Ricettazione: se la condotta ha ad oggetto un’unica cosa, il reato è unico (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 26 ottobre 2020, n. 29677).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –

Dott. ROSATI Martino – Rel. Consigliere –

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Nuzzi Luca, nato a Milano il 10/05/1982;

avverso la sentenza emessa il 07/03/2019 dalla Corte di appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Martino Rosati;

sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Maria Giuseppina Fodaroni, che ha chiesto l’annullamento della sentenza con rinvio sull’assorbimento del capo G) e sul trattamento sanzionatorio;

udito il difensore del ricorrente, avv. Alessandra Granati, in sostituzione dell’avv. Cosimo Leone, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, riportandosi ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Luca Nuzzi, con atto del proprio difensore, chiede alla Corte di cassazione di annullare la sentenza della Corte di appello di Ancona del 7 marzo 2019, che ha confermato la condanna inflittagli dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pesaro, in relazione a vari episodi di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e marijuana, nonché alla detenzione di un fucile mitragliatore (arma da guerra) con caratteristiche meccaniche alterate e del relativo munizionamento.

2. Cinque motivi sostengono il ricorso.

2.1. Violazione di legge, in punto di determinazione della pena per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990 – rubricato al capo B) e ritenuto in sentenza quale violazione più grave ai fini della ravvisata continuazione con le altre – a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di detta norma nella parte relativa al previsto minimo edittale della pena detentiva, disposta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 40 del 2019.

2.2. Violazione di legge, nella parte in cui, relativamente alle condotte di cessione di sostanza stupefacente del tipo cocaina, non è stata riconosciuta l’ipotesi lieve, di cui al comma 5 del citato art. 73: deporrebbero per tale riqualificazione – si sostiene – la modesta entità dei quantitativi ceduti e la destinazione di essi ad un unico acquirente.

2.3. Violazione di legge, nella parte in cui è stata esclusa la destinazione ad esclusivo uso personale dell’imputato della sostanza stupefacente del tipo marijuana da lui detenuta, sulla base del solo dato quantitativo, non considerandosi, invece, l’aspetto del consumo smodato da lui compiuto (nell’ordine dei 20-30 grammi al giorno), che giustifica l’apprestamento di una significativa scorta.

2.4. Violazione di legge, nella parte in cui è stata riconosciuta la continuazione tra i reati di ricettazione di cui ai capi F) e G), e non l’assorbimento dell’uno nell’altro: entrambi hanno ad oggetto le medesime cose, ovvero il fucile mitragliatore ed il relativo munizionamento, sicché non si spiega la duplicazione di imputazioni.

2.5. Violazione di legge in punto di trattamento sanzionatorio, sia in relazione alla pena-base che agli aumenti per continuazione, giustificati in sentenza per il «collegamento dell’imputato con ambienti criminali di spessore», tuttavia rimasto indimostrato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Con sentenza n. 40 del 23 gennaio 2019, infatti, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei.

La pena inflitta all’imputato, poiché calibrata sul parametro edittale dichiarato illegittimo, dev’essere, dunque, rideterminata, sulla base del nuovo riferimento normativo.

Le complesse modalità attraverso le quali la Corte di appello è pervenuta alla determinazione della pena, in ragione anche di un’insufficiente chiarezza sul punto della sentenza di primo grado (v. pag. 2, sent. impugnata), non permettono una rideterminazione del trattamento sanzionatorio già in questa sede, a norma dell’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., dovendo perciò essere rimessa la relativa decisione al giudice di merito.

2. La seconda doglianza è generica e, perciò, inammissibile.

Gli elementi addotti a sostegno (modestia dei singoli quantitativi di volta in volta ceduti ed unico “cliente”) non sono univocamente riferibili ad ipotesi di lieve entità.

Per il resto, il ricorso non si misura con la pluralità di indici significativi sui quali la sentenza poggia il suo diverso giudizio, che, soprattutto se letti in reciproca interazione tra loro (come la Corte d’appello ha fatto e com’è necessario fare: v. Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076), depongono senza alcuna forzatura logica per l’esercizio di un’attività illecita protratta nel tempo e non occasionale e, quindi, per l’esclusione della levità dei fatti: ovvero il dato ponderale (pari a circa 94 dosi medie singole di cocaina e 3.341 di marijuana), la diversa tipologia di sostanze detenute, il rinvenimento di appunti costituenti una vera e propria contabilità.

3. Vieppiù generico è il terzo motivo di ricorso, che si risolve nell’espressione di una mera opinione dissenziente, fondata su un dato indimostrato ed altamente improbabile (il consumo, ossia, di 20-30 grammi al giorno di sostanza, peraltro introdotto in giudizio soltanto attraverso le dichiarazioni dell’imputato).

Tace, invece, il ricorrente sugli elementi valorizzati in sentenza, anche in questo caso plurimi e concludenti: il già rammentato dato quantitativo; la ripartizione della sostanza in più confezioni e l’occultamento di queste in vari punti della casa; la contestuale detenzione di sostanza di altro tipo e, per ammissione dello stesso interessato, destinata allo spaccio; la disponibilità di strumenti per il confezionamento in dosi al consumo; la deperibilità della marijuana, che, in caso di uso soltanto personale, rende antieconomica, e quindi irragionevole, la predisposizione di scorte particolarmente consistenti.

4. E’ fondato, invece, il quarto motivo d’impugnazione.

La duplicità dei reati di ricettazione è stata ritenuta – parrebbe d’intendere, poiché sul punto la sentenza non si diffonde in spiegazioni – sulla base della pluralità dei reati-presupposto commessi in relazione al medesimo oggetto, ovvero il fucile d’assalto “AK 47”, di fabbricazione albanese, con matr. n. 099058-90: nel capo F), quest’ultimo è stato considerato quale oggetto proveniente dal delitto di porto e detenzione illegali di armi; nel capo G), invece, la provenienza delittuosa sarebbe stata individuata con riferimento al delitto di alterazione di armi, previsto dall’art. 3, legge n. 110 del 1975, in ragione del rilevato accorciamento della canna e della filettatura del vivo di volata, funzionati all’apposizione di silenziatori.

Ritiene il Collegio che si tratti di un’artificiosa duplicazione di reati.

Perché ricorra il delitto di ricettazione, secondo il chiaro disposto dell’art. 648, cod. pen., è necessario e sufficiente che le varie condotte ivi tipizzate abbiano ad oggetto «cose provenienti da un qualsiasi delitto»: nulla, invece, consente di ritenere che debba altresì trattarsi di un singolo delitto.

Del resto, anche secondo un criterio assiologico di offensività, la circostanza per cui una determinata cosa rappresenti il prodotto – in senso strettamente causale, e non nel significato giuridico del termine – di una o più condotte delittuose non è di per sé significativa, rilevando, piuttosto, la maggiore o minore gravità di quelle.

Va, dunque, affermato il principio per cui, “in tema di ricettazione, qualora la condotta di acquisto, ricezione od occultamento abbia ad oggetto un’unica cosa, il reato è unico, pur quando quest’ultima provenga da una pluralità di delitti”.

Ne riviene, nel caso specifico, che i fatti contestati ai capi F) e G) della rubrica debbono essere considerati come unico delitto, con conseguente esclusione dell’aumento di pena previsto per uno di essi.

Dovendo rinviarsi al giudice di merito per la rideterminazione della pena in relazione a quanto già osservato sub 1, è opportuno devolvere allo stesso l’individuazione del trattamento sanzionatorio anche per la parte in esame.

5. In ragione della indicata necessità di una nuova determinazione della pena nel suo complesso, il quinto motivo di ricorso risulta superato e, perciò, irrilevante.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata sulla misura della pena, in relazione ai capi A), B), C), F) e G) e rinvia per nuovo giudizio sui capi e punti alla Corte di appello di Perugia.

Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.