Porto d’armi, uso caccia: il beneficiario deve osservare tutte le leggi penali (Consiglio di Stato, Sezione Terza, Sentenza 20 maggio 2020, n. 3199).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Franco Frattini, Presidente

Dott. Giulio Veltri, Consigliere

Dott. Ezio Fedullo, Consigliere

Dott. Giovanni Tulumello, Consigliere

Dott. Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5628 del 2018, proposto dal sig.

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Mauro Barberio e Stefano Porcu e con domicilio digitale come da “P.E.C.” da Registri di Giustizia

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro temporeex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso gli Uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sez. I, n. -OMISSIS- del 29 dicembre 2017, con cui è stato respinto il ricorso R.G. n. -OMISSIS- promosso dal sig. -OMISSIS- avverso il decreto del Questore di Nuoro recante rigetto dell’istanza di rilascio della licenza di porto di fucile per uso caccia presentata dal ricorrente e per il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.

Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Viste la memoria di costituzione e difensiva e la documentazione del Ministero dell’Interno;

Vista la memoria di replica dell’appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con l. 24 aprile 2020, n. 27;

Relatore nell’udienza del 7 maggio 2020 il Cons. Pietro De Berardinis, in collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18/2020 cit.;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue

FATTO

Con ricorso al T.A.R. per la Sardegna, R.G. n. -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS- impugnava il decreto del Questore di Nuoro Cat. -OMISSIS-Armi del 28 marzo 2017, recante rigetto della sua istanza di rilascio della licenza di porto di fucile per uso caccia, chiedendone l’annullamento, previa tutela cautelare.

Il provvedimento del Questore di Nuoro si fondava sull’esistenza, a carico del richiedente, di diversi procedimenti penali, alcuni dei quali si erano conclusi con declaratoria di prescrizione del reato o di mancanza delle condizioni di procedibilità e uno, definito il 16 aprile 2009, con condanna a due anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per il delitto di falso ideologico; per tale ultimo procedimento, peraltro, – riferisce il medesimo decreto questorile – nel 2016 era intervenuta sentenza di riabilitazione.

Su tali basi, il decreto ha ritenuto il quadro del sig. -OMISSIS- incompatibile con l’autorizzazione richiesta, la quale presuppone un “alto profilo” di buona condotta e osservanza delle leggi non ravvisabile nel caso di specie.

Il ricorrente lamentava, anzitutto, come il Questore avesse posto a suo carico gli effetti negativi dei procedimenti penali a cui era stato sottoposto, sebbene non vi fosse stata nei suoi confronti nessuna condanna, tranne quella per falso ideologico, per cui era intervenuta la riabilitazione. Deduceva, poi, come la P.A. gli avesse ingiustamente addossato l’onere di provare la sussistenza dei criteri di legge per il rilascio del porto d’armi.

Ancora, lamentava come il Questore gli avesse negato il rilascio del porto d’armi sebbene a seguito della riabilitazione egli avesse ottenuto la revoca, da parte del Prefetto di Nuoro, del divieto di detenzione di armi in precedenza emesso a suo carico.

Si costituiva in giudizio l’Amministrazione intimata (Ministero e Questura), resistendo alle domande attoree.

Nella camera di consiglio fissata per la discussione dell’istanza cautelare, quest’ultima veniva riunita al merito.

Con sentenza n. -OMISSIS- del 29 dicembre 2017 il Tribunale adito respingeva il ricorso, giudicando infondate tutte le doglianze di parte ricorrente e corretta la valutazione del Questore, che ha ritenuto compromessa la piena affidabilità del ricorrente circa l’uso legittimo delle armi.

Avverso detta sentenza il sig. -OMISSIS- propone appello con il ricorso in epigrafe, chiedendo che la stessa sia riformata e che, pertanto, venga accolto il ricorso da lui presentato in primo grado.

A supporto dell’impugnazione, l’appellante lamenta, in estrema sintesi:

1) che, diversamente da quanto ritenuto dal T.A.R., l’obbligo di motivazione del diniego impugnato non sarebbe stato adempiuto, e che sarebbe erronea la tesi – sostenuta dalla P.A. e fatta propria dalla sentenza gravata – che i procedimenti penali estinti per prescrizione avrebbero comunque consentito di accertare il disvalore dei fatti storici;

2) che i procedimenti in tema di detenzione di armi e licenza di porto d’armi, pur distinti ed autonomi, avrebbero entrambi alla base una valutazione sull’affidabilità complessiva del soggetto, ma nel caso di specie il diniego del Questore avrebbe considerato il richiedente non affidabile, in quanto privo del requisito della buona condotta, in contrasto con il parere del Commissariato di P.S. (su cui si è basato il decreto di revoca del divieto di detenzione di armi), che evidenziava la mancanza di rischi di abuso delle armi.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, depositando memoria e documenti e concludendo per la reiezione dell’appello perché infondato, con conferma della decisione di primo grado.

L’appellante deposita memoria di replica, controdeducendo alle argomentazioni della difesa erariale ed insistendo per l’accoglimento del gravame.

All’udienza del 7 maggio 2020, svoltasi con le modalità di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con l. 24 aprile 2020, n. 27, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Forma oggetto di impugnazione la sentenza del T.A.R. Sardegna, Sez. I, -OMISSIS- del 29 dicembre 2017, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dall’appellante, sig. -OMISSIS-, avverso il diniego di rilascio della licenza di porto di fucile per uso caccia emesso nei suoi confronti dal Questore di Nuoro.

In punto di fatto l’appellante sottolinea che i procedimenti penali elencati dalla Questura a sostegno del diniego non si sono conclusi con sentenza di condanna, tranne uno per il quale, tuttavia, egli ha ottenuto la riabilitazione: e proprio in forza di tale riabilitazione – insieme all’assenza di altri elementi ostativi – il Prefetto di Nuoro ha revocato il divieto di detenzione di armi e munizioni, emesso a suo carico il 9 agosto 1999, non ravvisando la persistenza di indicatori di un concreto rischio di abuso delle armi.

A fronte di tali dati di fatto, nondimeno, il provvedimento del Questore ha innanzitutto escluso che dal rilascio del nullo osta prefettizio alla detenzione di armi e munizioni derivasse, per automatismo normativo, anche il rilascio della licenza di porto d’armi, trattandosi di due provvedimenti distinti, i quali presuppongono valutazioni autonome: l’uno, infatti, attiene alla detenzione delle armi in casa, l’altro, all’utilizzo itinerante delle stesse.

Inoltre, il Questore ha evidenziato come i procedimenti penali esistenti a carico del -OMISSIS- (per i reati di detenzione abusiva di armi, violazione delle norme sulla protezione della fauna selvatica omeoterma e sul prelievo venatorio, e minaccia aggravata) si fossero conclusi con sentenze non di assoluzione, ma di declaratoria della prescrizione o della carenza delle condizioni di procedibilità, con la conseguenza di non far venir meno il disvalore dei relativi fatti storici.

Pertanto, il Questore ha negato il rilascio della licenza, stante la carenza del necessario presupposto di questa, costituito dalla situazione soggettiva del richiedente caratterizzata da un “alto profilo” di buona condotta ed osservanza delle leggi.

Il T.A.R. ha giudicato legittimo il diniego, affermando che la P.A., in considerazione delle condotte criminose emerse e analizzate (oltre alle fattispecie di reato indicate al periodo precedente, c’è stata la condanna per falso ideologico, per la quale è intervenuta la riabilitazione), ha correttamente ritenuto compromessa la piena affidabilità del richiedente circa l’uso legittimo delle armi.

Non vi è contraddizione – aggiunge la sentenza – tra la valutazione del Questore e il diverso giudizio emesso dal Prefetto ai fini della revoca del divieto di detenzione di armi e munizioni, viste le diverse situazioni, fattuali e giuridiche, a cui i due provvedimenti (nulla osta alla detenzione di armi; licenza di porto di fucile) fanno riferimento.

Infatti:

1) la detenzione consente al soggetto soltanto di avere la disponibilità dell’arma, sicché per essa non occorre alcuna preventiva autorizzazione dell’Autorità di P.S., salvo l’obbligo di denuncia ed il principio che governa la materia è quello della libera detenzione delle armi nei limiti prescritti dalla legge;

2) il porto d’armi, invece, consente al soggetto il trasporto e l’utilizzo delle armi e per esso il principio è quello del divieto in generale di portare armi, rispetto al quale il porto d’armi è l’eccezione (e non un diritto assoluto).

Il giudice di primo grado richiama sul punto taluni precedenti giurisprudenziali di questo Consiglio di Stato, che hanno evidenziato la differenza tra i due titoli e il fatto che il porto d’armi riguardi non solo la capacità di abuso, ma anche la mancanza di buona condotta, ancorché per fatti estranei alla gestione delle armi.

Il sig. -OMISSIS- contesta le argomentazioni della sentenza impugnata, adducendo a supporto dell’appello le seguenti doglianze:

a) il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere soddisfatto dal diniego impugnato l’obbligo di motivazione, che, in realtà, sarebbe rimasto inadempiuto: infatti, il Questore non avrebbe indicato le ragioni che l’hanno portato a disattendere il parere favorevole espresso dal locale Commissariato di P.S., su cui si era invece basato il Prefetto, in considerazione del lasso di tempo intercorso dai fatti (risalenti al periodo 1999/2003) e della condotta successiva tenuta dal sig. -OMISSIS-;

b) sarebbe, poi, erronea la tesi secondo cui i procedimenti penali estinti per prescrizione avrebbero comunque consentito di accertare il disvalore dei fatti storici;

c) pur essendo vero che i procedimenti in tema di detenzione di armi e licenza di porto d’armi sono distinti ed autonomi, tuttavia entrambi avrebbero alla base una valutazione in ordine all’affidabilità complessiva del soggetto. Orbene, nella vicenda in esame, mentre il parere del Commissariato di P.S. (e il decreto prefettizio che su di esso si è basato) hanno evidenziato l’assenza di rischi di abuso delle armi, alla luce del carattere datato dei precedenti e della successiva condotta tenuta dal richiedente, in contraddizione con tale parere il Questore ha ritenuto l’appellante non affidabile per non avere egli tenuto una buona condotta: e la contraddizione sarebbe vieppiù significativa, atteso che il rischio di intemperanze del soggetto sarebbe legato non tanto al porto di fucile per uso caccia, quanto piuttosto alla detenzione/disponibilità dell’arma da parte sua;

d) inoltre, il giudizio sulla buona condotta sarebbe non fine a se stesso, bensì funzionale a valutare il ricorso alle armi.

L’Amministrazione appellata si difende dalle avverse censure insistendo, innanzitutto, sulla diversa portata dei due procedimenti di nulla osta alla detenzione e di licenza di porto d’armi, tant’è che anche chi è munito di detta licenza è tenuto alla denuncia circa la detenzione di armi prevista dall’art. 38 T.U.L.P.S.: dunque, si può giungere a decisioni opposte senza contraddizioni e/o difetto di coerenza. La tesi contraria, del resto, porterebbe a sostenere che chiunque possieda il nulla osta per la detenzione di armi debba, per ciò solo, aver diritto al porto d’armi.

In secondo luogo, la difesa erariale ricorda che il -OMISSIS- (all’epoca dei fatti -OMISSIS-) è stato indagato per taluni reati, tra cui il bracconaggio. La condanna per falso ideologico e detenzione abusiva di armi, attinente a fatti commessi nel 1998, è stata pronunciata nel 2009 e nel 2016 l’interessato ha ottenuto la riabilitazione.

Il -OMISSIS-, sulla base della condotta tenuta nell’episodio del 7 marzo 1999 – consistita nell’avere egli ucciso un cinghiale con il fucile di sua proprietà -OMISSIS- – è stato indagato per i reati di bracconaggio, peculato, falso e truffa (il procedimento penale si è estinto per prescrizione): a causa di tale episodio, con decreto questorile del 12 giugno 1999 la licenza di porto di fucile gli era stata sospesa.

Le condotte del richiedente, dunque, – osserva la difesa erariale in replica alla censura dell’appellante sulla “probatio diabolica” circa la sua buona condotta –, proprio per la specificità dei reati ascrittigli, sono indicative di una certa sua tendenza a comportamenti antigiuridici.

Le argomentazioni dell’appello – conclude l’Amministrazione –, nella parte in cui sono dirette a far rilevare le prescrizioni ed estinzioni dei reati, sarebbero formalistiche e trascurerebbero che le ridette modalità di conclusione dei procedimenti penali non fanno venire meno il disvalore dei fatti storici, in quanto episodi realmente accaduti e di rilevante gravità.

Così riassunte le posizioni delle parti, ritiene il Collegio che l’appello sia fondato e da accogliere, nei termini di seguito riportati.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Sezione, “il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto, potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività: il giudizio che compie l’autorità di pubblica sicurezza è conseguentemente connotato da ampia discrezionalità, sindacabile solo a fronte di vizi che afferiscano all’abnormità, alla palese contraddittorietà, all’irragionevolezza, illogicità, arbitrarietà, al travisamento dei fatti” (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. III, 26 giugno 2019, n. 4403; 25 marzo 2019, n. 1972; 20 novembre 2018, n. 6558; 7 giugno 2018, n. 3435).

La Sezione ha, inoltre, evidenziato che “l’autorizzazione alla detenzione e al porto d’armi postulano che il beneficiario osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell’ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza; la valutazione che compie l’Autorità di Pubblica Sicurezza in materia è caratterizzata, quindi, da ampia discrezionalità e persegue lo scopo di prevenire, per quanto possibile, l’abuso di armi da parte di soggetti noti pienamente affidabili; il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma a situazioni genericamente non ascrivibili a “buona condotta”” (così C.d.S., Sez. III, 6 dicembre 2019, n. 8360; 10 agosto 2016, n. 3590).

Tuttavia, la Sezione ha altresì precisato che nella materia in esame il giudizio prognostico deve essere effettuato sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie, al fine di verificare il potenziale pericolo rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute, e deve estrinsecarsi in una congrua motivazione, che consenta in sede giurisdizionale di verificare la sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (C.d.S., Sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039 e 31 marzo 2014, n. 1521; v., nello stesso senso, Sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576).

Tanto premesso, risultano meritevoli di condivisione le doglianze dell’appellante poc’anzi elencate ai punti a), c) e d).

Nel caso di specie, infatti, con il diniego impugnato la P.A. non risulta avere fatto un uso congruo e coerente del potere ampiamente discrezionale attribuitole dalla legge: in particolare, il provvedimento non ha tenuto conto della circostanza che la revoca prefettizia del divieto di detenzione delle armi si è basata sulla mancanza di fatti ulteriori – successivi ai fatti per cui il richiedente è stato indagato in plurimi procedimenti penali, tutti però assai risalenti (il più recente è del 2003) – tali da far desumere a suo carico un rischio di abuso delle armi.

Ora, la mancanza di tali fatti ulteriori, unitamente al carattere risalente delle condotte illecite ed alla riabilitazione ottenuta, sono elementi di cui il Questore avrebbe dovuto tenere adeguatamente conto, motivando specificamente sul perché tali elementi non bastavano ai fini di un giudizio prognostico positivo sul richiedente, o sul perché essi erano recessivi rispetto ai fattori negativi valorizzati dalla P.A.: ma di tale motivazione specifica non vi è traccia nel diniego gravato.

In altre parole, il problema non è la contraddizione tra le valutazioni del Questore e quelle svolte dal Prefetto: esso è, piuttosto, insito nel fatto che la valutazione del Prefetto ha tenuto conto di elementi favorevoli al richiedente, di cui avrebbe dovuto tenere parimenti conto il Questore nella sua autonoma valutazione, mentre non lo ha fatto.

Ha errato, quindi, la sentenza di primo grado nel non rilevare il difetto di istruttoria e di motivazione da cui è viziato il diniego impugnato.

Ed invero, “la ratio alla base della normativa che disciplina le autorizzazioni di polizia, per come risulta dal combinato disposto degli art. 11 e 43, t.u.l.p.s., risiede nell’opportunità di evitare che le autorizzazioni al porto di armi vengano rilasciate a soggetti che, per i loro comportamenti pregressi, denotino scarsa affidabilità sul corretto loro uso, potendo in astratto costituire un pericolo per l’incolumità e per l’ordine pubblico; è tuttavia necessario che i precedenti comportamenti del richiedente siano sintomatici, idonei quindi ad evidenziare una personalità violenta, incline a risolvere situazioni di conflittualità anche con ricorso alle armi o, in ipotesi, in grado di attentare all’altrui patrimonio con uso di armi ed in sintesi che, nell’ottica di una prognosi ex ante, non diano garanzia di un corretto uso delle armi senza creare turbativa all’ordine sociale” (C.d.S., Sez. III, 22 ottobre 2013, n. 5129).

L’Amministrazione, insomma, nel vagliare l’istanza del privato, deve svolgere un’istruttoria congrua ed adeguata, di cui deve dar conto in motivazione, che le consenta una valutazione complessiva del soggetto e dunque tenendo conto anche del percorso di vita del richiedente successivo agli eventuali episodi ostativi, e ciò in particolare laddove tali episodi, come nel caso ora in esame, siano risalenti nel tempo.

Il diniego impugnato, invece, ha attribuito esclusivo rilievo a tali condotte risalenti, senza considerare gli ulteriori elementi (in particolare: gli elementi che erano stati valutati dal Prefetto ai fini della revoca del divieto di detenzione di armi e munizioni), che pure emergevano dagli atti e che avrebbero consentito all’Amministrazione una valutazione sull’affidabilità attuale del soggetto (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 4 luglio 2018, n. 4442).

Di qui, in conclusione, la fondatezza dell’appello, che deve, perciò, essere accolto per le ragioni ora esposte.

Ne deriva che, in riforma della sentenza di primo grado, il diniego impugnato deve essere annullato, ai fini del riesame della fattispecie da parte della Questura di Nuoro, in ossequio ai principi di diritto sopra enunciati, secondo il cd. effetto conformativo della decisione (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, 16 novembre 2018, n. 6470; Sez. IV, 14 giugno 2018, n. 3664 e 17 settembre 2013, n. 4623; Sez. III, 13 luglio 2011, n. 4231).

Sussistono, comunque giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello, la compensazione di quelle del giudizio di primo grado essendo stata disposta dal T.A.R. con la sentenza appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza, così definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla il provvedimento di diniego impugnato con il ricorso di primo grado.

Compensa le spese del presente giudizio di appello, tenendo ferma la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, disposta dalla sentenza appellata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ed all’art. 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti e della dignità dell’interessato, manda alla Segreteria di procedere ad oscurare le generalità nonché qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2020, tenutasi, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, mediante collegamento da remoto in videoconferenza.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020.

Consiglio di Stato – Sentenza – copia conforme all’originale -.