L’operato della volontaria, prestato per oltre venti anni in favore dell’associazione, è catalogabile come rapporto di lavoro vero e proprio (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 27 agosto 2021, n. 23538).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PONTERIO Carla – Presidente –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33405-2019 proposto da:

ASSOCIAZIONE FEDERAZIONE DAMANHUR IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI (OMISSIS) 58, presso lo studio dell’avvocato Marco (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Silvia (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) RAFFAELLA, (OMISSIS) FRANCA, (OMISSIS) ADRIANO, (OMISSIS) VALERIA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 243/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 15/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa GABRIELLA MARCHESE.

RILEVATO CHE:

la Corte d’appello di Torino, con sentenza del 31.10.2012, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda di Raffaella (OMISSIS) volta all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con Oberto (OMISSIS) (dante causa degli intimati Franca (OMISSIS), Adriano (OMISSIS) e Valeria (OMISSIS)) in proprio e quale fondatore dell’Associazione in epigrafe, dal 1983 e fino al febbraio 2007, e quella consequenziale di condanna al pagamento di crediti retributivi;

escludeva la Corte territoriale, per tutto il periodo di adesione della (OMISSIS) a Damanhur (dal maggio 1983 al febbraio 2007), la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato;

riteneva che l’attività svolta dall’aderente, di natura essenzialmente volontaria, non avesse le caratteristiche della subordinazione, atteso che il rapporto, nella sua genesi e nel suo complesso, era di totale dedizione al perseguimento dei fini della comunità ed in tale contesto l’eventuale compenso corrisposto non era che l’adempimento di una obbligazione naturale;

la decisione della Corte di appello veniva cassata con pronuncia nr. 7703 del 2018 che affermava il seguente principio di diritto: «L’attività oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato si presume onerosa e tale presunzione è rafforzata allorché la prestazione sia resa in favore di un’organizzazione di tendenza religiosa o culturale a cui l’art. 4 della I. n. 108 del 1990, attribuendo la qualifica di “datori di lavoro non imprenditori”, implicitamente riconosce la possibilità dell’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato; la prova idonea a superare tale presunzione, che grava su colui che contesta l’onerosità, è tanto più rigorosa quante volte siano provate erogazioni periodiche di denaro o di altre utilità in favore del prestatore, per le quali quest’ultimo non è tenuto a dimostrare l’insussistenza di un titolo di altra natura, spettando all’altra parte la prova di una “causa so/vendi” diversa da quella retributiva»;

in sede rescissoria, la Corte di appello di Torino, con sentenza nr. 243 del 2019, ha respinto gli appelli proposti avverso la sentenza del Tribunale di Ivrea e ha confermato la condanna dell’Associazione al pagamento del trattamento di fine rapporto maturato sull’ammontare delle retribuzioni complessivamente corrisposte;

la Corte di appello, in applicazione del principio espresso dalla pronuncia rescindente, ha osservato come, a fronte dell’accertata remunerazione della prestazione lavorativa con monete damanhuriane, spendibili all’interno della comunità, l’Associazione non avesse fornito la prova della natura non retributiva della dazione. La natura retributiva era peraltro confermata dalla corresponsione delle monete con cadenza mensile e sulla base di un ammontare orario fisso;

inoltre, ricorrevano anche altri indici sintomatici di subordinazione, sia pure nella forma attenuata per la peculiarità del contesto comunitario nel quale si svolgeva l’attività lavorativa e per la discrezionalità e autonomia insite nel contenuto intrinseco delle mansioni svolte, in un primo tempo, quale insegnante e, successivamente, in qualità di dirigente addetta alle pubbliche relazioni nazionali ed internazionali. Specifico rilievo assumeva, però, la prova dello stabile e continuativo inserimento, ultraventennale, della (OMISSIS) nella struttura organizzativa dell’associazione e l’esistenza di un potere di controllo da parte dell’Associazione attraverso la previsione di un apparato sanzionatorio risultante dal testo della Costituzione Damanhuriana, come confermato dai testi;

avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione l’Associazione Federazione Damanhure in liquidazione, illustrato con successiva memoria;

sono rimaste intimate le parti indicate in epigrafe;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis cod.proc.civ.;

CONSIDERATO CHE:

con il primo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 4 c.p.c.- è dedotta la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e dunque la nullità della sentenza per omesso esame e statuizione, da parte della pronuncia impugnata, del motivo di appello concernente l’eccezione dì non riconducibilità al paradigma dell’art. 2094 cod.civ. del lavoro prestato dall’associato a favore della sua associazione, eccezione avanzata in primo grado e già trascurata dalla decisione del Tribunale di Ivrea;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c.- è dedotta la violazione dell’articolo 2094 c.c.- per avere la Corte d’appello ricondotto le attività, latu sensu lavorative, poste in essere dalla (OMISSIS) ad un parallelo, preteso rapporto di lavoro subordinato nonostante l’esistenza tra le parti di un rapporto associativo effettivo e coerente nelle finalità con le prestazioni rese dalla predetta (OMISSIS);

i due motivi vanno congiuntamente esaminati e presentano analoghi motivi di inammissibilità;

a tacer d’altro, tutte le censure – formulate sub specie di violazione di legge processuale o sostanziale – si risolvono in una critica dell’iter logico argomentativo che sorregge la decisione e involgono questioni di fatto, sindacabili nei ristretti limiti del vizio ex art. 360 nr. 5 cod.proc.civ.;

nessuno dei motivi, però, illustra, nei rigorosi termini richiesti dal vigente testo dell’art. 360 nr. 5 cod. proc. civ. (applicabile alla fattispecie), il «fatto storico», non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass., sez. un., nr. 8053 del 2014);

è, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (in questi sensi vedi Cass. n. 8758 del 2017);

è comunque il caso di osservare come i giudici di merito, in ottemperanza al comando espresso dalla sentenza rescindente, abbiano utilizzato i criteri astratti e generali indicati da questa Corte ai fini della qualificazione, come subordinato, del rapporto di lavoro intercorso tra le parti. A tal fine, infatti, hanno valorizzato, in uno alla circostanza rappresentata dal versamento di un corrispettivo mensile di importo orario fisso, gli elementi dell’inserimento stabile della lavoratrice nella organizzazione dell’Associazione -e, dunque, la continuità della prestazione lavorativa- e la sussistenza di un sistema sanzionatorio; coerentemente, uniformandosi al principio di diritto affermato dalla Corte di legittimità nel giudizio rescindente, hanno giudicato onerosa la prestazione lavorativa e quindi la dazione mensile del denaro di natura retributiva, in difetto di prova di una diversa causa solvendi;

il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;

non si provvede in merito alle spese, in assenza di attività difensiva delle parti intimate;

sussistono, invece, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.