Sanzione al lavoratore che s’appropria del tablet aziendale anche se poi lo restituisce (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 15 luglio 2020, n. 15100).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12137-2017 proposto da:

PADELLARO FILIPPO, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli Avvocati SANDRO M. GUARNACCIA e GIUSEPPE GIOVANNI PARDO;

– ricorrente –

contro

SAVINI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARGA 23, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA FORTINO, rappresentata e difesa dall’avvocato GAETANO VIZZARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1088/2016 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 04/11/2016 r.g.n. 595/2015;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

La CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore,

RILEVA che:

con ricorso del 28 luglio 2015 la S.r.l. SAVINI appellava la sentenza pronunciata il 28 maggio 2015, con la quale il giudice del lavoro di Reggio Calabria aveva annullato la sanzione disciplinare di un giorno di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione inflitta al dipendente PADELLARO Filippo, rigettando peraltro la domanda di quest’ultimo volta ad ottenere la restituzione della corrispondente retribuzione in difetto di prova dell’intervenuta esecuzione della ritenuta;

la Corte d’Appello di Reggio Calabria con sentenza n. 1088 in data 28 ottobre – sette novembre 2016, in accoglimento dell’interposto gravame, rigettava la domanda del lavoratore per quanto accolta in prime cure, condannando lo stesso appellato al rimborso delle spese relative ad entrambi i gradi del giudizio;

il sig. PADELLARO, quindi, ha impugnato la sentenza d’appello come ricorso per cassazione in data 4 maggio 2017, affidato a due motivi, cui ha resistito la società SAVINI mediante controricorso del 31 maggio 2017;

il pubblico ministero in sede con sua requisitoria scritta del 15 maggio 2019 ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, instando in via subordinata per il rigetto dello stesso;

le parti, sebbene ritualmente avvisate, non hanno depositato memorie.

CONSIDERATO

che con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5 dello stesso codice per omessa motivazione ed erronea valutazione delle acquisite emergenze probatorie attinenti alle circostanze temporali poste alla base del fatto contestatogli, oggetto del giudizio, con travisamento dei fatti;

con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 1153 e 1520 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., assumendosi l’errore commesso dalla Corte d’Appello nella qualificazione giuridica della controversia;

ciò premesso, il ricorso, come pur correttamente rilevato dall’Ufficio requirente, è inammissibile sotto vari profili, laddove i fatti di causa risultano abbondantemente valutati, esaminati, apprezzati e decisi in base ad adeguate argomentazioni dalla Corte di merito con la sentenza qui impugnata circa l’indebito impossessamento di un tablet da parte del Padellaro, il quale in un secondo momento ne ammetteva la detenzione, restituendolo, visto che la deposizione del teste escusso confermava la versione dell’accaduto (risalente ad una bolla di consegna sottoscritta dal lavoratore, da un successivo documento di trasporto dell’otto novembre 2013 predisposto dallo stesso dipendente ed all’ammanco riscontrato nel marzo 2014) fornita da parte datoriale, per cui con apposito ragionamento la medesima Corte escludeva anche la buona fede del lavoratore circa la possibilità di poter legittimamente possedere il tablet, trattenuto abusivamente in danno dell’azienda SAVINI.

La Corte territoriale ha, inoltre, evidenziato una ulteriore conferma dell’anzidetta versione, avuto riguardo alle allegazioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, allorché l’attore aveva dedotto di aver «contattato nei primi mesi del 2014 il titolare della VNE S.r.l. Verona Lorenzo per comunicargli l’intenzione di restituirgli la merce», sostenendo in proposito che il Verona (teste poi escusso nel corso del giudizio di primo grado) avrebbe autorizzato a trattenere per sé il suddetto dispositivo;

per contro, il primo motivo di ricorso tende inammissibilmente a confutare gli accertamenti fattuali e le corrispondenti valutazioni compiuti dalla Corte di merito, con più che sufficiente motivazione, indubbiamente non inferiore al c.d. minimo costituzionale occorrente ex artt. 111 Cost., 132 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. del codice di rito (motivazione peraltro valutabile in sede di legittimità soltanto ove ritualmente censurata univocamente in termini di nullità ex art. 360 n. 4 c.p.c.), visto che l’attuale formulazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nella specie ratione temporis applicabile, non fa più riferimento alla motivazione, ma soltanto all’annesso esame di un fatto storico e decisivo, ciò che assolutamente è da escludersi per il caso di specie qui in discussione;

parimenti inconferenti appaiono le questioni prospettate con il secondo motivo di ricorso, peraltro del tutto nuove rispetto ai temi dibattuti nel corso del giudizio di merito in appello, tenuto conto ad ogni modo che, aldilà delle qualificazioni giuridiche in termini di possesso e/o di proprietà, rileva per contro la condotta, essenzialmente dolosa, in effetti accertata dalla Corte di merito nei confronti del PADELLARO, per aver costui illecitamente trattenuto un bene, per il quale egli non poteva vantare alcun diritto o titolo di legittimo possesso o detenzione, come dimostrato peraltro dalle successive reiterate insistenze (marzo – giugno 2014) dello stesso Padellaro nei riguardi del suddetto VERONA affinché (a posteriori) legittimasse in qualche modo il trattenimento, già intervenuto, unilateralmente, ad opera sua, del tablet;

pertanto, il soccombente va condannato anche al rimborso delle ulteriori spese, del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, relative a questo giudizio di legittimità, sussistendo altresì, visto l’esito negativo della proposta impugnazione, i presupposti processuali di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della controricorrente in euro 3000,00 per compensi professionali ed in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 luglio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.