Organizzano una rapina ai danni di un gestore di un locale notturno ignorando di essere monitorati dalla Polizia di Stato (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 12 febbraio 2020, n. 5486).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Rel. Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti rispettivamente nell’interesse di

(OMISSIS) Giuseppe, n. a Giffone (RC) il xx/xx/xxxx rappresentato ed assistito dall’avv. Giuseppe Caprioli, di fiducia,

e di

(OMISSIS) Andrea, n. a Siena il xx/xx/xxxx, rappresentato ed assistito dall’avv. Enrico Bucci, di fiducia;

avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, quarta sezione penale, n. 2807/2015, in data 13/11/2018;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Dott. Andrea Pellegrino;

udita la requisitoria del Sostituto procuratore generale Dott.ssa Perla Lori che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;

sentita la discussione dell’avv. Alessandro Bellina, comparso in sostituzione degli avvocati Giuseppe Caprioli ed Enrico Bucci, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 13/11/2018, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Torino in data 13/01/2015, riduceva la pena inflitta a Giuseppe (OMISSIS) e ad Andrea (OMISSIS) nella misura di anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro 1.000 di multa ciascuno, in relazione al reato di tentata rapina aggravata in concorso.

E’ stato accertato dalle intercettazioni delle utenze telefoniche sulle utenze cellulari in uso a Nicola Antonio (OMISSIS) e a Fabrizio (OMISSIS) e ambientale all’interno all’autovettura in uso al primo, che i due uomini, unitamente ai ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS), intendevano sottrarre con violenza e minaccia a Giovanni (OMISSIS) i contanti costituenti l’incasso del locale notturno Millionaire sito in Torino, nonché l’orologio e l’autovettura;

che il piano criminale prevedeva di aggredire il (OMISSIS) nel cortile della sua abitazione in Torino, colpendolo con pugni e con il calcio di una pistola per evitare che opponesse resistenza;

che, a tal fine, furono effettuati più sopralluoghi e vi furono successivi incontri fra i partecipi all’impresa delittuosa; che fu dato incarico a (OMISSIS) di sorvegliare (OMISSIS) e di avvisare i complici della sua uscita dal locale notturno;

che, in effetti, il (OMISSIS), intorno alle ore 5 del 31/03/2007, avvisava i complici che il (OMISSIS) era uscito dal Millionaire e stava tornando a casa;

che, nel contempo, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si introducevano nel cortile ove abitava la vittima e ne aspettavano l’arrivo;

che l’autovettura del (OMISSIS) veniva tuttavia intercettata dagli agenti di polizia che, grazie alle intercettazioni, erano a conoscenza del piano criminoso: il (OMISSIS), in possesso della somma di 8.000 euro, insieme alla fidanzata, veniva condotto in Questura.

Secondo i giudici di merito gli atti compiuti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali risultanti dalle intercettazioni e dai servizi di osservazione, insuscettibili di altra interpretazione, non potevano che essere diretti ad altro scopo se non quello di commettere la rapina.

2. Avverso detta sentenza, nell’interesse di Giuseppe (OMISSIS) e di Andrea (OMISSIS), viene proposto ricorso per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3. Ricorso nell’interesse di Giuseppe (OMISSIS).

Lamenta il ricorrente:

– inosservanza dell’art. 56, comma 3, cod. pen. in relazione al mancato riconoscimento della desistenza volontaria nei confronti di tutti i concorrenti e mancanza di motivazione (primo motivo);

– inosservanza dell’art. 56, comma 3, cod. pen. in relazione al mancato riconoscimento della desistenza volontaria nei confronti del coimputato Giuseppe (OMISSIS) (secondo motivo);

– mancanza e/o contradditorietà della motivazione in ordine alla presenza del (OMISSIS) presso la casa della vittima nella notte tra il 30 ed il 31 marzo 2007 (terzo motivo).

3.1. In relazione al primo motivo, si evidenzia come ricorra nella fattispecie un’ipotesi di tentativo incompiuto, in quanto l’abbandono dell’intrapresa azione è avvenuto allorquando l’attività esecutiva non si era affatto esaurita e trovando tale scelta la sua ragion d’essere nel mancato rientro nell’abitazione ad opera del soggetto passivo: da qui l’inutilità di discettare in ordine al contrasto giurisprudenziale tra la compatibilità della desistenza volontaria con la figura del tentativo compiuto.

I giudici di merito non avevano considerato le risultanze probatorie e segnatamente il fatto che i correi non avessero affatto abbandonato l’idea di accedere all’abitazione del (OMISSIS), sia pure al fine di commettere il diverso reato di furto, avendo volontariamente abbandonato l’originario proposito predatorio.

3.2. Si censura la decisione impugnata che ha erroneamente ritenuto che la desistenza volontaria in ipotesi di reato plurisoggettivo presenterebbe una dimensione differente, necessitando di un quid pluris che si sostanzierebbe nell’annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva: principio affermato dalla giurisprudenza in vicende nelle quali l’illecito era stato portato a consumazione, sia pure solo da alcuni dei complici.

Invero, in presenza di iter criminoso non portato a termine dagli altri compartecipi, l’analisi dell’esimente dovrà effettuarsi non già verificandosi l’efficacia condizionalistica del contributo singolo in relazione ad un evento non compiutosi, ma domandandosi se i segmenti di condotta già posti in essere dal preteso desistente prima della dissociazione dall’intrapresa azione ne abbiano esaurito la partecipazione concorsuale e, quindi, a quest’ultimo non sia più consentito di svincolarsi da essa e fruire dell’esimente.

3.3. In relazione al terzo motivo si censura la sentenza impugnata che per escludere la desistenza nei confronti del (OMISSIS) ha valorizzato il dato della sua presenza nella notte tra il 30 ed il 31 marzo 2007 nei pressi dell’abitazione del (OMISSIS).

In realtà, nella conversazione richiamata dal primo giudice tra il (OMISSIS), il (OMISSIS) e lo (OMISSIS), il riferimento dagli stessi operato è al controllo di polizia del giorno precedente ed alla conseguente pericolosità della presenza in loco.

Inoltre, la sentenza aveva omesso di tener conto che gli esiti del servizio di osservazione e controllo posto in essere dagli operanti nelle prime ore del 31 marzo non aveva rivelato la presenza del (OMISSIS) né nei pressi del locale né nei pressi dell’abitazione del (OMISSIS).

Il (OMISSIS), inoltre, non aveva preso parte nè alle conversazioni telefoniche intervenute tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) né alle ambientali captate nell’abitacolo del veicolo con a bordo il (OMISSIS), appostato nei pressi della discoteca gestita dal (OMISSIS), oggetto di intercettazione nella notte tra il 30 ed il 31 marzo 2007.

4. Ricorso nell’interesse di Andrea (OMISSIS).

Lamenta il ricorrente:

– mancanza di motivazione in ordine all’affermazione della penale responsabilità sotto il profilo della commissione del fatto (primo motivo);

– violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 99, comma 4 cod. pen. (secondo motivo).

4.1. In relazione al primo motivo, si contesta la prova in ordine alla ritenuta presenza del (OMISSIS) sul luogo dei fatti, valorizzando esclusivamente la circostanza che costui avesse in uso l’utenza telefonica n. 34(OMISSIS) verso la quale il coimputato (OMISSIS), di vedetta nei pressi del locale gestito dal (OMISSIS), dirigeva le proprie comunicazioni ai complici appostati sul luogo della programmata azione criminosa.

In realtà non risulta affatto provato che il (OMISSIS) fosse stato l’effettivo interlocutore del (OMISSIS) (a fronte della mancanza di prova sul riconoscimento vocale dello stesso da parte della polizia giudiziaria) né che lo stesso avesse nella disponibilità materiale il telefono in argomento.

4.2. In relazione al secondo motivo, si censura il riconoscimento della recidiva reiterata ed infraquinquennale non essendosi tenuto conto della continuazione tra la sentenza del Tribunale di Firenze del 04/01/2002, irrevocabile il 02/01/2003 e quella del Pretore di Firenze del 17/10/1996, irrevocabile il 02/01/1997.

Si è quindi in presenza di recidiva reiterata ma non infraquinquennale, con conseguente aumento di pena che andava limitato ad un mezzo e non ai due terzi di pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono entrambi inammissibili.

2. Va evidenziato in premessa come le doglianze reiterino, più o meno pedissequamente, censure già dedotte in appello; le stesse, inoltre, in più di una parte, palesano elementi di genericità (spesso in difetto del compiuto riferimento alle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata e/o a risultanze probatorie in ipotesi non valutate o mal valutate) rivelando la loro manifesta infondatezza, in considerazione dei rilievi con i quali la Corte territoriale – con argomentazioni giuridicamente corrette, nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato le contestate statuizioni.

D’altro canto, questa Suprema Corte, con orientamento (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636) che il Collegio condivide e ribadisce, ha ritenuto che, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova possa essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato e sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (“Invero, sebbene in tema di giudizio di cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice”).

Nel caso di specie, al contrario, la Corte di appello ha riesaminato e valorizzato lo stesso compendio probatorio già sottoposto al vaglio del Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunta alla medesima conclusione in termini di sussistenza della responsabilità degli imputati che, in concreto, nella sostanziale reiterazione delle censure, finiscono per riproporre – in chiave innocentista – la loro diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali travisamenti degli elementi probatori valorizzati.

3. Ricorso nell’interesse di Giuseppe (OMISSIS).

3.1. Manifestamente infondati oltre che del tutto aspecifici sono sia il primo che il terzo motivo, trattabili congiuntamente per le reciproche interazioni.

3.1.1. Rileva il Collegio come questa Suprema Corte abbia più volte riconosciuto che “ai fini della punibilità del tentativo, rileva l’idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso nonché la univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione “ex ante” in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta, al di là del tradizionale e generico “discrimen” tra atti preparatori e atti esecutivi” (Sez. 5, n. 7341 del 21/01/2015, Sciuto, Rv. 262768).

Ed ancora, che “per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo” (Sez. 2, n. 46776 del 20/11/2012, D’Angelo e altri, Rv. 254106; in termini sostanzialmente uguali v., Sez. 2, n. 40912 del 24/09/2015, Amatista, Rv. 264589; Sez. 2, n. 11855 del 08/02/2017, Fincato e altri, Rv. 269930).

Infatti, anche un cd. “atto preparatorio” può integrare gli estremi del tentativo punibile, purché sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione – per l’appunto ex ante – e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto.

3.1.2. In realtà, la “disputa” sulla rilevanza dei soli atti cd. esecutivi ovvero anche di quelli cd. preparatori perde di significato una volta correttamente inteso il requisito della idoneità degli atti, il quale deve essere valutato in termini oggettivi, nel senso che gli atti considerati, esaminati nella loro oggettività e nel contesto in cui si inseriscono, devono possedere l’intrinseca attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito rivelando la sua attuazione (Sez. 6, n. 25065 del 17/02/2011, Alfano e altri, Rv. 250421).

Il legislatore del 1930, arretrando la soglia di punibilità del tentativo, ha completamente ribaltato l’impostazione del codice Zanardelli in quanto ora sono punibili non solo gli atti di esecuzione veri e propri ma anche gli atti ad essi antecedenti che, per comodità descrittiva, si possono continuare a chiamare ancora atti preparatori, a condizione però che posseggano quelle caratteristiche si cui si è detto.

Pertanto, ai fini del tentativo punibile, assumono rilevanza penale non solo gli atti esecutivi veri propri del delitto pianificato, ma anche quegli atti che, pur essendo classificabili come atti preparatori, tuttavia, per le circostanze concrete (di luogo – di tempo – di mezzi ecc.) fanno fondatamente ritenere che l’azione – considerata come l’insieme dei suddetti atti – abbia la rilevante probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che l’agente si trovi ormai ad un punto di non ritorno dall’imminente progettato delitto e che il medesimo sarà commesso a meno che non risultino percepibili incognite che pongano in dubbio tale eventualità, dovendosi, a tal fine, escludere solo quegli eventi imprevedibili non dipendenti dalla volontà del soggetto agente atteso che costui ha solo un modo per dimostrare di avere receduto dal proposito criminoso: ossia la desistenza volontaria (art. 56 cod. pen., comma 3) o il recesso attivo (art. 56 cod. pen., comma 4).

3.1.3. Tanto premesso in diritto e richiamata la dinamica dei fatti così come accertata dai giudici del merito, ritiene il Collegio come le censure risultino del tutto destituite di fondamento in presenza di condotte che, lungi dal costituire semplici atti di ricognizione prodromici ad una futura ipotetica rapina, si sono spinte ben al di là della soglia del tentativo punibile.

Infatti, proprio la situazione adeguatamente descritta nella sentenza impugnata porta ragionevolmente a ritenere che, per le condizioni di tempo e di luogo, nonché per le circostanze di fatto rilevate dal contenuto delle conversazioni ambientali captate, l’iter dell’azione criminosa, all’atto dell’intervento della Polizia, fosse già in corso, così correttamente portando a ritenere che l’azione stessa avesse già raggiunto la soglia del tentativo del reato di rapina aggravata in concorso.

Si è ritenuto che deponessero nel senso del tentativo idoneo varie circostanze di fatto come ben evidenziate dal giudice di prime cure, che aveva osservato come:

– dalle intercettazioni telefoniche delle utenze cellulari in uso a (OMISSIS) Nicola Antonio e (OMISSIS) Fabrizio e dall’ambientale all’intero dell’autovettura Fiat Panda tg. (OMISSIS) in uso allo (OMISSIS), fosse emerso come gli stessi (OMISSIS) e (OMISSIS), unitamente al (OMISSIS) e al (OMISSIS), intendessero sottrarre, con violenza e minaccia, a (OMISSIS) Giovanni i contanti costituenti l’incasso del locale notturno Millionaire, nonché l’orologio e l’autovettura;

– il piano dei malviventi prevedesse di aggredire il (OMISSIS) Giovanni nel cortile dell’abitazione di quest’ultimo sita in corso (OMISSIS) a Torino, colpendolo con pugni o con il calcio di una pistola per evitare che opponesse resistenza;

– a tal fine, i malviventi effettuarono più sopralluoghi con successivi loro ripetuti incontri;

– fu dato incarico al (OMISSIS) di sorvegliare il (OMISSIS) e di avvisare i complici della sua uscita dal night club;

– in effetti, verso le ore 5 della mattina del 31/03/2007, il (OMISSIS) avvisava i complici che il (OMISSIS) era uscito dal night e stava tornando a casa;

– nel contempo, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si introducevano nel cortile dello stabile dove abitava la vittima e ne aspettavano il ritorno a casa;

– la macchina del (OMISSIS) veniva però intercettata dalla Polizia che, grazie alle intercettazioni, erano a conoscenza del piano dei rapinatori: il (OMISSIS), che nell’occorso aveva con sé la somma di 8.000 euro, veniva prelevato dagli agenti unitamente alla fidanzata e condotto al sicuro in Questura.

Le conclusioni che traggono i giudici di merito appaiono del tutto giustificate: “… gli atti compiuti da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) … non potevano essere diretti ad altro scopo se non quello di commettere la rapina né sono suscettibili di diversa interpretazione … non trovando alcun riscontro probatorio l’allegazione difensiva secondo la quale gli stessi avrebbero desistito dall’azione criminale dopo essere stati identificati dalle forze dell’ordine nel pomeriggio del 30/03/2007 ed essendo stato accertato nel corso del giudizio che gli stessi erano presenti sotto la casa di (OMISSIS) nelle prime ore del 31/03/2007, pronti a commettere materialmente la rapina, fornendo un apporto causale decisivo e determinante; che, in particolare … (OMISSIS) si tratteneva a Torino per tutta la giornata del 31/03/2007, manifestando il suo interesse a effettuare la rapina non riuscita nella notte e venendo dissuaso solo in quel frangente da (OMISSIS), il quale gli faceva presente che aveva girato troppo in quella zona …”.

Con queste convincenti e motivate valutazioni, la difesa omette di confrontarsi preferendo insistere nella propria tesi difensiva, così come articolata in sede di gravame di appello.

3.2. Manifestamente infondato, oltre che evocativo di non consentite censure in fatto, è il secondo motivo di ricorso.

Diversamente da quanto indicato nel ricorso, la motivazione della sentenza, che si salda ed integra con la sentenza di primo grado, è coerente e fornisce adeguata e congrua risposte alle critiche formulate in tema nell’atto di appello.

3.2.1. Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di tentativo, il concorrente nel reato plurisoggettivo, per beneficiare della desistenza volontaria, non può limitarsi ad interrompere la propria azione criminosa occorrendo, invece, un “quid pluris”, consistente nell’annullamento del contributo dato dallo stesso alla realizzazione collettiva e nella eliminazione delle conseguenze dell’azione che fino a quel momento si sono prodotte (cfr., Sez. 1, n. 9284 del 10/01/2014, Losurdo e altri, Rv. 259250; Sez. 2, n. 22503 del 24/04/2019, Calabrò, Rv. 275421).

In tale corretta prospettiva, nel caso di specie, non risultano in atti elementi valutabili al fine di ritenere che il (OMISSIS) abbia desistito dall’azione criminale.

3.2.2. Come si è visto, appare indiscutibile il fatto che il (OMISSIS), non solo prese parte – insieme ai complici (OMISSIS) e (OMISSIS) – ad almeno due sopralluoghi preliminari all’effettuazione della rapina in danno del (OMISSIS) rafforzando l’intento delittuoso dei complici e rendendone più agevole l’azione, ma assunse anche parte decisiva nell’elaborazione del piano delittuoso, proponendo ai correi (OMISSIS) e (OMISSIS) che uno di loro (individuato nel (OMISSIS)), in occasione della rapina, si appartasse nei pressi del locale notturno del (OMISSIS) e avvisasse gli altri della partenza di quest’ultimo verso casa, in modo che gli stessi intervenissero al momento opportuno per rapinarlo in prossimità della sua abitazione. Inoltre – riconoscono i giudici di secondo grado – quand’anche si volesse ipotizzare che nella notte tra il 30 ed il 31 marzo 2007 il (OMISSIS) si fosse improvvisamente defilato e non si fosse recato con (OMISSIS) e (OMISSIS) presso l’abitazione del (OMISSIS) per eseguire a rapina, la sua condotta non potrebbe comunque essere qualificata come desistenza volontaria.

Peraltro, si osserva che “… non solo in nessuna delle conversazioni intercettate si fa cenno ad un ritiro del (OMISSIS) dall’azione delittuosa, ma nella conversazione n. 192 del 31/03/2017 ore 22.43 (successiva al tentativo di rapina …), l’imputato … ribadiva il suo interesse ad effettuare la rapina e, solo in quel momento, veniva dissuaso dal (OMISSIS), il quale gli faceva presente i rischi oramai eccessivi dell’impresa delittuosa, perché non solo erano stati fermati dalla Polizia il pomeriggio del 30/03/2007, ma avevano girato troppo nella zona ove risiede il (OMISSIS); … che, per contro, il messaggio audio intercettato sull’autovettura nella quale (OMISSIS) era appostato in attesa dell’uscita di (OMISSIS) dal Millionaire, in ora prossima alle 04.30 della mattina del 31/03/2007, nella quale lo stesso (OMISSIS) (si) lamentava con il destinatario (utilizzatore di un’utenza telefonica non identificata) … non venne indirizzato al (OMISSIS) … ma a un altro soggetto e verosimilmente a qualcuno che poco prima era sceso dall’auto ove si trovava (OMISSIS) …”.

Condotta complessiva – quella tenuta dal (OMISSIS) – che non consente di ritenere che il ricorrente abbia desistito quanto, piuttosto, che lo stesso abbia partecipato a tutte le fasi dell’azione criminale senza mai tenere alcuna condotta idonea ad elidere il contributo morale e materiale fornito alla commissione del reato.

4. Ricorso nell’interesse di Andrea (OMISSIS).

4.1. Del tutto aspecifico, evocativo di non consentite censure in fatto e in ogni caso manifestamente infondato è il primo motivo.

Riconosce la sentenza impugnata come, dalla lettura delle trascrizioni delle conversazioni intercettate e dalle testimonianze rese dal sovraintendente (OMISSIS) Giuseppe e dall’assistente (OMISSIS) Massimo della Polizia di Stato fosse emerso inequivocabilmente il ruolo svolto dal (OMISSIS) nella preparazione e nell’esecuzione del fatto di reato: l’imputato, infatti “… già in data 26/03/2007 raggiungeva Torino e si recava insieme ai complici (OMISSIS) e (OMISSIS) ad effettuare un sopralluogo presso l’abitazione della persona offesa, concordando con gli stessi il piano delittuoso; in data 30/03/2007 tornava a Torino e ribadiva il suo impegno a partecipare all’azione delittuosa, nonostante il controllo subìto nei pressi della stazione di Porta Nuova insieme ai complici, infine, nelle prime ore del 31/03/2007, si appostava insieme ai correi (OMISSIS) e (OMISSIS) nel cortile dell’abitazione del (OMISSIS), attendendo l’arrivo di quest’ultimo per procedere all’esecuzione della rapina …”.

4.1.1. Fermo quanto precede e richiamate le considerazioni svolte nel precedente paragrafo 3.2.1., del tutto condivisibili appaiono le conclusioni tratte dai giudici di secondo grado che hanno riconosciuto come, quand’anche si volesse ritenere che il (OMISSIS) si fosse limitato a recarsi con i complici in corso Lione per effettuare il sopralluogo preliminare all’esecuzione della rapina in danno di (OMISSIS), a concordare con loro le modalità dell’azione delittuosa e a mettere a loro disposizione il telefono cellulare utilizzato per tenere i contatti con (OMISSIS) la mattina del 31/03/2007, sarebbe indiscutibile il suo contributo causale alla commissione concorsuale del reato e non potrebbe ipotizzarsi una sua desistenza volontaria, non avendo il prevenuto annullato il proprio contributo alla realizzazione collettiva ed eliminato le conseguenze della sua azione.

4.1.2. Per il resto, le censure di merito proposte, involgendo apprezzamenti singoli e complessivi sul materiale probatorio, costituiscono motivi diversi da quelli consentiti (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.), anche perché attengono a presunti ‘vizi’ diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua ‘manifesta illogicità’, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre un’ipotetica diversa conclusione del processo: doglianze di tal fatta, che ‘attaccano’ la ‘persuasività’, l'”inadeguatezza’, la mancanza di ‘rigore’ o di ‘puntualità’, la stessa ‘illogicità’ quando non ‘manifesta’, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento, debbono considerarsi certamente inammissibili.

In tal senso, non appare superfluo ricordare come, allorquando il giudice del merito abbia espresso il proprio convincimento, la ricostruzione del fatto è definita, e le sole censure possibili nel giudizio di legittimità sono quelle dei soli tre tassativi vizi indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., ciascuno dotato di peculiare oggetto e struttura.

4.2. Del tutto generico è il secondo motivo. Il ricorrente non dimostra l’esistenza del vincolo della continuazione, presumibilmente riconosciuta in sede esecutiva, tra la sentenza del Tribunale di Firenze del 04/01/2002, irrevocabile il 02/01/2003 e quella del Pretore di Firenze del 17/10/1996, irrevocabile il 02/01/1997; in ogni caso, risulta essere intervenuta, medio tempore, la condanna irrevocabile della Corte d’appello di Milano del 02/03/2007 e la parte non ha in alcun modo dimostrato che la continuazione tra le prime due sentenze avrebbe “eliso” la recidiva infraquinquennale.

5. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in euro duemila per ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di ero duemila ciascuno a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 21/01/2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.