Un chilo di ‘erba’ a casa di un invalido: il quantitativo esclude l’uso terapeutico (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 7 maggio 2021, n. 17874).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe – Presidente –

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere –

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Rel. Consigliere –

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Mauro nato a (OMISSIS) il 24/11/19xx;

avverso la sentenza del 20/12/2019 della Corte Appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Pierluigi Di Stefano;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Mariella De Masellis, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, ha assolto l’imputato Mauro (OMISSIS) dal reato di cui al capo B) (coltivazione di 33 piante di cannabis all’interno dell’abitazione) perché il fatto non sussiste e, concesse le attenuanti generiche, ne ha confermato il giudizio di responsabilità in ordine al reato di detenzione di marijuana e hashish di cui al capo A), e lo ha condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 3000, 00 di multa.

(OMISSIS) ricorre a mezzo dei difensori:

primo motivo: vizio di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p.

Il ricorrente rileva come in ambedue i gradi di giudizio si sia operato un travisamento del fatto consistente nell’omissione della valutazione di quanto apportato dalla difesa (prove documentali e dichiarative) caratterizzate peraltro dalla decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale impugnato.

Le considerazioni svolte dalla Corte confliggono infatti con le dichiarazioni dell’imputato, il quale avrebbe ampiamente spiegato lo stato di invalidità in cui versa e che richiede l’uso di stupefacenti a scopo analgesico, nonché con le certificazioni mediche per l’assunzione di cannabis per uso terapeutico, e con quanto altro dedotto in ordine all’assenza di prove della destinazione allo spaccio della droga.

Secondo motivo: violazione di legge in relazione al diniego del riconoscimento della fattispecie di lieve entità ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, nonché omessa motivazione, con riferimento alla prevalenza del dato quali-quantitativo rispetto alle altre modalità dell’azione.

Terzo motivo: violazione di legge con riferimento al diniego della sospensione condizionale della pena e alla non menzione della condanna nel casellario giudiziale.

La difesa osserva come il certificato del casellario giudiziale del ricorrente riporti due condanne risalenti a più di venti anni fa, per le quali fu concessa sospensione condizionale, e le cui pene risultano estinte ex lege.

Si segnala, pertanto, che il divieto di concedere per più di due volte la sospensione condizionale della pena, anche a prescindere dalla valutazione delle circostanze indicate nell’art. 133 cod. pen. e richiamate dal primo comma dell’art.164 cod. pen., comporta un contrasto dell’ultimo comma dell’art. 164 cod. pen. con il principio di rieducazione della pena, nonché con il diritto dell’imputato ad essere giudicato sulla base di un giudizio prognostico che non sia vincolato a ciò che è ritenuto estinto da parte dello stesso ordinamento giuridico.

Si rileva come non sia una questione di numero di condanne riportate né di limite astratto alle possibilità di concessione della sospensione condizionale della pena, ma di giudizio prognostico circa la probabilità che l’imputato commetta ulteriori reati.

Il procuratore generale con requisitoria scritta ha chiesto il rigetto del ricorso.

Il primo motivo è infondato.

La difesa ripropone una valutazione degli elementi a sostegno dell’uso personale (terapeutico) su cui vi sono ampie e logiche argomentazioni dei giudici di merito.

Questi, difatti, correttamente hanno valorizzato la circostanza della quantità particolarmente rilevante dello stupefacente in una condizione personale di limitata capacità economica per l’acquisto in tale quantità, la presenza di indici della attività di confezionamento in singole dosi per la rivendita nonché la assenza di elementi probanti di una così consistente destinazione a uso terapeutico.

Il secondo motivo è infondato.

La ipotesi di cui al comma 5 della disposizione citata è di per sé esclusa da una quantità di stupefacente – grammi 979.65 di marijuana e grammi 168.09 di hashish – che dimostra una capacità di vendita di numerosissime dosi di droga nel breve periodo e, quindi, una dimensione della attività di spaccio certamente non di minima entità. Quindi, l’inquadramento da parte dei giudici di merito è certamente corretto.

Il terzo motivo è manifestamente infondato in quanto chiede un’impossibile terza applicazione di benefici, testualmente esclusa dalle disposizioni citate dalla stessa difesa.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 27 gennaio 2021.

Depositata in Cancelleria il 7 maggio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.