Sebbene recidivo, va a spasso con un coltello in tasca: il luogo affollato rende grave la condotta (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 31 marzo 2021, n. 12393).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Rel. Consigliere –

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere –

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) WARNER nato a (OMISSIS) il 25/06/19xx;

avverso la sentenza del 03/10/2019 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Palma TALERICO;

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Delia Cardia, ha concluso, per iscritto, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;

il ricorso è stato trattato con il contradditorio scritto da remoto, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137/20.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 3 ottobre 2019, la Corte di appello di Milano confermava la pronuncia del Tribunale in sede datata 18.9.2018, con la quale (OMISSIS) Warner era stato ritenuto responsabile della contravvenzione di cui all’art. 4 della legge n. 110 del 1975 (per avere portato, senza giustificato motivo, fuori dalla propria abitazione un cutter marca Stanley, aventi due lame, una di cm. 2 e, l’altra, di cm. 7) e, conseguentemente era stato condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed €. 600,00 di ammenda.

2. Avverso detta sentenza l’imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, avvocato Arianna (OMISSIS), ha proposto ricorso per cassazione, formulando tre distinti motivi di impugnazione.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge e difetto di motivazione circa l’omessa applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen., evidenziando che l’imputato non era stato dichiarato delinquente abituale e che allo stesso non era stata contestata alcuna recidiva e contestando che il generico richiamo ai precedenti penali potesse essere ritenuto indicativo di comportamento abituale, ostativo all’applicazione dell’istituto in parola; ha, altresì, osservato che l’oggetto portato dall’imputato nella tasca dei propri pantaloni (con due lame di modeste dimensioni, una di cm. 7 e l’altra di cm. 2) era dotato di “minima capacità offensiva” e che, peraltro, non era stato accertato se detto strumento fosse dotato di un meccanismo di blocco delle lame, ovvero di un meccanismo di scatto, o, ancora, se dette lame fossero affilate o meno.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al disposto di cui al comma 3 dell’art. 4 della legge n. 110 del 1975, atteso che le circostanze messe in evidenza dalla difesa avrebbero ben potuto, quanto meno, giustificare il riconoscimento dell’attenuante in parola.

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, applicabili in considerazione delle modalità dell’azione non particolarmente insidiose, della scarsa intensità del dolo, dell’insussistenza di un danno, dell’assenza di precedenti della stessa indole e della condotta collaborativa dell’imputato.

3. Si è proceduto a trattazione (da remoto) con contraddittorio scritto, ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, in assenza di richieste di trattazione orale; il Procuratore generale di questa Corte, Dott.ssa Delia Cardia, ha concluso, per iscritto, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito illustrate.

Quanto al primo motivo di ricorso, giova ricordare che in ordine all’istituto di cui all’art.131 bis cod. pen., per come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha a oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133 cod. pen., richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto (Sez. Un. n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590).

Ciò posto, deve, altresì, ricordarsi come, in relazione ai requisiti della motivazione in genere, si sia specificato che la sentenza costituisce un tutto coerente e organico, con la conseguenza che, ai fini del controllo critico della sussistenza di un valido percorso giustificativo, ogni punto non può essere autonomamente considerato, dovendo essere posto in relazione agli altri, con la conseguenza che la ragione di una determinata statuizione può anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato fatto richiamo sia pure implicito (cfr. Cass. Sez. 4, n. 4491 del 17/10/2012, Rv. 255096).

Ebbene, nel caso di specie emerge chiaramente dalla complessiva analisi della sentenza impugnata che, il giudice di merito, nel valutare la condotta contestata all’imputato, ha escluso la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’invocata causa di non punibilità, apprezzando la tipologia del coltello in possesso del predetto, dotato di due lame di cui una (quella della lunghezza di cm. 7) azionabile con un pulsante, il contesto in cui i fatti si erano verificati (la stazione Centrale di Milano, affollata da viaggiatori e persone di passaggio) e l’uso in passato di oggetto analogo in occasione della consumazione di delitti contro il patrimonio, oltre che la circostanza che il ricorrente era stato per due volte condannato per il medesimo reato di cui all’art. 4 della legge n. 110 del 1975.

Come ha messo in evidenza il Procuratore generale nelle conclusioni scritte, l’applicazione della causa di non punibilità in parola non soltanto è impedita dalla dichiarazione di delinquenza abituale, ma anche dalla commissione di condotte che siano espressive di un comportamento trasgressivo non episodico tale da escludere il lieve disvalore del fatto, al quale ha fatto riferimento l’impugnata sentenza; mentre non appare pertinente il riferimento difensivo all’omessa contestazione della recidiva attesa la natura contravvenzionale del reato contestato.

2. Destituito di fondamento è anche il secondo motivo di ricorso.

E’ pur vero che la negazione della particolare tenuità del fatto, ai fini dell’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., non impedisce la qualificazione di lieve entità del medesimo fatto, ai fini del riconoscimento dell’attenuante prevista dal comma 3 dell’art. 4 della legge n. 110 del 1975.

Tuttavia non censurabile è l’argomentare sviluppato nell’impugnata sentenza per disconoscere l’invocata attenuante, alla stregua delle caratteristiche del coltello e delle circostanze di luogo in cui il possesso dello stesso è stato accertato.

3. Quanto al terzo motivo di ricorso, va osservato che, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, “ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche basta che il giudice del merito prenda in esame quello tra gli elementi indicati nell’articolo 133 cod. peri., che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti stesse” (Cass. Sez. erz. 2, 18 gennaio 2011, n. 3609, RV 249163; conformi: Cass. Sez, 2, 16 gennaio 1996, n. 4790, RV 204768; Cass. Sez. 2, 27 febbraio 1997, n. 2889, RV 207560).

Nel caso di specie, la Corte di appello di Milano ha escluso, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, la concedibilità all’imputato delle invocate circostanze attenuanti generiche richiamando, in assenza di elementi positivi, il “negativo quadro di cui sopra” e, cioè, i numerosi precedenti penali dei quali il prevenuto risultava gravato e le concrete modalità di esecuzione dell’accertato reato.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, l’8/01/2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.