L’imputato, dopo aver revocato il mandato del proprio avvocato, dichiara di non essere stato messo a conoscenza del processo. Infondato (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 19 luglio 2021, n. 27965).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. MOROSINI Maria Elisabetta – Rel. Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) FRANCO nato a (OMISSIS) il 22/09/19xx;

avverso l’ordinanza del 28/01/2021 della CORTE di APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere, Dott.ssa Elisabetta Maria Morosini;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Luigi Cuomo, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Venezia ha respinto l’istanza di rescissione del giudicato, proposta ai sensi dell’art. 629-bis, cod. proc. pen. da (OMISSIS) Franco, in relazione alla sentenza di condanna per i reati di furto aggravato e sostituzione di persona, pronunciata dal Tribunale di Venezia il 24 giugno 2020, divenuta irrevocabile il 9 settembre 2020.

1.1. La richiesta di rescissione si fondava sui seguenti elementi:

– il processo si è svolto in assenza dell’imputato per il suo intero corso;

– l’imputato aveva nominato difensore di fiducia l’avv. Riccardo (OMISSIS) presso il cui studio aveva eletto domicilio;

– l’avv. (OMISSIS) aveva rinunciato alla difesa il 7 giugno 2016, e l’autorità giudiziaria aveva nominato un difensore di ufficio;

– in forza dell’elezione di domicilio, tutte notifiche al ricorrente sono state effettuate presso lo studio del primo difensore, anche dopo la rinuncia al mandato; con tale modalità, in particolare, era stato notificato il decreto di citazione diretta a giudizio in data 15 giugno 2018;

– il ricorrente non ha mai avuto conoscenza del processo, ha saputo della condanna soltanto il 4 novembre 2020 quanto ha ricevuto l’ordine di esecuzione impartito dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia.

1.2. La Corte di appello di Venezia ha respinto la richiesta, rilevando che:

– secondo il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità la rinuncia al mandato difensivo non fa venir meno l’efficacia dell’elezione di domicilio presso il suo studio eseguita dall’imputato, se essa non viene espressamente revocata;

– il principio espresso dalle Sezioni Unite n. 23948 del 2020 riguarda la diversa ipotesi della elezione di domicilio presso il difensore di ufficio e non si attaglia al caso in questione afferente dalla elezione di domicilio presso il difensore di fiducia;

– il rapporto professionale si era correttamente instaurato con la nomina fiduciaria; l’avviso dì conclusione delle indagini preliminari era stato ritualmente notificato all’indagato presso lo studio del difensore dì fiducia; ove l’imputato avesse ritenuto quella elezione di domicilio inidonea a garantire le proprie esigenze di conoscenza e informazione circa l’esito del processo, avrebbe dovuto revocarla o modificarla.

2. Avverso il provvedimento ricorre il condannato, tramite il difensore, proponendo un unico motivo con il quale denuncia violazione di legge penale e vizio di motivazione.

2.1. Il decreto di citazione a giudizio è stato notificato in data 15 giugno 2018 al difensore di ufficio dell’imputato e all’avv. (OMISSIS), che però aveva rinunciato al mandato. Il ricorrente, dunque, non ha avuto conoscenza della vocatio in ius.

2.2. La Corte di appello di Venezia confonde le regole che sovrintendono alla ritualità formale della notificazione con quelle che governano la disciplina dell’assenza.

Le Sezioni Unite con la sentenza n. 23948 del 2020 hanno espressamente stabilito che la nomina di un difensore di fiducia che poi ha rinunciato al mandato o che sia stato revocato non consente di procedere alla celebrazione del processo, poiché non può dirsi la certa la conoscenza in capo all’imputato della vocatio in ius.

Nel caso in rassegna il difensore di fiducia aveva rinunciato al mandato difensivo due anni prima della notifica del decreto di citazione a giudizio e non vi sarebbe prova che (OMISSIS) abbia avuto conoscenza del processo a suo carico non avendo egli avuto alcun contatto “né con il difensore di ufficio né con il difensore rinunciante”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. L’istituto della rescissione del giudicato ha formato oggetto di un importante intervento delle Sezioni Unite che, con la sentenza Ismail (n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020), hanno ridisegnato in maniera analitica e sistematica i contorni dell’istituto.

Occorre ripercorre le linee essenziali delle Sezioni Unite Ismail, rilevanti ai fini della decisione del presente processo.

2.1. Con la riforma di cui alla legge 28 aprile 2014, n. 67 è stato introdotto il processo in assenza “volontaria” dell’imputato.

Sul piano generale il modello è semplice e chiaro: «l’imputato deve essere portato direttamente e personalmente a conoscenza della vocatio in ius restando in sua facoltà il non partecipare al processo. Solo in tale caso, il processo si svolge in sua assenza, venendo rappresentato dal suo difensore.

Nel caso in cui, invece, non sia acquisita la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio, il processo verrà sospeso».

Il giudice può celebrare il processo solo allorché abbia la prova che l’imputato non si è presentato in udienza per sua libera scelta, conoscendo il contenuto delle accuse nonché la data ed il luogo del processo.

A tale principio si aggiungono, però, due ipotesi mirate ad impedire “false irreperibilità” e a “facilitare” per il giudice l’accertamento della conoscenza della vocatio in ius:

– si prevedono situazioni che, nell’ottica della semplificazione dell’accertamento della “consapevolezza” della assenza, consentono di ritenerla anche senza avviso personale a mani dell’imputato;

– alla conoscenza del contenuto del processo e del tempo e luogo di fissazione dell’udienza si equipara la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o dei suoi atti.

2.2. Poiché il presupposto è che si sia proceduto con la certezza sostanziale che l’imputato fosse a conoscenza del processo, i meccanismi riparatori richiedono l’accertamento di eventi straordinari che abbiano impedito la partecipazione al processo.

Nel caso in cui sia dimostrata la impossibilità di presenziare al processo, se questo sia ancora in corso (art. 420-bis, comma 4, per il primo grado e 604, comma 5 -bis per il grado di appello) oppure sia esaurito (art. 629-bis), comunque, di fatto, si riparte (quasi) dall’inizio con facoltà per l’imputato di ottenere l’integrale ripetizione di tutte le attività processuali rilevanti per la sua difesa (fruizione del termine per la richiesta di riti alternativi o raccolta delle prove).

In particolare l’art. 629-bis cod. proc. pen. stabilisce che il condannato in assenza può ottenere la rescissione del giudicato con trasmissione degli atti al giudice di primo grado «qualora provi che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo».

2.3. Nella apparente linearità di tale sistema si inseriscono quei particolari “indici di conoscenza” del processo che sono:

– la dichiarazione od elezione di domicilio;

– l’applicazione delle misure precautelari dell’arresto e del fermo o la sottoposizione a misura cautelare;

– la nomina di un difensore di fiducia.

Si tratta di meri indicatori che richiedono però una attenta valutazione del caso concreto e non assurgono al valore di presunzioni, neppure di carattere relativo.

2.4. Le Sezioni Unite Ismail richiamano l’attenzione sul fatto che, ai fini della conoscenza del processo, la situazione «dell’imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia» presenti caratteri di effettività rispetto alle modalità con cui sono realizzate: la scelta del domicilio deve essere “seria” e reale; la misura cautelare deve consentire l’effettiva conoscenza del procedimento; la nomina fiduciaria deve realizzare un effettivo rapporto con il difensore che accetti la nomina.

2.4.1. Il punto della elezione di domicilio viene ampiamente scrutinato dalle Sezioni Unite che enucleano un principio – poi riversato nella massima (Rv. 279420) citata nel testo del provvedimento qui impugnata.

Le Sezioni Unite Ismail, richiamando le Sezioni Innaro (n. 28912 del 28/02/2019, Rv. 275716) chiariscono che occorre stabilire se, nel caso concreto, vi sia stata l’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’imputato e, quindi, se si siano o meno realizzate le condizioni da cui dedurre l’esistenza di un rapporto di informazione tra il legale (in quel caso nominato di ufficio) e l’assistito.

La prova di un tale rapporto effettivo è ritenuta necessaria al fine di verificare se l’imputato sia, effettivamente, venuto a conoscenza della vocatio in iudicium oppure, se nonostante «le formalmente regolari notifiche» presso il domiciliatario, non abbia avuto alcuna consapevolezza dell’inizio del processo a suo carico.

In sostanza le Sezioni Unite richiedono un effettivo collegamento tra la persona ed il luogo eletto. Se un tale collegamento non vi sia, il domicilio sarà “inidoneo”.

2.4.2. Anche la nomina del difensore di fiducia va letta nel senso di effettività: perché abbia il rilievo che le assegna l’art. 420-bis, comma 2, sul presupposto del regolare rapporto informativo tra difensore ed assistito, va intesa quale nomina accettata.

2.5. L’art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen. indica i casi in cui, sul presupposto ovviamente della regolarità delle notifiche, in giudice in fase di costituzione delle parti, verificati gli avvisi, possa celebrare il processo ritenendo che vi sia assenza “volontaria”.

Il fondamento del sistema è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell’accusa e del giorno e luogo della udienza e, quindi, in necessaria applicazione dei principi sopra richiamati, il processo in assenza è ammesso solo quando sia raggiunta la certezza della conoscenza da parte dell’imputato.

Letto nel contesto della disposizione, quindi, l’aver eletto domicilio, l’essere stato sottoposto a misura cautelare, aver nominato il difensore di fiducia, sono situazioni che consentono di equiparare la notifica regolare ma non a mani proprie alla effettiva conoscenza del processo.

Non si tratta, quindi, di una presunzione che consenta di ritenere conosciuto il processo e non più necessaria la prova della notifica, ma di casi in cui, nelle date condizioni, è ragionevole ritenere che l’imputato abbia effettivamente conosciuto l’atto regolarmente notificato secondo le date modalità». (n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail).

A tali situazioni la sentenza Ismail contrappone quelle, ben distinte, caratterizzate da una notifica impossibile e tra queste, con il significato appena detto, cita l’aver nominato un difensore di fiducia che ha poi rinunciato al mandato (passaggio motivazionale evocato, estrapolandolo dal contesto, alla pagina 8 del ricorso).

2.6. Occorre rammentare, infine, che l’art. 420-bis cod. proc. pen., per la difesa dai “finti inconsapevoli”, valorizza, quale unica ipotesi in cui possa procedersi pur se la parte ignori la vocatio in ius, la «volontaria» sottrazione alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento».

2.7. Il raccordo tra quest’ultima previsione dell’art. 420 bis cod. proc. pen. e la disciplina di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen., viene tracciato, con particolare efficacia, nella sentenza Sez. 5, n. 31201 del 15/09/2020, Ramadze.

In detta pronuncia la Corte di cassazione afferma che il significato del requisito della «incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo» di cui all’art. 629-bis cod. proc. pen. è quello di impedire all’assente «pur sempre volontario» l’accesso a un nuovo giudizio, a colui cioè che si sia volontariamente posto nelle condizioni di non ricevere adeguata notizia del processo, dimostrando così implicitamente di non volervi partecipare.

«Dunque, l’art. 629-bis cod. proc. pen. attribuisce al giudice della rescissione il compito di valutare la sintomaticità in tal senso dei comportamenti tenuti all’imputato rimasto assente nel corso dell’intero processo, soprattutto nel caso in cui questi abbia avuto cognizione della pendenza del procedimento, senza instaurare però alcun automatismo in riferimento alle condizioni che, ai sensi dell’art. 420-bis c.p.p., autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza.

Automatismo a cui peraltro, come chiarito dalle citate Sezioni Unite Ismail Darwish, nemmeno quest’ultimo può ricorrere, dovendo per l’appunto, nella ricorrenza di tali condizioni comunque accertare l’effettiva adeguata conoscenza del processo ricevuta dall’assente e comunque l’eventuale volontaria sottrazione a tale conoscenza» (Sez. 5, n. 31201 del 15/09/2020, Ramadze, in motivazione).

Alla luce del contesto normativo in cui tale previsione deve essere calata, la pur ambigua terminologia utilizzata dal legislatore non può essere interpretata come onere di fornire la “prova”, nel senso tecnico-processuale inteso, della propria mancata conoscenza del processo, con contestuale liberazione del giudice da qualsivoglia accertamento in caso di mancato assolvimento dello stesso (Sez. 5, n. 31201 del 15/09/2020, Ramadze, in motivazione).

In tal senso già si sono sostanzialmente espresse le Sezioni Unite con la sentenza Burba (Sez. U, n. 36848 del 17/07/201), che, seppure incidentalmente, ha precisato come il suddetto onere probatorio sostanzialmente «implica l’allegazione di una documentazione a sostegno» e non preclude al giudice investito dalla richiesta di rescissione l’acquisizione «di documentazione integrativa, potendo essere necessario chiarire aspetti ambigui o colmare possibili lacune o verificare la rispondenza della documentazione esibita alla realtà processuale».

3. L’ordinanza impugnata perviene a una soluzione corretta, sulla scorta di una motivazione non proprio calzante che può essere emendata dalla Corte di cassazione venendo in rilievo una quaestio iuris.

3.1. La vocatio in ius, cioè il decreto di citazione a giudizio, è stato notificato all’imputato nel domicilio da lui eletto presso l’originario difensore di fiducia, che poi aveva rinunciato al mandato.

Occorre allora stabilire se è ragionevole ritenere che l’imputato abbia effettivamente conosciuto l’atto regolarmente notificato.

La risposta è positiva, avuto riguardo ai caratteri della situazione concreta, ricavabili dall’ordinanza impugnata e non contestati dal ricorrente:

– la scelta del domicilio è stata “seria” e reale, sussistendo un apprezzabile rapporto tra il soggetto e lo studio di colui che è stato il suo difensore di fiducia;

– sussiste un regolare rapporto informativo tra difensore ed assistito, poiché la nomina fiduciaria venne accettata.

Il difensore di fiducia, ancora investito di tale ruolo, ricevette presso il suo studio, la notifica all’imputato dell’avviso ex art. 415-bis cod. proc. pen..

La circostanza che il difensore dì fiducia abbia rinunciato al mandato in un momento successivo non comporta, in assenza di specifici elementi non allegati dal ricorrente, il venir meno della idoneità (già positivamente testata) del domicilio eletto presso lo studio del legale.

È condivisibile, quindi, la decisione della Corte di appello che, sulla scorta di tali elementi, ha ritenuto che l’imputato abbia avuto conoscenza della vocatio in ius o che, comunque, egli si sia volontariamente sottratto ad essa, proprio perché i presidi di una effettiva conoscenza erano efficaci, operanti e idonei.

3.2. In sede di procedimento ex art. 629-bis cod. proc. pen., spettava allora al condannato dedurre e allegare (nei termini di cui sopra al paragrafo 2.7), che la mancata conoscenza della celebrazione del processo sia stata «incolpevole».

Ciò non ha fatto, poiché il ricorso è tutto calibrato sulla “questione giuridica” della “perdurante” idoneità del domicilio eletto; mentre non viene dedotta l’omessa valutazione di elementi concreti incidenti su tale profilo.

4. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, l’11/06/2021.

Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.