Sottufficiale dell’Esercito, in qualità di sottufficiale ai viveri presso la mensa unica del proprio reparto, disponendo del possesso di denaro e di generi alimentari dell’amministrazione militare, se ne impossessava (Consiglio di Stato, Sezione II, Sentenza 13 giugno 2019, n. 3990).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere, Estensore

Giovanni Sabbato, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2609 del 2010, proposto dal -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicola Calvani e Ciro Testini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia,

contro

il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Terza) n. 3040/2009, resa tra le parti, concernente sanzione della perdita del grado.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2019 il Cons. Giancarlo Luttazi e uditi per le parti l’avv. Paola Conticiani su delega dell’avvocato Ciro Testini e l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo;

Svolgimento del processo

Con atto d’appello notificato al Ministero della difesa presso l’Avvocatura generale dello Stato in data 11 marzo 2010 e depositato il 29 marzo 2010 il -OMISSIS-ha impugnato la sentenza resa dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sede di Bari, n. 3040 del 2009, depositata il giorno 11 dicembre 2009.

La sentenza ha respinto con condanna alle spese il ricorso, recante anche questione di legittimità costituzionale, proposto dal -OMISSIS-avverso il decreto prot. n. (…) in data 5 novembre 2008 notificato in data 6 novembre 2008, con cui il Ministero della difesa – Direzione generale per il personale militare ha inflitto al ricorrente la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari e la conseguente cessazione del servizio permanente ai sensi degli artt. 26, lett. g), 60, n. 6, e 61 della L. 31 luglio 1954, n. 599; sanzione irrogata con la seguente motivazione: “sottufficiale dell’Esercito, in qualità di sottufficiale ai viveri presso la mensa unica del proprio reparto, avendo in ragione del suo ufficio il possesso di denaro e di generi alimentari dell’amministrazione militare, se ne impossessava per un ammontare pari ad Euro 33.938,62.

Quanto precede veniva conseguito sia attraverso lo scarico contabile dei, generi alimentari non riportati nel menù, sia caricando contabilmente generi alimentari in quantità eccessiva rispetto alle spettanze, sia anche impiegando per la confezione dei pasti derrate alimentari in misura inferiore a quella prevista per la forza da vettovagliare, sia, in ultimo, approvvigionandosi di derrate in quantità inferiori rispetto a quelle contabilizzate.

Tale comportamento, peraltro sanzionato in sede penale, è censurabile anche sotto l’aspetto disciplinare perché così fortemente contrario ai doveri attinenti al giuramento prestato, al grado rivestito, al senso di responsabilità ed alle norme e disposizioni che regolano il particolare servizio cui era preposto, da rendere inopportuna la permanenza in servizio del sottufficiale”.

L’appello contesta alla sentenza di primo grado:

“Erronea valutazione della violazione dell’art. 3 della legge D. 241/1990 e dell’art. 97 Cost.

– Erronea valutazione della violazione dell’art. 114 T.U. n. 3/1957

– Erronea valutazione dell’eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento dei fatti. Difetto di istruttoria e di motivazione

– Erronea valutazione dei principi di proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione applicata. Ingiustizia manifesta.

Arbitrarietà manifesta- Erronea valutazione della violazione dei principi di adeguatezza.

Proporzionalità e gradualità della sanzione disciplinare – Erronea valutazione della carenza ed erroneità di motivazione in relazione alla irrogazione della sanzione più grave comportante la cessazione dal servizio – Vizio di motivazione della sentenza – Omessa e insufficiente motivazione circa punti decisivi della controversia.”.

In esito ad avviso di perenzione consegnato il 16 aprile 2015 l’appellante, in data 13 maggio 2015, ha depositato istanza di fissazione di udienza.

Il Ministero ha depositato atto di formale costituzione il 5 ottobre 2015.

Con memoria depositata il 6 aprile 2019 l’appellante ha ribadito i propri assunti.

Motivi della decisione

L’appello è infondato.

1.- L’appellante è consapevole dei noti principi, precisati dalla giurisprudenza e richiamati dalla sentenza appellata, secondo i quali l’entità della sanzione disciplinare esprime una valutazione discrezionale rimessa all’Amministrazione di appartenenza dell’incolpato e insindacabile dal giudice amministrativo, tranne nei casi in cui appaia manifestamente anomala o sproporzionata; ed è parimenti consapevole che in proposito al giudice è consentita la sola verifica di un’adeguata motivazione; ma sostiene che nel suo caso questi principi, pur richiamati dal primo giudice, non hanno trovato applicazione.

Nel particolare l’appello sostiene in primo luogo che, diversamente da quanto ritenuto dal Tar, l’assunto – espresso nell’atto di deferimento disciplinare del Comandante delle Forze operative terrestri – che “le giustificazioni presentate dal -OMISSIS-appaiono del tutto infondate e mostrano semmai la mancanza di un minimo segno di ravvedimento per il grave comportamento tenuto” non ha concretato – a fronte dell’ampio e circostanziato compendio difensivo predisposto dall’appellante – vera motivazione ai sensi dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241.

Il Tar altresì, con riferimento a questo profilo della rilevata mancanza di segni di ravvedimento, non avrebbe esaminato la relativa censura di eccesso di potere.

La censura è infondata, poiché il Tar ha ampiamente esposto – richiamando anche la motivazione della ordinanza di questo Consiglio di Stato resa sull’appello cautelare del primo grado – il proprio rigetto della censura di carenza motivazionale dell’atto sanzionatorio.

In quest’ultimo provvedimento, peraltro, è assente il rilievo – contenuto soltanto nel pregresso atto di deferimento disciplinare – della mancanza di segni di ravvedimento; sicché sotto questo profilo non può addebitarsi al Tar una mancata pronuncia.

2.- L’appello altresì – nel ribadire l’assunto del primo grado secondo il quale l’Amministrazione militare non avrebbe svolto un’autonoma valutazione disciplinare dei fatti ma si sarebbe appiattita sull’esito delle pronunce penali – contesta la gravata sentenza laddove essa ha affermato che l’Amministrazione non ha recepito acriticamente la condanna penale inflitta al signor -OMISSIS-senza procedere ad una autonoma valutazione dei fatti e della complessiva personalità dell’incolpato desumibile dallo stato di servizio.

Al contrario, ad avviso dell’appellante, la sanzione disciplinare sarebbe stata inflitta sul solo presupposto delle intervenute sentenze di condanna, trascurando così le differenze che intercorrono fra il sistema penale e quello disciplinare, che diversamente dal sistema penale è diretto anche a correggere il comportamento del dipendente.

L’assunto è infondato, poiché sia l’atto impugnato sia la sentenza appellata non si sono limitati a dar peso, per valutare l’entità della sanzione disciplinare, alla definitiva condanna in quanto tale, ma hanno invece valutato, dandone atto in motivazione, la gravità della condotta oggetto di sanzione.

Sicché anche la gravata sentenza risulta conforme ai principi, individuati dalla giurisprudenza ed esposti nello stesso appello, secondo i quali un isolato comportamento illecito può giustificare la misura disciplinare estintiva del rapporto di lavoro quando si possa ragionevolmente riconoscere che i fatti commessi siano tanto gravi da manifestare l’assenza di doti morali, necessarie per la prosecuzione del rapporto di servizio.

Né può affermarsi, come pure afferma l’istante, che la sanzione espulsiva appaia ictu ocuIi di sproporzionata severità rispetto ai fatti accertati: la valutazione di disvalore espressa nell’atto impugnato appare invece, come pure affermato nella sentenza appellata, priva di vizi logico-valutativi.

3.- La sentenza appellata avrebbe anche errato per aver escluso la sussistenza del difetto motivazionale con riferimento alla circostanza che nel provvedimento sanzionatorio impugnato si parla di comportamento autonomamente censurabile anche sotto l’aspetto disciplinare e dunque tale “da rendere inopportuna la permanenza in servizio del sottufficiale”: la affermata “inopportunità”, in luogo della “incompatibilità” (espressamente prevista dall’art. 67 della citata L. n. 599 del 1954) della permanenza in servizio, avrebbe reso imprescindibili compiute spiegazioni sulle ragioni poste a fondamento della sanzione espulsiva, sicché la pronuncia del Tar sarebbe viziata per aver escluso in proposito la sussistenza del difetto motivazionale.

L’assunto è infondato.

Anche a voler prescindere dalla accezione non puntuale ma soltanto generica (perché riferita a tutte le ipotesi di sottoposizione a Commissione di disciplina) con cui l’aggettivo “incompatibile” è usato nel citato art. 67 della L. n. 599 del 1954 (art. 67 citato: “È sottoposto a Commissione di disciplina il sottufficiale che, in seguito alle risultanze dell’inchiesta formale, sia ritenuto responsabile di atti incompatibili con lo stato di sottufficiale”), gli adeguati riferimenti alla gravità dell’illecito fatti dall’atto impugnato e gli ampi riferimenti alla adeguatezza motivazionale del provvedimento fatti dalla sentenza appellata escludono per quest’ultima il vizio denunciato.

4. – Parimenti esenti da rilievi sono le considerazioni della sentenza appellata relative alle censure di primo grado sull’iter procedurale della Commissione di disciplina.

Diversamente da quanto asserito dall’appellante il Tar ha correttamente evidenziato e valutato che la Commissione ha applicato il procedimento indicato nell’art. 74 della L. n. 599 del 1954, e che in quella sede sono stati esaminati e vagliati, come da verbale, gli atti del procedimento e le difese del ricorrente.

Il Tar ha altresì correttamente evidenziato – con riferimento alla segretezza del votazione ma con considerazioni valide anche per tutta la procedura, conformemente alla normativa di riferimento e ai noti indirizzi giurisprudenziali – il diverso regime normativo della Commissione rispetto ai Collegi disciplinari degli impiegati civili, che invece il ricorrente ha invocato a raffronto.

E la invocata necessità di motivazione della determinazione finale, con ponderazione degli interessi pubblici e privati compresenti e in base alle risultanze dell’istruttoria, risulta adeguatamente soddisfatta, così come esposto in primo grado.

5. – Correttamente altresì la sentenza appellata ha escluso che le prospettate difficoltà organizzative (in cui vanno ricompresi i “numerosi elementi di difficoltà nell’assolvimento del compito di sottufficiale addetto al vettovagliamento” prospettati dal ricorrente ai superiori) potessero giustificare la commissione di fatti concretanti i gravi illeciti disciplinari con connotazione dolosa, appurati anche dai tre gradi del giudizio penale.

6.- L’appellante afferma poi che non avendo il Tar esaminato gli ulteriori motivi di ricorso essi sono qui riproposti; e dedica a questa riproposizione le pagine da 19 a 34 dell’atto d’appello.

Questi riproposti motivi, però, riproducono – anche se più diffusamente – censure e prospettazioni già offerte ed esaminate dal Tar e già proposte in questa sede d’appello, poiché riguardano:

– l’asserito difetto dell’apporto motivazionale e la violazione del principio di proporzionalità amministrativa nel campo disciplinare, anche con riferimento ai principi costituzionali (tematiche comunque affrontate dal Tar: v. supra i capi 1 e 2, anche se gli specifici profili di costituzionalità sono stati esaminati in sede di esame della questione di costituzionalità degli articoli 26, lett. g), 60, n. 6, e 61 della L. n. 599 del 1954; v. infra il capo 7);

– l’asserito acritico recepimento, per gli addebiti disciplinari, della condanna penale, senza autonoma valutazione dei fatti, della complessiva personalità dell’appellante e del suo stato di servizio (v. supra il capo 2);

– i rilievi sulla segretezza della votazione in seno alla Commissione di disciplina (v. supra il capo 4);

– nuovamente, l’asserita mancata considerazione, valutazione e motivazione quanto ai profili soggettivi ed oggettivi della vicenda, e alla complessiva personalità dell’appellante e del suo stato di servizio (v. il precedente secondo alinea);

– l’asserita mancata considerazione e motivazione quanto alle giustificazioni addotte dall’incolpato (v. supra il capo 4);

– nuovamente, la violazione del principio di proporzionalità e gradualità della sanzione disciplinare (v. il precedente primo alinea).

7.- L’appello ripropone da ultimo la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni alla base dell’impugnata sanzione disciplinare: gli artt. 26, lett. g), 60, n. 6, e 61 della L. n. 599 del 1954, che secondo il ricorrente contrasterebbero con gli artt. 2, 3, 25, secondo comma, 52 e 97 della Costituzione.

Correttamente il giudice di primo grado ha già ritenuto la questione manifestamente infondata.

L’appello sostiene che in proposito il rigetto del Tar è stato acritico e comunque non chiaro, e apodittico.

Il rilievo è infondato.

La pronuncia del Tar (“Il Collegio ritiene la questione manifestamente infondata, trattandosi di ordinamento militare all’interno del quale per pacifica giurisprudenza è ritenuto coessenziale un significativo margine discrezionale nelle scelte organizzative, ivi incluse quelle direttamente afferenti alla gestione del personale, in quanto strumentali alla funzionalità richiesta agli apparati militari, come del resto favorevolmente scrutinate in precedenti sentenze della Corte Costituzionale”) risulta, nella sua sinteticità, adeguata alla manifesta infondatezza della questione sollevata, anche perché oggetto della conforme sentenza costituzionale 13-26 luglio 1995, n. 356, di cui sia il ricorso introduttivo sia l’appello affermano consapevolezza.

In proposito l’appellante afferma la risalenza della pronuncia della Corte, ed il monito della pronuncia al legislatore per “una più stringente definizione legislativa che adegui la garanzia per le sanzioni di stato al livello di definizione degli illeciti ora delineato dalle norme di principio sulla disciplina militare (L. n. 382 del 1978) e dal regolamento di disciplina militare (D.P.R. n. 545 del 1986)”.

Ma in materia appare comunque adeguato il rilievo del Tar circa il significativo margine discrezionale, nell’ordinamento militare, che deve ritenersi riconosciuto dalla Costituzione nelle scelte direttamente afferenti alla gestione del personale.

8.- L’appello va dunque respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza, e sono liquidate, considerata la costituzione soltanto formale dell’Amministrazione, in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al rimborso delle spese di giudizio in favore del Ministero della difesa, e le liquida in Euro 1.000,00 oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2019.