Liberazione condizionale e ravvedimento del detenuto (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 15 novembre 2021, n. 41361).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe – Presidente –

Dott. BIANCHI Michele – Consigliere –

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere –

Dott. ALIFFI Francesco – Rel. Consigliere –

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) GIOVANNI nato a NOCERA INFERIORE il 20/08/19xx;

avverso l’ordinanza del 20/04/2021 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FRANCESCO ALIFFI;

lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha rigettato la richiesta di concessione della liberazione condizionale avanzata da Giovanni (OMISSIS), collaboratore di giustizia sottoposto alla misura alternativa della detenzione domiciliare con fine pena il 2 febbraio 2033.

Osserva che la domanda non è accoglibile per la mancata dimostrazione dell’indefettibile requisito del ravvedimento, tenuto conto della passata devianza caratterizzata dalla consumazione di gravissimi reati maturati in un contesto mafioso.

Il (OMISSIS), infatti, pur avendo tenuto un comportamento corretto e rispettoso delle prescrizioni della misura concessa nel 2016, non ha intrapreso nessuna azione in favore della collettività a titolo di condotta riparativa.

2. Ricorre il (OMISSIS), per il tramite del difensore di fiducia, con un unico motivo con cui denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 176 cod. pen. e 16-nonies del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8.

Deduce la difesa del ricorrente che il Tribunale, in aperto contrasto con la normativa di riferimento, ha posto a fondamento della decisione, il difetto di prova di effettivo ravvedimento desunto in via esclusiva dalla mancata riparazione del danno e dalla conseguente necessità di un ulteriore periodo di osservazione.

Pur in presenza di tutti i presupposti di legge, ha rigettato la domanda con argomentazioni in stridente contraddizione con quanto riportato in premessa, dove si è dato atto che il (OMISSIS) ha patito un lungo periodo di detenzione inframuraria, ha avviato un prolungato percorso di collaborazione, ha usufrutto di tutti gli istituti premiali, ha puntualmente rispettato tutte le prescrizioni ed ha conseguito indiscussi progressi trattamentali, oltre che un elevato livello di reinserimento sociale.

In tal modo, il provvedimento impugnato ha finito per non attribuire alcuna rilevanza al trascorrere del tempo, pretendendo la prova che il condannato completasse in via definitiva la revisione critica del passato deviante.

2.1. Con memoria tempestivamente depositata, in replica alle conclusioni del Procuratore generale, sono state ribadite le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Le censure sviluppate nell’unico motivo di ricorso sono fondate.

1. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte il “sicuro ravvedimento”, richiesto dall’art. 176, comma primo, cod. pen. per la concessione della liberazione condizionale, non coincide con l’ordinaria buona condotta carceraria implicando «comportamenti positivi da cui poter desumere l’abbandono delle scelte criminali, tra i quali assume particolare significato la fattiva volontà del reo di eliminare o di attenuare le conseguenze dannose del reato» (Sez. 1, n. 486 del 25/09/2015, dep. 2016, Caruso, Rv..265471-01).

Esso, postula un riscatto morale nel reo, colto da una valutazione globale della personalità del condannato che consideri tutti gli atti o le manifestazioni di condotta, di contenuto materiale e morale, tali da assumere un valore sintomatico.

In quest’ottica assumono rilevanza l’adesione alle regole, il consapevole rispetto verso gli operatori penitenziari, una reale sollecitudine verso la sorte delle persone offese (ex plurimis Sez. 1, n. 37330 del 26/09/2007, Crisafulli, Rv. 237504; Sez. 1, n. del 19/02/2009, Antonuccio, Rv. 242900).

Il giudizio prognostico di ravvedimento deve essere, quindi, formulato sulla base di un completato percorso trattamentale di rieducazione e recupero che sia in grado di sostenere la previsione, in termini di certezza e non di mera probabilità, dell’evolversi in senso positivo della personalità del condannato verso la definitiva conformazione al quadro ordinamentale e sociale a suo tempo violato.

2. Con l’art. 16-nonies dl.. 15 gennaio 1991, n. 8 la liberazione condizionale è diventata uno dei percorsi più agevolmente accessibili per i collaboratori di giustizia, cui si prospetta, come unico presupposto formale di ammissibilità, l’avvenuta espiazione di una parte della pena.

Precisamente l’art. 16-nonies, comma 1, d.l. n. 8 del 1991 stabilisce che, nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, la liberazione condizionale è disposta, su proposta ovvero sentiti i procuratori generali presso le Corti di appello interessati a norma dell’art. 11 dello stesso d.l. o il procuratore nazionale antimafia.

La stessa norma (dopo aver qualificato il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, non solo come documento che su richiesta dei giudici di sorveglianza deve essere allegato alla proposta o al parere formulato dal Procuratore nazione antimafia e antiterrorismo, ma soprattutto come elemento documentale la cui formazione è necessaria per l’ottenimento dei benefici penitenziari ivi considerati) stabilisce, al comma 4, che il tribunale di sorveglianza, se ritiene che sussistano i presupposti di cui al comma 1, avuto riguardo all’importanza della collaborazione, sempre che sussista il ravvedimento e non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva, adotta il provvedimento indicato nel comma 1, anche in deroga alle vigenti disposizioni, ivi comprese quelle relative ai limiti di pena di cui all’art. 176 cod. pen. (provvedimento che è specificamente motivato nei casi in cui le autorità indicate nel comma 2 del presente articolo abbiano espresso parere sfavorevole).

E pacifico approdo giurisprudenziale che la liberazione condizionale possa essere, quindi, concessa al collaboratore non solo in deroga ai limiti di pena di cui all’art. 176 cod. pen.„ espressamente richiamati, ma anche alla generale previsione di cui all’art. 176, quarto comma, cod. pen., che subordina la concessione della liberazione condizionale all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato (Sez. 1, n. 42357 del 11/09/2019, Celona, Rv. 277141).

2.1. La facoltà di concedere la suddetta liberazione condizionale o ammettere alle misure alternative i soggetti sottoposti a programma di protezione a norma del d.l. n. ‘8 del 1991, con le previste deroghe alle disposizioni ordinarie, non si estende, invece, ai presupposti relativi all’emenda di tali soggetti e alla finalità di conseguire la loro stabile rieducazione, per cui tali benefici postulano – fermo restando l’indefettibile accertamento delle condizioni soggettive di ammissibilità – che comunque si tratti di persone per le quali si riscontrino le premesse meritorie e l’applicabilità in concreto del beneficio, in relazione alla loro personalità, che consenta di escludere ragionevolmente la persistenza di un apprezzabile margine di pericolosità sociale e la conseguente probabilità di reiterazione di comportamenti penalmente illeciti, affinché risultino assicurate le condizioni relative all’emenda del soggetto e alle finalità di conseguirne la stabile rieducazione (per tutte, Sez. 1, n. 35915 del 11/11/2014, dep. 2015, Capoccia, n. m.; Sez. 1, n. 5110 del 22/11/2011, dep. 2012, Massaro, n. m.; Sez. 1, n. 5523 del 24/10/1996, Chiofalo, Rv. 206185).

D’altra parte, ove non si accedesse a tale interpretazione dovrebbe pervenirsi all’aberrante conclusione secondo cui, trattandosi di soggetto sottoposto a programma di protezione, la concessione del beneficio verrebbe a risultare obbligatoria, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale da parte del giudice (Sez. 1, n. 5753 del 31.01.1997, Correale).

La condotta collaborativa, anche se indicativa di una revisione critica, non deve, quindi, essere tenuta presente da sola, ma va sempre posta in relazione ad altri determinanti parametri, non solo alla gravità dei reati in espiazione (Sez. 1, n. 1960 del 03/04/1998, Del Vecchio, Rv. 210421; Sez. 1, n. 8721 del 03/12/2003 dep. 2004, Garofalo, Rv. 228002).

2.2. Quanto, infine, al parere obbligatorio espresso dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, esso non ha carattere vincolante, ma, tenuto conto che detta autorità è chiamata a esprimere una valutazione motivata in ordine all’attualità dei collegamenti tra il condannato e la criminalità organizzata, il Tribunale, ferma restando la sua libertà di giudizio in merito alla concessione dei benefici penitenziari, non può apoditticamente tralasciare le argomentazioni espresse o non considerarle (Sez. 1, n. 40823 del 05/06/2013, Lombardi, Rv. 257532).

3. L’iter argomentativo seguito dal Tribunale di sorveglianza non ha fatto buon governo degli esposti principi ed è affetto dal vizio motivazionale denunciato dal ricorrente.

Il Tribunale, senza fare alcuna menzione delle valutazioni espresse dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine alla speciale rilevanza della collaborazione definite in premessa negative, dopo avere dato atto che il (OMISSIS) ha sempre svolto stabile attività lavorativa e che gli organi di polizia hanno fornito informazioni positive sul comportamento tenuto dallo stesso sin dall’inizio dell’applicazione della detenzione domiciliare, quindi a partire dal 12 maggio 2016 (corretto e rispettoso delle prescrizioni), ha considerato ostativo all’accoglimento dell’istanza esclusivamente il mancato compimento da parte del condannato di azioni a favore della collettività «a titolo di condotta riparativa per i danni cagionati a seguito dei suoi numerosi e gravi reati commessi nel tempo», nemmeno «compiendo donazioni né svolgendo opera di volontariato».

Si tratta di valutazione incongrua ed incompleta perché non tiene conto di tutti gli indici valutabili nel giudizio sul ravvedimento ed attribuisce una preponderanza ingiustificata all’unico considerato.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il giudice, nel valutare il sicuro ravvedimento dell’istante, deve tener conto di più indici sintomatici «quali l’ampiezza dell’arco temporale nel quale si è manifestato il rapporto collaborativo, i rapporti con i familiari e il personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorativa, di studio o sociali, successive alla collaborazione» e non può attribuire rilievo determinante «alla sola assenza di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime dei reati commessi» (Sez. 1, n. 17831 del 20/04/2021Rv. 281360, Celona; Sez. 1, n. 19854 del 22/06/2020, Licata Rv. 279321).

4. In conclusione il provvedimento impugnato va annullato con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma perché proceda a nuovo giudizio, attenendosi ai sopra richiamati principi di diritto e sanando i vizi motivazionali.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Così deciso, in Roma il 29 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria, addì 15 novembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.