REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere
Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Rel. Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) Fabrizio, nato a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx;
avverso l’ordinanza del 03/10/2019 del Tribunale di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Felicetta Marinelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Antonio (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento delle conclusioni del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 3 ottobre 2019, il Tribunale di Salerno ha respinto l’istanza di riesame proposta nell’interesse di Fabrizio (OMISSIS) avverso il provvedimento applicativo della misura cautelare dell’obbligo di dimora per due fatti di compromissione e deterioramento dell’ecosistema marino di un’area naturale dichiarata Zona di Protezione Speciale in comune di Praiano, commessi nel maggio 2018 in concorso con altre persone e ricondotti al delitto di cui all’art. 452 bis, primo comma, n. 2), ed ultimo comma cod. pen. In particolare, l’ipotesi di accusa si riferisce alla pesca abusiva, con metodo di raccolta distruttivo del substrato roccioso, rispettivamente, in un’occasione di circa 200 grammi di corallo rosso Mediterraneo (Corallium rubrum) e, in altra occasione, di circa 700 grammi del medesimo materiale.
2. Avverso l’ordinanza, a mezzo del difensore ha proposto ricorso per cassazione il suddetto indagato deducendo, con il primo motivo, il vizio di motivazione per essere stata applicata la misura cautelare a distanza di oltre un anno dai fatti contestati, in difetto dei requisiti di concretezza ed attualità del pericolo e senza tener conto del fatto che l’indagato è incensurato e ha regolare impiego lavorativo sicché non era comunque pronosticabile la reiterazione della condotta.
Non essendovi alcun indizio in relazione al capo di provvisoria imputazione n. 3 – vale a dire quello relativo alla pesca abusiva di circa 200 gr. di corallo – la ricostruzione operata con riguardo al capo 4 sarebbe invece del tutto fantasiosa e priva di oggettivi riscontri.
3. Con ulteriore motivo si allega che difetterebbero, in ogni caso, gli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 452 bis cod. pen. non potendo sostenersi che il prelievo di circa 900 grammi di corallo rosso integri gli estremi di quella compromissione o deterioramento significativi e misurabili dell’ecosistema marino richiesti per l’integrazione del reato, essendo piuttosto nella specie applicabile il regime sanzionatorio previsto dal d.m. 21 dicembre 2018 per il caso di pesca del corallo in assenza di licenza.
4. Con l’ultimo motivo si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 452 bis cod. pen., per contrasto con gli artt. 25 Cost. e 7 C.E.D.U., stante la violazione del principio di tassatività e determinatezza della fattispecie.
5. Si conclude nel senso dell’insussistenza delle esigenze cautelari, allegandosi che le stesse possono comunque dirsi affievolite e allo stato salvaguardabili con la misura dell’obbligo di firma.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le contestazioni sulla gravità indiziaria fugacemente inserite nel primo motivo di ricorso sono del tutto generiche e praticamente incomprensibili: il ricorrente non si confronta in alcun modo con la analitica ricostruzione delle vicende fatta nel provvedimento impugnato, sicché la doglianza è ictu oculi inammissibile e non resta che fare rinvio alle dettagliate, e del tutto logiche, argomentazioni svolte nel provvedimento impugnato (pagg. 17 ss.), ampiamente sufficienti a fondare la gravità indiziaria di colpevolezza in capo a Fabrizio (OMISSIS) per i due episodi a lui provvisoriamente contestati in concorso con altre persone.
2. Del pari generiche – e manifestamente infondate – sono le doglianze circa l’insussistenza dei requisiti di concretezza e attualità delle misure cautelari.
Al proposito, osserva il Collegio che va qui ribadito l’orientamento secondo cui, poiché l’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale, non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie (Sez. 3, n. 34154 del 24/04/2018, Ruggerini, Rv. 273674; Sez. 6, n. 24477 del 04/05/2016, Sanzogni e a., Rv. 267091; Sez. 6, n. 24476 del 04/05/2016, Tramannoni, Rv. 266999).
Tale prevedibilità, tuttavia, non dev’essere oltre misura enfatizzata, essendosi condivisibilmente osservato che la previsione di una “specifica occasione” per delinquere esula dalle facoltà del giudice (Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216; Sez. 2, n. 53645 del 08/09/2016, Lucà, Rv. 268977).
L’attualità, piuttosto, deve essere intesa non come imminenza del pericolo di commissione di ulteriori reati, ma come prognosi di commissioni di delitti analoghi, fondata su elementi concreti, rivelatori di una continuità ed effettività del pericolo di reiterazione, attualizzata, al momento della adozione della misura, nella riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi (Sez. 6, n. 24779 del 1,0/05/2016, Rando, Rv. 267830).
E’ necessario e sufficiente, allora, formulare una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, purché fondata su elementi concreti, quali la personalità dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, e l’esame delle sue concrete condizioni di vita (Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216; Sez. 2, n. 11511 del 14/12/2016, dep. 2017, Verga, Rv. 269684; Sez. 2, n. 47891 del 07/09/2016, Vicini e aa., Rv. 268366; Sez. 2, n. 47619 del 19/10/2016, Esposito, Rv. 268508).
Tra i concreti elementi da prendere in considerazione per tale valutazione v’è poi certamente quello, previsto dall’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., «del tempo trascorso dalla commissione del reato».
Anche alla luce di questa risalente previsione di carattere generale, la legge 16 aprile 2015, n. 47, introducendo nell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, ha evidenziato la necessità che tale aspetto sia specificamente valutato dal giudice emittente la misura, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidivanza al momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare (Sez. 5, n. 43083 del 24/09/2015, Maio, Rv. 264902).
La continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, dunque, va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare (Sez. 2, n. 18744 del 14/04/2016, Foti, Rv. 266946; Sez. 2, n. 26093 del 31/03/2016, Centineo, Rv. 267264; Sez. 6, n. 15978 del 27/11/2015, dep. 2016, Garrone, Rv. 266988).
2.1. Nel caso di specie, il tribunale dà atto della reiterazione delle condotte illecite nonostante la consapevolezza dell’esistenza dei controlli e dei fraudolenti tentativi – anche con esito positivo – di sottrarsi agli stessi, nonché della propensione tutt’altro che occasionale alla commissione di reati analoghi a quelli per cui si procede, essendo Fabrizio (OMISSIS) socio di fatto dell’impresa societaria formalmente riconducibile al coindagato Fabio Alfonso (OMISSIS), costituita al precipuo scopo di commettere quei reati.
Se a ciò si aggiunge – come si legge nell’ordinanza – la perfetta conoscenza dei luoghi da depredare e dei canali di smercio del materiale illecitamente prelevato da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS), non è manifestamente illogico il rilievo secondo cui si può escludere una spontanea interruzione dell’attività criminosa da parte del ricorrente, rivelatosi incapace di tenere a freno i propri impulsi criminali.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
3.1. Deve osservarsi come, sin dalle prime applicazioni giurisprudenziali della fattispecie criminosa prevista dall’art. 452 bis cod. pen., questa Corte abbia riconosciuto che la “compromissione” e il “deterioramento” di cui al nuovo delitto di inquinamento ambientale consistono in un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016, Simonelli, Rv. 268059).
Ai fini dell’integrazione del reato non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno (Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016, dep. 2017, Sorvillo, Rv. 269274), essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269489).
Si è ulteriormente precisato che ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale le condotte di “deterioramento” o “compromissione” del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici (Sez. 3, n. 28732 del 27/04/2018, Melillo, Rv. 273566).
3.2. Nel caso di specie, pacifica essendo l’abusività della condotta – non avendo gli indagati le necessarie autorizzazioni ed essendo la pesca avvenuta, peraltro in area protetta, con modalità vietate, in particolare con metodo di raccolta distruttivo, con rottura ed escissione del substrato roccioso – l’ordinanza impugnata attesta esservi stata una consulenza che, con riguardo al sequestro del corallo di circa 700 gr. oggetto della contestazione di cui al capo 4, ha accertato «una attività di raccolta distruttiva massiva delle colonie e nei confronti dell’habitat protetto», con «un danno ambientale ed ecologico considerevole, sia a livello di specie che a livello di habitat».
Si aggiunge che il danno da rimozione appare tanto più significativo considerando che «l’accrescimento e lungo ciclo vitale richiederà almeno 40- 50 anni in assenza di raccolta o altri impatti prima che si raggiungano condizioni analoghe a quelle distrutte dalle attività di prelievo» e «il danno ambientale determinerà per i decenni a venire una riduzione del capitale naturale e dei beni e servizi eco sistemici ad esso connessi».
3.3. Queste considerazioni tecniche – non specificamente contestate – sono certamente sufficienti, nella presente fase cautelare, a far ritenere integrato il fumus di sussistenza del reato ascritto, non soltanto con riguardo al fatto provvisoriamente contestato al capo 4, ma anche a quello di cui al capo 3, posto che entrambi si riferiscono ad identiche condotte poste in essere nella medesima zona.
Nella descrizione delle provvisorie imputazioni, di fatti, si legge che la pesca abusiva di Corallium rubrum, specie importante dell’habitat coralligeno, classificato come “prioritario per la conservazione” e inserito nella lista IUCN (International Union for Conservation on Nature) come “specie a rischio di estinzione” e di interesse comunitario ai sensi dell’allegato V Direttiva CE 92/43, avente, altresì, il ruolo di “ingegnere ecosistemico di lungo corso”, ha interessato in entrambe le occasioni (il 12 e il 26 maggio 2018) l’area marina protetta, in comune di Praiano, rientrante nella ZPS IT8030011 denominata “Fondali marini di Punta Campanella e Capri”.
Poiché per la sussistenza del reato ipotizzato non è richiesta anche l’irreversibilità del danno – requisito non contemplato tra gli elementi costitutivi – le condotte di deterioramento o compromissione del medesimo bene ambientale integrano singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, sino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo reato di disastro ambientale di cui all’art. 452 quater cod. pen. (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017, Rizzo, Rv. 269490).
L’evento, dunque, può assumere il carattere di “significatività” anche a seguito di attività seriali ripetute nel tempo, ciascuna delle quali, isolatamente considerata, potrebbe non essere in grado di incidere sul bene tutelato in termini penalmente rilevanti, con la conseguenza che l’evento è unico allorquando sia il risultato della sommatoria di una pluralità di condotte, all’esito delle quali il deterioramento o la compromissione di un medesimo contesto ambientale raggiunge il grado di compromissione richiesto per l’integrazione del fatto.
Una volta che il reato è consumato, avendo l’offesa raggiunto il livello di “significatività” richiesto dalla fattispecie incriminatrice, le condotte successive, aventi ad oggetto il medesimo ecosistema, hanno l’effetto, per un verso, di incidere sulla gravità dell’unico reato – e sono quindi valutabili ex art. 133 cod. pen. – e, dall’altro, di spostare in avanti il momento consumativo, ciò che rileva per la decorrenza del termine di prescrizione, ferma restando, ricorrendone i presupposti, la configurabilità del più grave delitto di cui all’art. 452 quater cod. pen. Con queste precisazioni, dunque, i fatti ascritti integrano certamente il fumus del delitto provvisoriamente contestato.
3.4. Quanto alla doglianza concernente la riconducibilità delle condotte al regolamento citato in ricorso – che non è decreto ministeriale, ma decreto direttoriale emesso dal direttore generale del Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo: decreto direttoriale n. 26287 del 21 dicembre 2018, recante Adozione del Piano nazionale di gestione per la raccolta del corallo rosso (Corallium rubrum) nelle acque marine del territorio nazionale – il citato provvedimento normativo, all’Allegato A, prevede che «salvo che il fatto non costituisca più grave reato, i trasgressori alle disposizioni del presente decreto saranno sanzionati ai sensi del Decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4; nonché ai sensi delle vigenti norme nazionali in materia di sicurezza della navigazione marittima, di tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro, ovvero di disciplina della pesca subacquea professionale».
Al di là dell’assoluta genericità del richiamo fatto in ricorso a tale regolamento, la disciplina citata, pur richiamando le sanzioni previste dal d.lgs. 4/2012, fa dunque salve le disposizioni che prevedano più gravi reati, e non potrebbe essere altrimenti non essendo ovviamente ammissibile che una norma di fonte regolamentare – peraltro, un decreto direttoriale – possa incidere sul campo di applicazione delle disposizioni penali contenute in una legge dello Stato. Analoga clausola di riserva è prevista nel richiamato decreto legislativo.
Ed invero, il d.lgs. n 4 del 2012 (recante “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell’articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96”), si propone la finalità di provvedere al «riordino, al coordinamento ed all’integrazione della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura» (art. 1).
A tal fine, il capo I disciplina l’attività di pesca e di acquacoltura” in tutti gli ambiti in cui essa si declina (pesca professionale, acquacoltura, impresa ittica, pesca non professionale), mentre il capo II, dedicato alle “Sanzioni”, prevede, agli artt. 7 e 10, una serie di divieti (al dichiarato fine di «tutelare le risorse biologiche il cui ambiente abituale o naturale di vita sono le acque marine, nonché di prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale»), la cui violazione è sanzionata, rispettivamente, come mera contravvenzione o illecito amministrativo, dai successivi artt. 8 e 11, i quali, tuttavia, sono definiti applicabili «salvo che il fatto costituisca più grave reato» (art. 8, comma 1) ovvero «salvo che il fatto costituisca reato» (art. 11, comma 1).
L’eventuale concorso di norme, dunque, è risolto dalle citate clausole di sussidiarietà espressa e non v’è pertanto dubbio circa l’applicabilità della fattispecie delittuosa prevista dall’art. 452 bis cod. pen., che, peraltro, incrimina fatti nemmeno sussumibili nella violazione dei divieti elencati dagli artt. 7 e 10 d.lgs. n. 4 del 2012, sì da essere in ogni caso speciale rispetto a questi.
4. Quanto all’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 452 bis cod. pen., la stessa è manifestamente infondata.
4.1. Per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, la verifica del rispetto del principio di determinatezza della norma penale va condotta non già valutando isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce. In particolare, «l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero […] di clausole generali o concetti “elastici”, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo» (Corte cost., sent. n. 5 del 2004; in senso analogo, ex plurimis, sentt. n. 327 del 2008, n. 34 del 1995, n. 122 del 1993, n. 247 del 1989; ordd. n. 395 del 2005, n. 302 e n. 80 del 2004).
4.2. Ciò premesso, reputa il Collegio che la fattispecie in esame non confligga con l’art. 25, secondo comma, Cost., in quanto le espressioni impiegate dal legislatore appaiono sufficientemente univoche nella descrizione del fatto vietato, che, essendo modellato come reato di evento a forma libera, contempla le condotte di “compromissione” e di “deterioramento” – sostanzialmente analoghe, ed in parte addirittura identiche (ci si riferisce al deterioramento), a quelle tradizionalmente descritte con riguardo al delitto di danneggiamento di cui all’art. 635 cod. pen. – ed in relazione alle quali la giurisprudenza di questa Corte ha fornito un’interpretazione uniforme e costante, nel senso dinanzi indicato sub §. 3.1.
Diversamente da quanto opinato dal ricorrente, poi, l’impiego di aggettivi riferiti a quegli eventi, alternativamente previsti dalla norma, quali “significativi” e “misurabili”, pone dei vincoli, qualitativi e di accertamento, all’offesa penalmente rilevante.
Vincoli che delimitano il campo di applicazione della fattispecie in termini, per un verso, di gravità – il che comporta un restringimento del perimetro della tipicità, da cui sono estromessi eventi che non incidano in maniera apprezzabile sul bene protetto – e, per altro verso, di verificabilità, da compiersi sulla base di dati oggettivi, e quindi controllabili e confutabili.
Parimenti preciso è l’oggetto della condotta, che deve aggredire o le matrici ambientali (acque, aria, porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo), ovvero un ecosistema o una biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Ne segue, che, gli elementi costitutivi della fattispecie rimandano a un fatto descritto in maniera sufficientemente precisa, ciò che consente di ritenere rispettato il vincolo imposto dall’art. 25, secondo comma, Cost. nella descrizione dell’illecito penale.
5. L’ultimo rilievo contenuto a pag. 13 del ricorso, attinente al dedotto affievolimento delle esigenze cautelari, non è ovviamente deducibile in questa sede, avendo per altro verso l’ordinanza reso effettiva e non illogica motivazione – in ricorso non specificamente contestata – circa la scelta della misura quale originariamente disposta.
6. Il ricorso, complessivamente infondato, va pertanto rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 gennaio 2020.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2020.