REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente –
Dott. MESSINI D’AGOSTINO Piero – Consigliere –
Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere –
Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere –
Dott. COSCIONI Giuseppe – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GARCIA HARDY MISLEIDYS nato il xx/xx/xxxx;
avverso la sentenza del 10/10/2018 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe COSCIONI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Ettore PEDICINI, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore della parte civile Avv. Giancarlo VITI, il quale ha concluso come da conclusioni e nota spese depositata;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Maurizio GANDOLFI, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di Garcia Hardy Misleidys ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 10/10/2018, che aveva confermato la condanna a carico della ricorrente per il reato di estorsione: secondo il capo di imputazione l’imputata, minacciando di rivelare ai familiari di Cardinali Mirco la relazione extraconiugale che i due avevano avuto in passato, costringeva Cardinali a consegnarle prima la somma di euro 1.000,00 e poi di euro 5.000,00.
1.1 Al riguardo il difensore osserva che la sussistenza dell’elemento psicologico del reato era stato desunto dalle modalità di esecuzione delle minacce, dal contenuto delle stesse e dalla circostanza che l’imputata, nelle dichiarazioni rese, avesse asserito o lasciato intendere di non avere idea della illegittimità del suo comportamento; i primi due aspetti attenevano solamente all’aspetto materiale della condotta, per cui ci si era basati su un criterio di valutazione che confondeva la materialità della condotta con l’elemento psicologico sottostante.
1.2 Per il terzo aspetto, lo stesso confliggeva in modo evidente con le dichiarazioni dell’imputata, che aveva ammesso di aver minacciato l’uomo dicendogli che sarebbe andata a casa sua ad informare la moglie del loro rapporto ultradecennale se non avesse ottenuto il resto del denaro che l’uomo dapprima le aveva promesso ma che poi le aveva dato solo in parte, denaro che riteneva le spettasse di diritto, se non quale contropartita per una dolorosa e problematica interruzione di gravidanza, quantomeno perché le era stato promesso: appariva quindi pienamente integrato il travisamento della prova, che rendeva illogica la motivazione.
1.3 Il difensore aggiunge che il travisamento si era verificato per la prima volta in secondo grado e che comunque rilevava anche sotto il profilo della logicità, completezza e congruenza della motivazione: sussisteva infatti un vizio della motivazione per aver valutato il tema della sussistenza del dolo sulla base non già del compendio probatorio nel suo complesso, ma in modo esclusivo o prevalente sulla base della sola rappresentazione di esso fornita dall’imputata; inoltre i giudici avevano ignorato che le dichiarazioni dell’imputata avrebbero dovuto essere filtrate e condizionate da circostanze estranee alla persona dell’imputata (la maggiore o minore qualità della verbalizzazione riassuntiva, le modalità più o meno precise e stringenti nella conduzione dell’esame dibattimentale, l’abilità maieutica dell’esaminante), sia da caratteristiche personali sue proprie quali la maggiore o minore capacità di espressione, la sua scolarizzazione, la proprietà di linguaggio e la scarsa conoscenza della lingua italiana.
2. In data 5 febbraio 2020 veniva depositata memoria da parte del difensore della parte civile Cardinali Mirco.
2.1 Nella memoria il difensore osserva che il ricorso tendeva ad inquadrare la richiesta di denaro non in un’ottica estorsiva, ma di pretesa di rispetto di un accorso secondo cui il denaro costituiva la contropartita per una interruzione di una gravidanza, eventualità esclusa sia dal Tribunale che dalla Corte di appello; quanto all’elemento soggettivo, le sentenze di merito avevano ampiamente argomentato sulla sussistenza dello stesso ed il ricorso era inammissibile in quanto contrapponeva una lettura alternativa delle dichiarazioni dell’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1 Si deve infatti premettere che in questa sede non è consentito dedurre il travisamento del fatto, essendo precluso al giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, ma solo il travisamento della prova, ove il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano.
Le censure riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva.
2. La Corte di appello ha infatti confermato la sentenza di primo grado, che aveva evidenziato che la tesi difensiva secondo la quale la ricorrente era convinta di avere diritto alle somme richieste (che, secondo la difesa, riteneva le spettassero di diritto) era infondata in quanto non esisteva alcuna pretesa tutelabile; mancava anche il presupposto della richiesta, e cioè il riconoscimento di una somma per non aver portato a termine una gravidanza, presupposto non provato, smentito dalle dichiarazioni del teste Scarponi e sul quale nessuna censura vi è in ricorso per sostenere, invece, la sussistenza dello stesso; oltretutto, in ricorso si contesta che la ricorrente avesse “asserito o lasciato intendere di non avere idea dell’illegittimità del proprio comportamento” (pag. 8 sentenza di appello) senza però indicare su quale punto della dichiarazioni si basi tale contestazione, per cui il motivo è manifestamente infondato in quanto generico.
Nessun travisamento della prova vi è stato pertanto da parte della Corte di appello, la motivazione della cui sentenza viene censurata solo in una parte della stessa, visto che non vi è censura invece su quanto rilevato dalla Corte alle pagine 8 e 9 della sentenza impugnata e sopra riportato.
3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile; ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di C 2.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
3.1 La ricorrente deve essere anche condannata alle spese sostenute nel grado dalla parte civile, in virtù del principio di soccombenza e non sussistendo motivi per disporne la compensazione.
4. La natura non particolarmente complessa della questione e l’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese del grado in favore dalla parte civile Cardinali Mirco, liquidate in C 3.510,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, CPA ed IVA.
Così deciso il 19/02/2020.
Depositato in Cancelleria l’11 marzo 2020.