L’imputato, cittadino cinese, aveva diritto alla traduzione del decreto di citazione per il giudizio di appello (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 2 agosto 2021. n. 30143).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere –

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. TRIPICCIONE Debora – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Min, nato nello Zhejiang (Repubblica Popolare Cinese) l’11/4/19xx;

avverso la sentenza del 13 gennaio 2021 emesso dalla Corte di appello di Napoli;

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Debora Tripiccione;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vincenzo Senatore, che ha concluso per l’annullamento della sentenza limitatamente al capo b) dell’imputazione in quanto estinto per prescrizione e la dichiarazione di inammissibilità nel resto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 gennaio 2021 la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di condanna di (OMISSIS) Min alla pena ritenuta di giustizia per i reati cui agli artt.322 e 712 cod. pen. unificati sotto il vincolo della continuazione.

2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia di (OMISSIS) Min articolando tre motivi di seguito riportati nei limiti strettamente necessari per la motivazione:

– violazione degli artt. 143 e 178, lett. c), cod. proc. pen. per l’omessa traduzione in lingua cinese sia del decreto di citazione per il giudizio di appello che dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Napoli all’udienza del 7 dicembre 2018 con la quale era stata disposta la correzione del capo b) dell’imputazione;

– estinzione per prescrizione del reato di cui al capo b) dell’imputazione (art. 712 cod. pen.) in quanto maturata alla data del 5 ottobre 2019.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e, per l’effetto, va disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo b) dell’imputazione in quanto estinto per prescrizione, mentre, con riferimento al capo a) dell’imputazione, va disposta la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli per l’ulteriore corso del giudizio.

2. E’ innanzitutto fondata la censura relativa alla omessa traduzione in lingua cinese del decreto di citazione per il giudizio di appello.

La Corte territoriale ha rigettato la relativa eccezione aderendo all’orientamento ermeneutico che esclude l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta che abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia, non verificandosi in tale ipotesi alcuna lesione concreta dei suoi diritti (si veda, in tal senso, tra le tante, Sez. 5, n. 57740 del 06/11/2017, Ramadan, Rv. 271860; Sez. 2, n. 31643 del 16/03/2017, Afadama, Rv. 270605).

Detto orientamento ermeneutico è stato inizialmente declinato con riferimento alla condizione processuale dell’imputato alloglotta irreperibile o latitante.

Si è, infatti, affermato che le regole sulla nomina dell’interprete e sulla traduzione degli atti sono funzionali alla garanzia della corretta comprensione di ciò che accade nel processo, sempre che lo stranieri partecipi o intenda partecipare attivamente al processo e voglia comprendere ciò che in esso accade in modo da poter valutare personalmente le strategie processuali che ritiene di intraprendere (così, testualmente, Sez. 6, n. 47550 del 13/11/2007, Homrani).

L’obbligo di traduzione degli atti è stato, pertanto, escluso nell’ipotesi in cui l’imputato alloglotta che non comprenda la lingua italiana si sia reso latitante o irreperibile, così da imporre la notificazione degli atti processuali che lo riguardano mediante consegna al difensore, non verificandosi in tal caso alcuna lesione concreta dei suoi diritti (tra le tante, Sez. 6, n. 47896 del 19/06/2014, Rv. 261218; Sez. 6, n. 28010 del 11/06/2009, Anglani, Rv. 244429; Sez. 6, n. 47550 del 13/11/2007, Homrani, Rv. 238224).

Il medesimo principio di diritto è stato successivamente ribadito, sempre in relazione alla condizione processuale dell’imputato irreperibile o latitante, anche a seguito della riformulazione dell’art. 143 cod. proc. pen., da Sez. 2, n. 12101 del 17/02/2015, Le Wet, Rv. 262773.

In tale arresto la Corte ha, infatti, affermato che l’obbligo di traduzione degli atti, anche quello previsto dal d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32 in attuazione della Direttiva 2010/64/UE del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, ha un senso unicamente rispetto agli atti processuali cui l’imputato alloglotta partecipi personalmente o che comunque giungano nella sua sfera di conoscenza o di conoscibilità in quanto soltanto in queste ipotesi acquista rilievo l’esigenza di assicurare la piena comprensione degli atti stessi da parte del prevenuto che non conosca la lingua italiana.

Al fine di evitare prassi abusive riconducibili alle ipotesi di volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento o di suoi specifici atti, la Corte ha, invece, escluso la sussistenza dell’obbligo in questione nei casi in cui gli atti debbano notificarsi al solo difensore, ritenendo che, in tali casi, il destinatario della comunicazione sia perfettamente in grado di comprenderne il contenuto e, eventualmente, di riferirlo al proprio assistito, qualora mantenga dei contatti con quest’ultimo, nella lingua da essi prescelta.

L’orientamento in esame ha, infine, registrato un’ulteriore progressione ermeneutica con la sua estensione, non solo ai casi di latitanza o di irreperibilità dell’imputato, bensì anche alle ipotesi in cui lo stesso abbia eletto domicilio presso il difensore di fiducia (Sez. 2, n. 31643 del 16/03/2017, Afadama, Rv. 270605; Sez. 5, n. 57740 del 06/11/2017, Ramadan, Rv. 271860).

In particolare la sentenza Ramadan, richiamando quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 136 del 2008, ha affermato che la nomina del difensore di fiducia comporta l’insorgere di un rapporto di «continua e doverosa informazione» da parte del difensore verso il cliente, che comprende, non solo la tempestiva informazione sugli atti processuali che interessano il cliente, ma anche «l’obbligo-onere di traduzione degli atti nella eventuale diversa lingua del cliente alloglotta o, quantomeno, di farne comprendere allo stesso comunque il significato».

2.1 Vi è tuttavia un altro orientamento ermeneutico, al quale il Collegio intende prestare adesione, che, ponendosi in contrasto con i due più recenti arresti sopra esaminati, ha affermato che l’obbligo di traduzione dell’atto in favore dell’imputato alloglotta sussiste – a pena di nullità ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen. – anche nel caso in cui egli abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione (Sez. 1, Sentenza n. 23347 del 23/03/2017, Ebrima, Rv. 270274 in tema di notifica dell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari; Sez. 5, n. 48916 del 28/09/2016, Dutu, Rv. 268371).

Secondo tale orientamento, infatti, l’elezione di domicilio presso un difensore attiene solo alle modalità di notificazione degli atti processuali e non comporta la rinuncia dell’indagato alloglotta alla traduzione degli atti nella propria lingua (diritto previsto dall’art. 143 cod. proc. pen., in attuazione della Direttiva 2010/64/UE ed in accordo con l’articolo 6, par. 3, lett. a), CEDU) né alla lettura ed all’esame degli atti che lo riguardano (necessari per la predisposizione di una più efficace difesa), svolgendo tale elezione, soprattutto ove si tratti di individuo privo di recapiti stabili, la funzione opposta di garantirgli una più sicura conoscenza degli stessi. Attraverso l’elezione di domicilio, dunque, l’indagato sceglie sia il luogo (come nel domicilio dichiarato) che la persona alla quale devono essere notificati gli atti processuali (Sez. 6 , n. 30873 del 18/09/2020, D’Antino, Rv. 279850).

Tuttavia, il rapporto fiduciario che lega l’indagato al suo domiciliatario, quand’anche lo stesso sia il difensore di fiducia, comporta a carico di quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti al primo destinati e di tenerli a sua disposizione (Sez. 3, n. 22844 del 26/5/2003, Barbiera, Rv. 224870), ma non di certo, come sostenuto dal contrario indirizzo ermeneutico, anche l’obbligo-onere di traduzione degli atti nella diversa lingua del cliente alloglotta, o di farne comprendere al suo assistito il significato.

Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta, non irreperibile né latitante, sussiste – a pena di nullità ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen. – anche nel caso in cui egli abbia eletto domicilio presso il difensore, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione.

2.2 Nella fattispecie in esame, dunque, non essendo l’imputato latitante o irreperibile, ed avendo lo stesso semplicemente eletto domicilio presso il difensore di fiducia, lo stesso aveva diritto alla traduzione del decreto di citazione per il giudizio di appello.

Tale omissione ha determinato una nullità, sia pure a regime intermedio, del decreto di citazione che, essendo stata tempestivamente eccepita nel giudizio di appello non può ritenersi sanata (si veda, in tal senso, Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, Palumbo, Rv. 229539; Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 269028 secondo cui “In tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’imputato, mentre non ricorre nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen.”).

2.3 Deve, invece, escludersi che detta nullità possa estendersi anche al verbale di udienza del 7 dicembre 2018 in cui era stata disposta la correzione del capo b) dell’imputazione.

Rileva, infatti, il Collegio che il motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità oltre che per difetto di un adeguato confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata.

Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, il provvedimento in questione non ha comportato alcuna modifica sostanziale dell’imputazione, essendosi limitato a correggere l’errore materiale concernente la duplicazione del riferimento alla somma di 460 euro in relazione sia all’offerta formulata dall’imputato che alla merce di sospetta provenienza trovata in suo possesso.

Rileva, inoltre, il Collegio che la traduzione di siffatto provvedimento, non rientrando nell’elencazione tassativa degli atti contenuta all’art. 143, comma 2, cod. proc. pen., poteva essere disposta solo ai sensi del terzo comma, allorché la stessa sia essenziale per consentire all’imputato di conoscere l’accusa formulata nei suoi riguardi.

Nel caso concreto, tuttavia, la difesa non risulta aver addotto alcun argomento in merito al pregiudizio conseguito alla mancata traduzione del provvedimento; né tantomeno alcunché è stato dedotto con il ricorso per cassazione.

3. E’, infine, fondato il terzo motivo concernente l’estinzione per prescrizione del reato di cui al capo b) dell’imputazione che indica, quale tempus commissi delicti, l’8/9/2014.

Pertanto, tenuto conto dei ventisei giorni di sospensione (dal 22 marzo 2019 al 19 aprile 2019), la prescrizione del reato è maturata alla data del 4 ottobre 2019.

4. Conseguentemente, vanno disposti, quanto al capo b), l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione e, quanto al capo a), la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli perché, previa rinnovazione della citazione a giudizio dell’imputato, con trascrizione del relativo decreto in una lingua a lui nota, provveda all’ulteriore corso del giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo B) perché il reato è estinto per prescrizione e quanto al capo A) dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Napoli per l’ulteriore corso.

Così deciso il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.