REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACETO Aldo – Presidente
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
Dott. CORBO Antonio – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Introini Alfredo, nato a il 23/07/1964;
avverso l’ordinanza del 16/07/2019 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Stefano Corbetta;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Assunta Coccomello, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’impugnata ordinanza, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 4, con sentenza n. 54831 del 10 ottobre 2018, la Corte d’appello di Milano, accogliendo parzialmente l’istanza ex art. 314 cod. proc. pen. avanzata nell’interesse di Alfredo Introini, liquidava al richiedente la somma di 3.100 euro a titolo di indennizzo per l’ingiusta detenzione patita nella misura di 31 giorni, pari alla differenza tra la custodia cautelare sofferta – dapprima in carcere (quattro mesi) e successivamente agii arresti domiciliari (un mese e un giorno) – per complessivi mesi cinque e giorni uno e la pena di mesi quattro di reclusione definitivamente inflitta per il delitto di turbativa degli incanti, con esclusione della contestata circostanza aggravante di cui all’art. 353, comma 2, cod. pen.
2. Avverso l’indicata ordinanza, il condannato, tramite il difensore di fiducia e procuratore speciale, propone ricorso per cassazione affidato a un motivo, con cui la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 314 e 315 cod. proc. pen.
Assume il ricorrente che la motivazione sarebbe contraddittoria e illogica con riferimento all’importo liquidato per l’ingiusta detenzione patita, in quanto, in primo luogo, la Corte di appello avrebbe erroneamente decurtato quattro mesi di reclusione, pari alla pena definitivamente inflitta per il delitto ex art. 353 cod. pen. (esclusa, pertanto, l’aggravante ex art. 353, comma 2, cod. pen.), senza considerare che per detto reato non è ammissibile l’applicazione della custodia in carcere.
In secondo luogo, l’importo considerato dalla Corte territoriale, pari a 120 al giorno, sarebbe ingiusto, a fronte dei danni patiti a causa della carcerazione, come la perdita del lavoro, le conseguenze sullo stato di salute e la crisi coniugale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per i motivi di seguito indicati.
2. Va rilevato che l’Introini ha patito la misura della custodia in carcere, poi sostituta con quella degli arresti domiciliari, in relazione al delitto aggravato di cui all’art. 353, comma 2, cod. pen., ed è stato definitivamente condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, condizionalmente sospesa, per il delitto di cui all’art. 353, comma 1, cod. pen.
Al momento del fatto, in relazione al quale l’Introini è stato definitivamente condannato, l’art. 353, comma 1, cod. pen. comminava la pena detentiva fino a due anni di reclusione.
3. Ciò posto, non ha pregio la motivazione della Corte territoriale, la quale, come peraltro anche il Procuratore generale – ha richiamato quanto affermato da Cass., Sez. 4, sentenza n.. 57368 dell’11/10/2018, Valdes, non massimata, che si è appellata al principio secondo cui, in tema di ingiusta detenzione, con riguardo alla previsione di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., non può dare diritto alla riparazione la circostanza che il richiedente abbia ottenuto, in sede di cognizione, la sospensione condizionale della pena in ordine al reato relativamente al quale era stato sottoposto a custodia cautelare – previa esclusione della circostanza aggravante contestata -, sempre che l’entità della condanna sia superiore alla durata della custodia cautelare subita, mentre, in caso contrario, il diritto alla riparazione sussiste limitatamente alla parte di custodia cautelare che soverchi la misura della condanna (così Sez. 3, n. 12394 del 14/12/2016 – dep. 15/03/2017, Caracciolo, Rv. 270352).
In quest’ultima decisione, infatti, si negò il presupposto per ottenere l’ingiusta detenzione in considerazione dell’irrilevanza della sospensione condizionale della pena riconosciuta in sede di merito con riguardo a un delitto (la procurata inosservanza di pena ex art. 390, comma 1, prima parte, cod. pen.) per il quale, in ogni caso, era ammissibile l’applicazione di una misura cautelare personale.
4. Nella vicenda che ci occupa, invece, il dato rilevante – la cui valutazione è stata omessa dalla Corte territoriale – non è rappresentato dalla circostanza che il ricorrente, al momento in cui fu disposta la misura custodiale, avrebbe potuto beneficiare dalla sospensione condizionale della pena, bensì che per il titolo di reato per il quale è intervenuta la condanna definitiva non era ammessa, all’epoca del fatto, la custodia cautelare in carcere.
In tal senso depone il chiaro dato letterale dell’art. 314, comma 2, cod. pen., che riconosce il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione anche “al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso (…) senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli articoli 273 e 280”; tale ultima disposizione, in particolare, stabilisce, al comma 2, che la custodia in carcere può essere disposta solo per i delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.
5. Nel caso che ci occupa, invece, il delitto ex art. 353, comma 1, cod. pen. prevedeva, all’epoca del fatto, la pena di due anni di reclusione, sicché, non sussistendo le condizioni di applicabilità previste dall’art. 280, comma 2, cod. proc. pen., non poteva essere disposta la custodia cautelare in carcere.
6. Va perciò affermato il seguente principio di diritto: va riconosciuto il diritto ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione al condannato per un delitto, diversamente qualificato rispetto a quello contestato con l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, in relazione al quale non poteva essere disposta la misura custodiale per difetto delle condizioni di applicabilità previste dall’art. 280, comma 2, cod. proc. pen.
7. Orbene, pur avendo riconosciuto il diritto dell’istante alla riparazione per l’ingiusta detenzione, avendo escluso una condotta dolosa o colposa del condannato, atteso che il giudice era oggettivamente nelle condizioni di negare la misura, la Corte territoriale ha però erroneamente limitato il periodo di ingiusta detenzione a soli 31 giorni, pari all’eccedenza rispetto alla pena inflitta in sede di merito, senza considerare che ab origine difettavano i presupposti applicativi della misura custodiale ex art. 280, comma 2, cod. proc. pen.
8. Fermo restando, pertanto, il riconosciuto diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, l’ordinanza impugnata deve perciò essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che si uniformerà al principio dinanzi enunciato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Milano per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2020.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2020.