Rapina al supermercato: stessa pena per chi agisce e chi fa da ‘palo’ (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 7 luglio 2021, n. 25900).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMMINO Matilde – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Nazzareno, nato a (OMISSIS) il 25/05/19xx;

avverso la sentenza del 21/04/2020 della Corte di Appello di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione della causa svolta dal consigliere Dott. Giuseppe Sgadari;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Giuseppina Fodaroni, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Appello di Torino, in esito a giudizio abbreviato, confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Torino del 25 luglio 2019 che aveva condannato il ricorrente alla pena di anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro 1000 di multa in relazione al reato di rapina ad un supermercato.

2. Ricorre per cassazione (OMISSIS) Nazzareno deducendo, con unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, non avendo la Corte valutato il ruolo marginale del ricorrente — che aveva funto da palo – rispetto a quello del correo, suo germano, (OMISSIS) Marco, gravato da precedenti penali molto più gravi, circostanze che avrebbero dovuto portare ad un trattamento sanzionatorio non equiparato a quello del fratello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato e generico.

Il ricorrente non tiene conto, ribadendo quanto aveva formato oggetto dell’atto di appello, della motivazione della sentenza della Corte di merito, che ha ritenuto, sulla base di accertamenti di fatto qui non rivedibili, che fosse giustificato un identico trattamento sanzionatorio ai due imputati in quanto la loro personalità era per entrambi negativa (tanto da contestarsi la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale), il fatto era grave ed il ruolo di palo assunto dal ricorrente non poteva essere ritenuto minimale perché egli aveva agito in pieno concorso con il fratello, essendosi travisato in volto e fuggendo con lui ed il bottino, dimostrando pari intensità di dolo e mettendo in essere, nello specifico, una condotta rafforzativa non secondaria.

Del resto, la Corte, in punto di diritto, ha anche citato il pacifico principio secondo cui, non è riconoscibile la circostanza della partecipazione di minima importanza — pure richiesta con il ricorso al pari della esclusione della recidiva senza, tuttavia, alcuna motivazione a corredo – a colui che, nel corso di una rapina, abbia ricoperto il ruolo di “palo”.

L’opera del cosiddetto “palo” non ha importanza minima nella esecuzione del reato poiché tale funzione facilita la realizzazione dell’attività criminosa e rafforza l’efficienza dell’opera dei correi, garantendo l’impunità di costoro (Sez. 2, n. 9491 del 07/06/1989, dep. 1990, Pedori, Rv. 184773 ed altre conformi come Sez. 2, n. 21453 del 05/03/2019, Vitiello, Rv. 275817).

La motivazione offerta è esente da vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede, dovendosi rammentare che la pacifica giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio, ritiene che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario; Sez. 3 n. 1182 del 17/10/2007 dep. 2008, Cilia, rv. 238851).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.

Sentenza a motivazione semplificata.

Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 26.05.2021.

Depositato in Cancelleria il 7 luglio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.