolo Presidente: Raimondi – Relatore: Piccone

RILEVATO che

con sentenza del 23/08/2018, la Corte d’appello di Catanzaro, in parziale riforma della decisione di primo grado ed in parziale accoglimento dell’appello, ha dichiarato l’illegittimità ed annullato il licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato a Francesco Mazzei da Calabria Discount s.r.I., con lettera del 30.04.2008, ordinando alla società di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e nelle mansioni svolte al momento del licenziamento e condannando la Commerciale Gicap S.p.A. in quanto acquirente per fusione al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate;

in particolare, la Corte territoriale ha ritenuto non corretta l’interpretazione del primo giudice della normativa contrattuale in tema di determinazione del periodo di comporto;

per la cassazione della sentenza propone ricorso la GICAP S.p.A., affidandolo a due motivi;

resiste, con controricorso, Francesco Mazzei.

CONSIDERATO che

con il primo motivo proposto, la difesa di parte ricorrente deduce, sotto il profilo dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ. in relazione all’art. 175 del CCNL per i dipendenti delle aziende del settore terziario con riferimento al computo del periodo di comporto;

con il secondo motivo si deduce, sempre in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2110 cod. civ. con riguardo all’art. 175 CCNL con riguardo alla mancata applicazione della c.d. equità integrativa e del comporto per sommatoria;

entrambi i profili, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono infondati;

va premesso che l’interpretazione delle clausole di un contratto costituisce, di norma, operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo ex art. 360 n. 5 c.p.c. ovvero, ex art. 360 n. 3 c.p.c., in riferimento ai canoni legali di ermeneutica contrattuale, a condizione, tuttavia, che i motivi di ricorso non si limitino a contrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella del provvedimento gravato (giurisprudenza costante: cfr., ex multis, in tal senso Cass. n. 5288 2018; Cass. n. 21888 del 2016);

più in particolare, questa Corte ha precisato che, fermo restando che, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo dev’essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale (cfr., ex coeteris, Cass.n. 4670 del 2009), la violazione del principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura soltanto nell’ipotesi della loro omessa disamina, ovvero quando il giudice utilizzi esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissi definitivamente il significato sulla base della sola lettura di questi, per poi esaminare ex post le altre clausole, onde ricondurle ad armonia con il senso dato aprioristicamente alla parte letterale, oppure espungerle ove con esso risultino inconciliabili (sul punto, Cass. n. 9755 del 2011);

nel caso di specie, la Corte d’appello ha offerto una lettura del combinato disposto degli artt. 175 e 177 nonché della dichiarazione a verbale in calce al predetto art. 177, del CCNL 17 luglio 2008 per i dipendenti delle aziende del settore terziario, in base alla quale ogni periodo di comporto ha durata di 180 giorni, talché, qualora all’infortunio succeda, come pacificamente avvenuto nel caso di specie, persino ove senza soluzione di continuità, un periodo di assenza per malattia, inizia a decorrere, dal momento dell’insorgenza della malattia, un distinto termine di 180 giorni solo alla cui scadenza può procedersi a licenziamento per superamento del periodo di comporto (si veda, al riguardo, Cass. n. 26005 del 2015);

tale lettura non appare in alcun modo espressa in violazione delle regole di ermeneutica contrattuale ed anzi valorizza la lettera del contratto nell’interpretazione delle clausole le une per mezzo delle altre;

giova evidenziare, a questo punto, che, essendo rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, appunto censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, eventuali pronunce emesse dal giudice di legittimità, ancorché in relazione ad identiche pretese sostanziali, non costituiscono “precedenti” in senso tecnico della giurisprudenza della Corte, in quanto il controllo di ciascuna di esse è delimitato dalle ragioni che sorreggono la statuizione impugnata, in relazione alla “causa petendi” prospettata nei giudizi di merito ed ai motivi di ricorso (cfr. la già richiamata Cass. n. 5288 del 2018);

nondimeno, va sottolineato che infruttuoso per le ragioni prospettate da parte ricorrente appare il richiamo a Cass. 26498 del 2018;

tale ultima pronuncia, infatti, deve ritenersi perfettamente in linea con quella adottata dal giudice di merito là dove, richiamando la già mentovata Cass. n. 26005 del 2015 1 ribadisce come questa Corte abbia chiarito, proprio in relazione al c.c.n.l. del settore terziario, come l’art. 175 c.c.n.l. preveda che il lavoratore durante la malattia abbia diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procede al licenziamento;

ha aggiunto che l’art. 177 dello stesso c.c.n.l. prevede a sua volta, con riferimento all’ipotesi di infortunio, che per la conservazione del posto di lavoro valgono le stesse norme di cui all’art. 175 ma precisando che la dichiarazione a verbale che segue l’art.177 c.c.n.l. citato statuisce che i periodi di comporto per malattia e per infortunio agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di lavoro sono distinti e hanno la durata di centottanta giorni cadauno;

alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore del procuratore della parte controricorrente, dichiaratosi antistatario, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5250,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al l 5 % e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso nella Adunanza camerale l’8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.