Il difensore dell’imputato sostiene che non può essere tenuto in carcere per recidiva quando l’ultimo reato risale al 2001. Accolto (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 15 settembre 2020, n. 26003).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERROTTI Massimo – Rel. Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto nell’interesse di:

CALAFIORE Salvatore, nato a Palermo il 19/10/1979;

avverso la ordinanza del 5-10/3/2020 del Tribunale per il riesame di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott. Massimo Perrotti;

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Valentina Manuali, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale per il riesame delle misure coercitive di Messina rigettava l’appello proposto, ex art. 310 cod. proc. pen., avverso l’ordinanza emessa in data 10 dicembre 2019 dalla Corte d’appello di Messina.

La Corte che procede nel merito aveva rigettato la richiesta di sostituzione – con misure cautelari meno afflittive – della misura cautelare della custodia in carcere in corso di esecuzione nei confronti del ricorrente, ravvisando persistente inalterata attualità delle esigenze cautelari di prevenzione speciale poste a sostegno della cautela in essere ed esclusiva adeguatezza del presidio detentivo, nonostante il tempo decorso (oltre un anno) dalla data di applicazione della misura restrittiva di massima afflittività.

2. Si procede in cautela, nei confronti del ricorrente per delitto di concorso in rapina aggravata (fatto commesso il 29 giugno 2018).

La fattispecie concreta prospetta che il ricorrente ha commesso il fatto -per cui si procede in grado di appello- in concorso con altre persone, con modalità di cruda violenza alla persona, per motivi di ritorsione.

3. Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che deduce il motivo in appresso sinteticamente riportato, secondo la funzione indicata all’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:

3.1. vizio di motivazione in ordine alla attualità e grado delle esigenze cautelari, che ridondano effetti in termini di sopravvenuta sproporzione del presidio carcerario imposto, soprattutto in considerazione della esclusione della recidiva operata dal giudice del merito (fatti eccessivamente datati per indicare maggiore colpevolezza e accresciuta pericolosità dell’imputato).

La difesa ritiene altresì non rinvenirsi, negli atti, specifici sintomi della adeguatezza della sola misura detentiva, punto sul quale la motivazione de libertate sarebbe gravemente lacunosa, fondando esclusivamente sulla valorizzazione di precedenti, il cui effetto ingravescente è stato invece negletto dal giudice del merito..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

1.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la pericolosità sociale, nei termini cristallizzati dal legislatore all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., si desume congiuntamente dall’apprezzamento prognostico di fatti storicizzati, quali le specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’agente (Sez. 6, n. 45489-18, del 21/6/2018; Sez. 5, n. 49038, del 14/6/2017, Rv. 271522; Sez. 1, n. 37839, del 2/3/2016, Rv. 267798; Sez. 3, n. 1166, del 2/12/2015 – dep. 14/1/2016, Luppino, Rv. 266177).

1.2. Il tribunale della cautela, nel provvedimento impugnato, ha indicato, come significativi ai fini del decidere, alcuni elementi di fatto, quali: la violenza manifestata nell’azione e la assiduità nella trasgressione, manifestata dalla ricaduta nel crimine di settore.

Tale ultimo profilo appare tuttavia non coerente con le ragioni che hanno indotto il giudice del merito ad escludere la recidiva, proprio per la eccessiva vetustà del precedente specifico (datato al 2001) che aveva mosso il pubblico ministero a contestare la recidiva qualificata. Il che costituisce novum rilevante ai fini della rinnovata valutazione di adeguatezza del presidio di massima afflittività.

1.3. Fondato è dunque il motivo che denuncia motivazione manifestamente illogica e contradditoria nella valorizzazione dei precedenti ai fini della valutazione di adeguatezza del presidio inframurario e loro oblio ai fini del riconoscimento della recidiva (il che è evidentemente il risultato di una valutazione che ha escluso nel ricorrente una accresciuta pericolosità o una più accentuata colpevolezza).

1.4. Il tribunale della cautela non ha inoltre indicato – a fronte del tempo trascorso in custodia, che in sé benvero non rappresenta un elemento sintomatico di affievolimento delle esigenze cautelari o, al più, ne rappresenta la cifra silente (v. Sez. 1, n. 19818, del 23/3/2018, Rv. 273139-01; Sez. 5, del 29/5/2017, Rv. 271119; Sez. 3, n. 15925 del 18/12/2015, Rv. 266829) – le ragioni concrete della inanità di misure diversamente detentive a contenere la ritenuta attuale propensione alla reiterazione nel reato.

Con ciò eludendo (in una situazione di fatto “nuova”, rispetto al momento genetico, che vede esclusa nel merito la recidiva contestata) il preciso obbligo di motivazione imposto in tema di adeguatezza esclusiva del presidio cautelare carcerario dall’art. 275, comma 3 (primo periodo) e 3 bis, cod. proc. pen..

2. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata, con rinvio al tribunale distrettuale per il riesame di Messina, che nella nuova valutazione di adeguatezza del presidio cautelare terrà conto dei principi espressi in motivazione e esplicitamente indicherà le ragioni (diverse dalla recidiva) che inducono a ritenere adeguato il solo presidio detentivo di massima afflittività.

3. Ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen. la presente sentenza va comunicata al ricorrente detenuto a cura del direttore dell’istituto penitenziario di detenzione.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Messina competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p..

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.