Risarcimento chiesto per conto dell’esponente di spicco di un clan criminale: è estorsione mafiosa (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 7 settembre 2021, n. 33097).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Rel. Consigliere –

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

SUTERA MARCO, nato a Roma il 26 giugno 19xx;

avverso la sentenza emessa il 5 novembre 2020 dalla Corte d’appello di Roma;

Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

Udita nell’udienza del 30 aprile 2021 la relazione fatta dal Consigliere, Dott.ssa Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;

Udito il Sostituto Procuratore Generale in persona del Dott. Ettore Pedicini, che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso;

Udito l’avv. Pietro (OMISSIS), difensore del ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 5 novembre 2020 la Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa il primo aprile 2020 dal Giudice per le indagini preliminari della stessa città, ha ridotto la pena inflitta a SUTERA MARCO per il delitto di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni dei fratelli (OMISSIS) Fabio e Massimo e ha revocato la pena accessoria.

Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i seguenti motivi:

1) mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento alla denegata assoluzione dai reati di cui ai capi A) e B).

La Corte d’appello sarebbe giunta a conclusioni difformi dagli atti di indagine, dalla denuncia dei fratelli Valentino, dalle dichiarazioni rese dal loro dipendente (OMISSIS) Carlo e dalle intercettazioni telefoniche, eseguite sulle utenze facenti capo a Sutera Giovanni, Sutera Marco, Casamonica Guerino e i fratelli (OMISSIS).

La menzionata Corte non avrebbe valorizzato le dichiarazioni rese dall’imputato, che aveva affermato di essersi fatto latore delle richieste di Casamonica Guerino e di avere interrotto ogni rapporto con il predetto Casamonica e con i fratelli (OMISSIS), dopo avere avuto solo due incontri con (OMISSIS) Massimo.

La Corte territoriale non avrebbe considerato che i Casamonica erano stati danneggiati dalla costruzione, intrapresa dai fratelli (OMISSIS), e che la richiesta di denaro era stata avanzata a titolo di risarcimento dei danni, con conseguente difetto di dolo in capo all’imputato;

2) mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della desistenza volontaria, ove si ritenesse integrato il tentativo di estorsione, con conseguente eventuale punizione per i reati commessi, quali la violenza privata e/o la minaccia;

3) mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine all’aggravante del metodo mafioso, ritenuta sussistente sulla base della mera evocazione del nome di Casamonica Guerino, senza che peraltro fosse dimostrato il coinvolgimento di tale personaggio all’interno di quella organizzazione criminale e senza considerare che il ricorrente si sarebbe mosso da solo;

4) mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione con riguardo alla ritenuta insussistenza dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p., essendosi trascurato che l’imputato avrebbe avuto un ruolo marginale nella vicenda. Sarebbe stata inflitta una pena sproporzionata rispetto alla colpevolezza dell’imputato.

All’odierna udienza è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito;

all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1 Riguardo al primo motivo deve rilevarsi che la Corte territoriale, sulla base delle dichiarazioni degli stessi imputati e della denuncia delle persone offese, corroborate dalle sommarie informazioni rese dal dipendente delle predette e dal contenuto delle intercettazioni telefoniche, ha ritenuto accertato che Sutera Marco aveva incontrato (OMISSIS) Massimo, al quale aveva riferito che un appartenente alla famiglia Casamonica, proprietario di un immobile confinante con il cantiere in cui era in fase di realizzazione la nuova sede della concessionaria dei (OMISSIS), aveva interesse a parlare con lui, al fine di chiedergli un risarcimento per i danni arrecati alle sue proprietà dai lavori in corso.

Ad una seconda visita, Sutera Marco aveva dichiarato a (OMISSIS) Massimo che egli aveva fatto da mediatore con un membro della famiglia Casamonica e che il problema, sollevato da costui, poteva risolversi consegnando la somma di euro 10.000,00.

(OMISSIS) Massimo aveva reagito alle parole di Sutera Marco, manifestando l’intenzione di denunciare immediatamente l’accaduto, ma il predetto Sutera aveva lasciato intendere che, se la proposta fosse stata respinta, i Casamonica, che erano tanti, avrebbero rivolto le loro attenzioni sui beni patrimoniali degli imprenditori.

Alle minacce esplicite aveva poi provveduto Casamonica Guerino, che, presentandosi come amico di Sutera Marco, aveva preteso con tono intimidatorio di essere ricontattato immediatamente dai (OMISSIS), minacciando, in caso contrario, di portarsi personalmente presso la concessionaria e di causare gravi problemi.

La Corte territoriale, al pari del primo Giudice, ha dunque ritenuto provato che Sutera Marco, portatore di un interesse personale nella vicenda, chiaramente desumibile dalle conversazioni intercettate del 10 novembre 2018 e del 16 novembre successivo (il cui contenuto è riportato a pagina 4 della sentenza impugnata), aveva minacciato implicitamente (OMISSIS) Massimo per ottenere un ingiusto profitto, atteso che gli eventuali danni corrispondevano al più a vibrazioni o a immissioni di polvere, non quantificabili nella somma di euro 10.00,00, come comprovato dalla conversazione intercettata il 16 luglio 2018 tra Casamonica Guerino e il padre del ricorrente (v. f. 2 e 3 della pronuncia in disamina).

A fronte di siffatte argomentazioni deve rilevarsi che le doglianze del ricorrente non sono consentite, in quanto si sviluppano sul piano del fatto e sono tese a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai decidenti del merito, più che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati nell’art. 606 cod. proc. pen.: il che fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso a questo giudice di legittimità.

Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato da prospettazioni alternative che si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/4/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507).

1.2 Il secondo motivo difetta di specificità.

La Corte d’appello ha affermato che il ricorrente aveva posto in essere quanto necessario e sufficiente per ottenere l’ingiusto profitto della somma richiesta e che il medesimo aveva un interesse personale nella vicenda, desumibile dalle già ricordate conversazioni del 10 novembre 2018 e del 16 novembre successivo.

La menzionata Corte ha quindi escluso la desistenza, essendo il comportamento, tenuto dall’imputato, idoneo a originare quel meccanismo causale capace di produrre l’evento, non verificatosi per cause indipendenti dalla volontà del medesimo imputato.

Per giurisprudenza pacifica di questa Corte, nei reati di danno a forma libera, la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale, capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente per il cd. recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento (Sez. 2, n. 24551 dell’8/5/2015, • Rv. 264226).

Ne consegue che, in tanto può sussistere la desistenza, in quanto l’agente abbandoni l’azione criminosa prima che questa sia completamente realizzata.

Nel caso di specie, non vi è alcun dubbio che gli atti posti in essere, come descritti al § 1.1, erano idonei a produrre l’evento e, quindi, concretizzano un’ipotesi di tentativo punibile del reato di danno (estorsione), sicché è del tutto improprio invocare la desistenza ex art. 56, comma 3, c.p.

1.3 Anche il terzo motivo è privo di specificità.

La Corte d’appello ha ritenuto integrata l’aggravante di cui all’art. 416 bis. 1 c.p. sotto il profilo del metodo mafioso, avuto riguardo alle modalità della condotta e, in particolare, all’evocazione da parte dell’imputato del clan dei Casamonica, in un territorio connotato dal predominio di tale sodalizio.

In particolare e contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, secondo cui il Giudice del merito avrebbe ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 416-bis c.p. sulla base della mera evocazione del nome di Casamonica Guerino, non appartenente al sodalizio mafioso, la Corte d’appello ha rimarcato che Casamonica Guerino è notoriamente un personaggio di spicco della famiglia e che lo stesso imputato aveva fatto riferimento direttamente al clan, quando, vestendo i panni del consigliere amico, aveva tentato di dissuadere i (OMISSIS) dal resistere alle pretese dei Casamonica, dicendo “sono tanti”, con ciò rammentando che la caratura criminale dei Casamonica era notevole e che anche l’arresto di qualche esponente non avrebbe scoraggiato gli altri da azioni ritorsive.

La Corte d’appello ha poi evidenziato che l’atteggiamento di Casamonica Guerino e il linguaggio utilizzato attingevano al repertorio tradizionalmente ritenuto mafioso, avendo il predetto affermato, tra l’altro, che si augurava di non essere costretto a fare “lo zingaro” o che l’aspetto essenziale non erano i soldi ma la messa in discussione del predominio suo e dei suoi familiari nella zona; predominio che sarebbe stato messo in dubbio, se qualcuno si fosse rifiutato di sottostare alle sue pretese.

Del resto, come sottolineato dal Collegio del merito, le stesse persone offese avevano percepito tutto il pericolo della situazione ed erano state “indotte a temere di trovarsi a fronteggiare l’azione anche violenta di più soggetti, facenti parte di una più ampia consorteria”.

Trattasi di argomentazioni immuni da vizi, costituendo ius receptum (Sez. 5, n. 14867 del 26/1/2021, Rv. 281027) quello secondo cui ricorre la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso, di cui all’art. 416 bis.1 c.p., quando l’azione incriminata, posta in essere evocando la contiguità ad un’associazione mafiosa, sia funzionale a creare nella vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che di un criminale comune.

1.4 Anche il quarto motivo difetta di specificità.

La Corte d’appello ha ritenuto che il ricorrente, come già detto, aveva posto in essere quanto necessario e sufficiente per ottenere l’ingiusto profitto della somma richiesta, così dando un contributo essenziale alla commissione del reato, non integrante l’attenuante della minima partecipazione.

In tal modo il Collegio del merito si è conformato all’orientamento di questa Corte (Sez. 4, n. 49364 del 19/7/2018, Rv. 274037), secondo cui, in tema di concorso di persone nel reato, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso.

Deve poi rilevarsi che la Corte territoriale – nel ridurre la pena in ragione dell’incensuratezza dell’imputato e della complessiva gravità della condotta, “che non aveva raggiunto i massimi livelli di violenza e di intimidazione” – ha dato conto degli elementi valorizzati al fine dell’esercizio del suo potere discrezionale, con conseguente incensurabilità delle statuizioni assunte.

2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo evidente che il medesimo ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – al versamento della sanzione pecuniaria, indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 1° giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.