Nei giorni festivi, la badante volontariamente prolunga la sua permanenza presso l’assistita: non è lavoro straordinario (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 16 dicembre 2020, n. 28703).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12599-2019 proposto da:

FITACZ AGNIESZKA MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CALDERARA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIA GRAZIA GANDOLFO;

– ricorrente –

contro

MENINI MARIA TERESA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE ZANARDELLI 36, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIULIO ROMEO, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO FIRRIOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 343/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 29/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.

RILEVATO CHE:

la Corte d’appello di Genova, a conferma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda per differenze retributive proposta da Maria Agnieszka Fitacz, collaboratrice domestica a tempo pieno e in regime di convivenza presso la famiglia Menini per le esigenze assistenziali della madre non autosufficiente della datrice di lavoro Maria Teresa Menini;

la Corte territoriale, sulla base delle testimonianze acquisite, ha ritenuto non raggiunta la prova dello svolgimento di ore di lavoro straordinario nei giorni festivi, utili ai fini del riconoscimento in capo alla lavoratrice del diritto alle differenze retributive e al t.f.r. residuo;

la Corte territoriale ha accertato che la condizione di convivente nella casa era compatibile con la volontarietà della scelta della collaboratrice di trascorrere il proprio tempo libero in compagnia dell’assistita e del figlio di questa, sempre presente nei giorni festivi per assolvere alle esigenze dell’anziana madre e dare il cambio alla sorella;

la cassazione della sentenza è domandata da Maria Agnieszka Fitacz sulla base di sette motivi, illustrati da successiva memoria;

Maria Teresa Menini ha resistito con controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.4 cod. proc. civ., parte ricorrente deduce nullità della sentenza per motivazione contraddittoria; rileva l’incongruità dell’affermazione con cui la Corte d’appello, per un verso, ha riconosciuto che la ricorrente era presente nell’abitazione anche nei giorni festivi, per altro verso che tale presenza era scelta volontariamente e non era legata all’assolvimento dei normali compiti assistenziali;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 e n.4 cod. proc. civ., contesta vizio di extrapetizione (art. 112 cod. proc. civ.) nel punto in cui la pronuncia impugnata ha affermato la volontarietà, e quindi la gratuità delle prestazioni rese nei giorni non lavorativi, senza che la datrice avesse dedotto e allegato tale circostanza;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., rilevato che l’art. 2094 cod. civ. contiene una presunzione di onerosità della prestazione lavorativa, deduce il mancato raggiungimento della prova della finalità solidaristica delle prestazioni rese nei giorni non lavorativi, non essendo sufficiente la mera allusione a presunti vincoli di solidarietà affettiva con componenti della famiglia;

col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art.2729 cod. civ., per avere il giudice del merito erroneamente presunto la volontarietà/gratuità della prestazione che la lavoratrice avrebbe dedotto e provato, in assenza di qualsiasi deduzione istruttoria su tale circostanza da parte della datrice e in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti acquisite al processo;

col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., deduce violazione dell’art. 2697 cod. civ. nella parte in cui ha rigettato la domanda dell’odierna ricorrente anche sul presupposto della rilevanza processuale conferita al mancato disconoscimento, da parte di questa, della propria firma sulle buste paga e sui fogli presenza;

col sesto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 e n. 4 cod. proc. civ., contesta la nullità della sentenza per contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione, avendo la Corte territoriale affermato erroneamente che il conteggio prodotto dalla lavoratrice era stato contestato dalla datrice “nei limiti delle allegazioni avversarie, come si evince a p. 3 della comparsa di costituzione”;

col settimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 e n. 4 cod. proc. cív., lamenta il mancato accoglimento della domanda di riconoscimento del t.f.r. per il periodo di prova svolto al di fuori della regolarizzazione contrattuale, per avere la Corte territoriale motivato che sul punto mancavano specifiche allegazioni di parte, limitatesi a far riferimento al t.f.r. unicamente per il maggiore ammontare derivante dalle ore di lavoro effettivamente svolte;

i primi quattro motivi, esaminati congiuntamente per connessione, sono inammissibili;

essi non sono idonei a contrastare la ratio decidendi del provvedimento impugnato, che ha escluso, sulla base dell’accertamento di merito, che la badante prestasse lavoro straordinario nei giorni non lavorativi, essendo in regime di coabitazione con l’assistita ed essendo rimasta, anche dopo la morte di questa, nella casa in virtù di un comodato d’uso gratuito concessole dai familiari;

il complesso delle circostanze dedotte ha portato la Corte territoriale ad affermare l’assoluta volontarietà della permanenza dell’odierna ricorrente nella casa di abitazione, nonché della partecipazione di questa alle attività svolte nei giorni non lavorativi, senza che da ciò potesse desumersi l’effettivo svolgimento di prestazioni lavorative, anche perché in quei giorni era sempre il figlio dell’assistita non convivente ad occuparsi della madre;

pertanto, ogni considerazioni circa la presunzione di onerosità del lavoro e le asserite violazioni delle norme in tema di oneri probatori e del principio sancito nell’art. 112 cod.proc.civ., appare avulsa dal ragionamento decisorio seguito dal giudice del merito, il quale per contro è del tutto coerente sotto il profilo logico – argomentativo;

il quinto motivo è inammissibile a causa della sua carenza di specificità, avendo omesso, parte ricorrente, di produrre le buste paga e i fogli di presenza al cui mancato formale disconoscimento la Corte d’appello avrebbe erroneamente conferito rilevanza ai fini del rigetto della domanda;

in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione, in ragione del principio di specificità, deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);

il sesto è inammissibile in quanto assorbito del rigetto dei superiori motivi, inerendo al quantum della pretesa che invece è stata ritenuta infondata;

il settimo motivo è anch’esso inammissibile, dal momento che la parte non trascrive il ricorso introduttivo del giudizio e non lo localizza con sufficiente specificità, sì da non consentire a questa corte di valutare la sussistenza dell’erronea interpretazione della domanda addebitata al giudice del merito;

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’arti, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso il 20/10/2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.