Ingiusta detenzione e termine biennale per richiederne il ristoro: da quando decorre? (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 10 agosto 2021, n. 31432).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. FUMU GIACOMO – Presidente –

Dott. PEZZELLA VINCENZO – Consigliere –

Dott. TANGA ANTONIO LEONARDO – Consigliere –

Dott. CENCI DANIELE – Rel. Consigliere –

Dott. D’ANDREA ALESSANDRO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) FERDINANDO nato a (OMISSIS) il 22/02/19xx;

avverso l’ordinanza del 21/05/2019 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Daniele CENCI;

lette le conclusioni del PG

CONSIDERATO IN FATTO

1. OMISSIS … (custodia cautelare), in relazione alle accuse di concorso nell’omicidio volontario pluriaggravato di Gaetano (OMISSIS), di detenzione e porto illegale di armi e di ricettazione, con aggravante mafiosa, accuse da cui era stato assolto con sentenza della Corte di Assise di appello di Napoli del 6 ottobre 2014, divenuta irrevocabile il 24 novembre 2014.

2. La ragione della ritenuta intempestività sta nell’essere stata depositata la richiesta il 31 marzo 2017, cioè oltre il termine biennale ex art. 315, comma 1, cod. proc. pen., calcolato dai giudici di merito a decorrere dal passaggio in giudicato – avvenuto il 24 novembre 2014 – nei confronti di Ferdinando (OMISSIS) della sentenza assolutoria del 6 ottobre 2014.

La Corte territoriale ha ritenuto il termine biennale non decorrente dalla definitività della sentenza emessa nei confronti dei coimputati per lo stesso fatto, Francesco (OMISSIS) ed Agostino (OMISSIS), il cui ricorso avverso la sentenza di condanna della Corte di Assise di appello di Napoli del 6 ottobre 2014 è stato rigettato dalla Corte di legittimità con sentenza n. 19576 dell’8 aprile 2015.

3. Ricorre per la cassazione del provvedimento, tramite difensore, Ferdinando (OMISSIS), che si affida ad un solo motivo con il quale denunzia violazione di legge (art. 315, comma 1, cod. proc. pen.).

3.1. Assume il ricorrente la illegittimità e la erroneità dell’ordinanza dichiarativa della inammissibilità della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, poiché in contrasto con il principio di diritto puntualizzato dalla sentenza, già richiamata nell’originaria istanza, di Sez. 3, n. 3891 del 22/12/2010, dep. 2011, Motta, Rv. 249158, secondo cui «Ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione, l’impugnazione dei coimputati impedisce, sino a definizione della stessa, che la sentenza di proscioglimento divenga irrevocabile».

3.2. La pronuncia testé richiamata è stata espressamente ritenuta dalla Corte di appello «non attinente al caso di specie […] in quanto il prosieguo del giudizio a seguito del ricorso per cassazione proposto dai coimputati la cui responsabilità fu confermata, rigettato dalla Corte, in mancanza di una impugnativa del P.G., non avrebbe potuto comportare alcuna conseguenza sulla pronuncia di assoluzione emessa nei confronti del (OMISSIS)» (così alle pp. 1-2 dell’ordinanza impugnata).

3.3. Tale ragionamento viene sottoposto a censura dal ricorrente, che rileva che il principio di diritto richiamato non riconosce alcun ruolo alla eventuale impugnazione del P.G., stabilisce che in presenza di più coimputati al fine dell’avvio del decorso del termine biennale per la presentazione di istanza di riparazione per ingiusta detenzione occorre attendere l’irrevocabilità della intera sentenza, non già della decisione sulla sola posizione di uno degli imputati, che «nessun provvedimento, di nessun tipo, può avere alcuna conseguenza su una pronuncia definitiva di assoluzione.

Ed è difficile sostenere che la Cassazione lo ignorasse, nel momento in cui sentenziava che l’impugnazione dei coimputati impediva l’irrevocabilità della sentenza di proscioglimento ai fini del termine in questione; […] se la sentenza fosse stata impugnata dal P.G., ovviamente non sarebbe passata in giudicato, ma la Cassazione citata non si occupa del P.G., bensì dell’impugnazione dei coimputati e dei suoi effetti ai soli fini del termine di cui all’art. 315 [comma 1, cod. proc. pen.]; si deve affermare che la pronuncia citata è in realtà del tutto attinente al caso di specie, al quale calza come il migliore degli abiti su misura, come fosse stata scritta per esso; […] vi è stata una sentenza di proscioglimento parziale, per un solo imputato; […] i coimputati l’hanno impugnata; […] quindi, l’intera sentenza è divenuta irrevocabile quando il procedimento scaturito da tale impugnazione è stato definito, cioè il 9 aprile 2015, e la domanda del 31 marzo [2017] è perciò tempestiva. Invero, non si può dichiarare inammissibile per inosservanza del termine una domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata in una certa data in ossequio e nel rispetto del principio regolatore della decorrenza del termine (dall’irrevocabilità dell’intera sentenza), come stabilito dalla S. C. di cassazione con solare chiarezza, che lo sottrae a interpretazioni diverse, e mai corretto» (così alla p. 2 del ricorso).

In definitiva, poiché – si assume – il termine biennale decorre dall’8 aprile 2015, esso sarebbe scaduto l’8 aprile 2017 ed il ricorso, depositato il 31 marzo 2017, sarebbe tempestivo e, conseguentemente, illegittima la dichiarazione di inammissibilità per tardività dello stesso.

4. Il Procuratore generale della S.C. nella sua requisitoria scritta dell’8-10 febbraio 2020 ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, ritenendo corretto, già in sé, il ragionamento svolto nell’ordinanza impugnata, oltre che conforme al principio di diritto espresso da Sez. 4, n. 31319 del 06/06/2011, Mesto, Rv. 251758, principio che si richiama.

5. Il Ministero dell’economia e finanze, tramite Avvocatura erariale, il 18 marzo 2021 ha chiesto, in linea principale, dichiararsi inammissibile il ricorso e, in subordine, il rigetto dello stesso; in ogni caso, con vittoria di spese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e deve trovare accoglimento, per le ragioni e nei termini di cui appresso.

2. In primo luogo, non può farsi applicazione del principio di diritto richiamato dal Procuratore generale della S.C., secondo cui «In tema di riparazione per ingiusta detenzione, il termine biennale per la presentazione della domanda – nell’ipotesi di una pluralità di reati, in relazione ai quali sono state emesse plurime ordinanze applicative di misure coercitive detentive, e che hanno successivamente costituito oggetto di diversi procedimenti, poi riuniti sotto il vincolo della continuazione e decisi con unica sentenza di primo grado, in parte di assoluzione (passata in giudicato), in parte di condanna (oggetto di impugnazione) – inizia a decorrere, per i reati in ordine ai quali vi è stata assoluzione, dal passaggio in giudicato della pronunzia assolutoria, a nulla rilevando la prosecuzione in appello per il reato oggetto di condanna» (Sez. 4, n. 31319 del 06/06/2011, Mesto, Rv. 251758); ciò per la seguente ragione.

La vicenda nell’ambito della quale interviene la richiamata decisione, come si comprende dalla lettura della chiara motivazione, è significativamente diversa rispetto a quella oggi in esame e ad essa non risulta sovrapponibile.

In quella occasione, infatti (a differenza di quella oggi in esame), si avevano più reati, in relazione a ciascuno dei quali era stata emessa autonoma ordinanza cautelare, con avvio di distinti procedimenti, poi riuniti in fase dibattimentale e decisi con una sola sentenza di primo grado, parzialmente assolutoria (passata in giudicato) e parzialmente di condanna (oggetto di impugnazione): ebbene, è in tale peculiare contesto che la S.C. ha precisato che il termine biennale per la presentazione della domanda ex art. 315 cod. proc. pen. inizia a decorrere, per i reati in ordine ai quali vi è stata assoluzione, dal passaggio in giudicato della pronunzia assolutoria, a nulla rilevando la prosecuzione in appello per il reato oggetto di condanna, essendo la ritenuta continuazione solo una fictio iuris a favore dell’imputato, che ha funzione quoad poenam ma non elimina l’autonomia a tutti gli effetti, sostanziali e processuali, dei singoli reati pur continuati.

Si tratta di condivisibile affermazione, del resto, del medesimo principio di recente espresso, in termini più generali, da Sez. 4, n. 22627 del 25/01/2017, D’Alessandro, Rv. 270373 («In tema di riparazione per ingiusta detenzione, il termine biennale per la presentazione della domanda decorre dal momento in cui interviene l’irrevocabilità della sentenza di proscioglimento o condanna, l’inoppugnabilità della sentenza di non luogo a procedere, ovvero la notifica del decreto di archiviazione, relativi al reato per il quale è stata disposta la custodia cautelare, a nulla rilevando che il procedimento sia eventualmente proseguito con riferimento a reati ulteriori e diversi da quelli per i quali l’interessato è stato sottoposto alla misura cautelare»).

3. Sgombrato il campo, dunque, da possibili ragioni di confusione rispetto a situazioni non omogenee, compito del Collegio è valutare se il precedente di legittimità invocato dalla difesa sia pertinente o meno e, nell’affermativa, se ad esso occorra dare continuità oppure no.

Come si è anticipato, Sez. 3, n. 3891 del 22/12/2010, dep. 2011, Motta, Rv. 249158, ha precisato che «Ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione, l’impugnazione dei coimputati impedisce, sino a definizione della stessa, che la sentenza di proscioglimento divenga irrevocabile».

In motivazione la S.C., dopo avere ribadito il principio della ininfluenza, ai fini della decorrenza del termine biennale per la proposizione della domanda, della impugnazione della sentenza di proscioglimento ad opera della sola parte civile (conformemente a Sez. 4, n. 26427 del 23/04/2009, Accetta e altro, Rv. 244502: «In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, l’impugnazione della sentenza di proscioglimento ad opera della sola parte civile non incide sulla decorrenza del termine biennale previsto per la proposizione della domanda, atteso che tale gravame non è comunque suscettibile – anche in caso di accoglimento – di modificare il contenuto del provvedimento decisorio ai fini delle statuizioni penali»; in termini, Sez. 4, n. 43712 del 08/10/2003, Min. Econ. e Fin, in proc. Gandellini, Rv. 226417; nello stesso senso, v. già la risalente pronunzia di Sez. 4, n. 256 del 21/02/1994, De Felice, Rv. 198468), ha affermato, testualmente, quanto segue (alla p. 2): «[…]

Nella fattispecie in esame, però, il giudizio di appello era iniziato non solo a seguito dell’impugnazione proposta dalle parti civili ma anche per il gravame proposto dal P.M. e dagli altri coimputati e l’appello del P.M. era stato dichiarato inammissibile per rinuncia soltanto con ordinanza camerale.

L’art. 315 c.p.p. stabilisce che la domanda di riparazione deve essere proposta “entro due anni dal giorno in cui la sentenza di proscioglimento … è divenuta irrevocabile …” e la previsione che la sentenza di proscioglimento debba esser divenuta irrevocabile ha riguardo, quindi, a tutte le determinazioni suscettibili di incidere sulla riparazione.

Se, pertanto, la sentenza sia stata impugnata da alcuno dei coimputati, un eventuale accoglimento della loro impugnazione può ridondare anche a favore dell’imputato ed anche con determinazioni suscettibili di incidere sulla riparazione; mentre è l’impugnazione della sola parte civile che comporta la cristallizzazione delle statuizioni di ordine penale.

A conferma di tutto, va altresì rilevato che questa Corte – con la precedente sentenza di annullamento con rinvio pronunciata il 22.10.2008 – ha già ritenuto che tutti gli imputati siano stati definitivamente assolti con la sentenza dell’11.12.2003, divenuta irrevocabile il 18.5.2004.

La domanda di riparazione per ingiusta detenzione […] deve ritenersi, conseguentemente, tempestiva, sicché l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio [..1]».

4. Ebbene, ritiene il Collegio che il principio che si è appena richiamato necessiti di alcune puntualizzazioni.

4.1. Appare opportuno prendere le mosse dal nucleo centrale del ragionamento che assiste la – stringata – motivazione di Sez. 3, n. 3891 del 22/12/20210, dep. 2011, Motta, e che si articola in tre passaggi:

1) la previsione che la sentenza di proscioglimento debba essere divenuta irrevocabile ha riguardo a tutte le determinazioni suscettibili di incidere sulla riparazione;

2) ne consegue che, se la sentenza sia stata impugnata da alcuno dei coimputati, un eventuale accoglimento della loro impugnazione può ridondare anche a favore dell’imputato ed anche con determinazioni suscettibili di incidere sulla riparazione;

3) l’impugnazione della parte civile, invece, comportando la cristallizzazione delle statuizioni di ordine penale, risulta irrilevante al fine in esame.

4.2. Operata tale premessa, al fine di inquadrare esattamente la questione, è necessario richiamare, sia pure in estrema sintesi, i principi generali che disciplinano l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione.

4.2.1. La riparazione è esclusa secondo l’espresso disposto dell’art. 314 cod. proc. pen., qualora l’istante «vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave», con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all’insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (cfr. Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).

4.2.2. L’indennizzo in questione si risolve «nell’attribuzione di una somma di denaro a riparazione di un pregiudizio lecitamente (perché secondo legge) arrecato, in contrapposizione al risarcimento del danno sempre riferibile ad un fattore causale illecito» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, cit.; Id., Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035).

4.2.3. Quanto alle espressioni “dolo” e “colpa grave”, è stato chiarito (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, cit.) che «dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali (indipendentemente dal fatto di confliggere o meno con una prescrizione di legge), difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dell’id quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo», sicché l’essenza del dolo sta, appunto, «nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento all’evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice del procedimento ripara tono».

4.2.4. Il concetto e la conseguente area applicativa della colpa, invece, vanno ricavati dall’art. 43 cod. pen., secondo cui, come noto, «è colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l’ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere), consegue un effetto idoneo a trarre in errore l’organo giudiziario»: in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti etc.) «pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile […] ragione di intervento dell’autorità giudiziaria con l’adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, cit.).

E in tale ultimo caso la colpa deve essere “grave”, come esige la norma, «connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso» (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, cit.), mentre la eventuale colpa di grado lieve potrebbe rilevare a diverso fine.

4.2.5. Posto, poi, che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano “dato causa” o abbiano “concorso a dar[e] causa” all’instaurazione dello stato privativo della libertà, sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto causale tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà, si rileva che ad escludere il diritto in questione è pur sempre necessario che il giudice della riparazione pervenga alla sua decisione in base a dati di fatto certi, cioè elementi “accertati o non negati” (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, cit.; in conformità, tra le Sezioni semplici, v. Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867), con esclusione, dunque, di dati meramente congetturali.

4.2.6. Si è anche precisato che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un’ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo, invece, deve valutare non già non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma «se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” […].

Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei criteri propri all’azione esercitata dalla parte» (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, cit.; cfr., tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, cit.; Sez. 4, n. 1904 del 11/06/1999, Murina e altro, Rv. 214252; Sez. 4, n. 2083 del 24/06/1998, Nemala, Rv. 212114).

4.2.7. Tutto ciò premesso, il giudice della riparazione deve seguire un iter logico-motivazionale autonomo rispetto a quello del processo penale e costituiscono compito del giudice del merito – ed ecco il punto – la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave.

In particolare, «In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione» (Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238; in senso conforme, v. Sez. 4, n. 19180 del 18/02/2016, Buccini, Rv. 266808).

4.3. Ebbene, in tale quadro di insieme appare logico e coerente affermare che «la previsione che la sentenza di proscioglimento debba essere divenuta irrevocabile ha riguardo, quindi, a tutte le determinazioni suscettibili di incidere sulla riparazione.

Se, pertanto, la sentenza sia stata impugnata da alcuno dei coimputati, un eventuale accoglimento della loro impugnazione può ridondare anche a favore dell’imputato ed anche con determinazioni suscettibili di incidere sulla riparazione» (così alla p. 2 della sentenza di Sez. 3, n. 3891 del 22/12/2010, dep. 2011, Motta, cit.), per le seguenti ragioni.

Nel caso, infatti, del medesimo reato ovvero degli stessi reati addebitati a più imputati in concorso tra di loro, le differenti statuizioni definitive, di condanna ovvero assolutorie, in base alla ricostruzione degli accadimenti ed alle valutazioni giudiziali, anche relative ai concreti comportamenti dei coimputati le cui posizioni hanno avuto diversa sorte processuale, possono influire in tema di an debeatur nella doverosa attività di ricerca, di selezione e di valutazione (che si ‘è già detto essere compito del giudice investito della richiesta di equa riparazione) delle circostanze di fatto idonee ad integrare ovvero ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave.

Ciò affinché la piattaforma decisoria sia la più ampia e la più completa possibile e si scongiurino, in una materia tanto delicata, soluzioni puramente formalistiche non aventi corrispondenza nel reale accadimento dei fatti, come ricostruiti nel contraddittorio processuale dai giudici di merito, con il non remoto rischio – si ribadisce, ove la “vicenda di vita” da accertarsi da parte dei giudici della cognizione penale sia unica – di pronunzie sfavorevoli ad imputati, prima, privati della libertà e, poi, prosciolti con sentenze contenutisticamente povere (peraltro insuscettibili di rimedio impugnatorio nella prospettiva di un arricchimento argomentativo in ipotesi utile ai fini dell’equa riparazione).

Inoltre, nell’evenienza in cui si escluda la ricorrenza di un caso di dolo o di colpa grave da parte del soggetto agente, la esatta ricostruzione dell’accaduto, che, per le ragioni esposte, non può prescindere dalla definitiva irrevocabilità dell’intera vicenda processuale, ben potrebbe avere riflessi sotto il profilo del quantum debeataur, poiché, come noto, «Nel procedimento di equa riparazione per l’ingiusta detenzione il giudice deve valutare anche la condotta colposa lieve, rilevante non quale causa ostativa per il riconoscimento dell’indennizzo bensì per l’eventuale riduzione della sua entità» (Sez. 4, n. 21575 del 29/01/2014, Antognetti, Rv. 259212; in termini, più recentemente, Sez. 4, n. 51343 del 09/10/2018, V., Rv. 274006, e, già in precedenza, Sez. 4, n. 2430 del 13/12/2011, dep. 2012, Papa, Rv. 251739; nello stesso senso, Sez. 4, n. 27529 del 20/05/2008, Okumboro e altro, Rv. 240889, Sez. 4, n. 529 del 21/04/1994, Min. Tesoro in proc. Lin Xian Le, Rv. 198307, e Sez. 4, n. 1365 del 27/11/1992, dep. 1993, Lando, Rv. 193219).

Infatti, il grado della colpa di un imputato al quale è addebitato un reato in concorso ben difficilmente può essere correttamente apprezzato isolatamente ma ben può dipendere dal quantum di colpa dell’agire di altri coimputati per lo stesso fatto, se non già dall’agire intenzionale degli altri compartecipi. Donde si conferma la necessità di una visione la più completa possibile di uno stesso fatto di reato.

Detto in altre parole, un allargamento della piattaforma conoscitiva non può che essere funzionale ad una risposta che sia corretta secondo diritto e, nel contempo, di giustizia.

4.4. Ciò, tuttavia, non senza limiti ma solo a condizione che la parte richiedente indichi in maniera specifica gli elementi emersi nei processi proseguiti a carico dei coimputati che siano idonei ad incidere sulla colpa del ricorrente.

Infatti, se, in linea di principio, la previsione dell’art. 315, comma 2, cod. proc. pen, deve essere intesa come facente riferimento al decorso di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza assolutoria relativa solo al richiedente l’equa riparazione – in conformità a superiori esigenze di consolidamento delle situazioni e di certezza del diritto – non può, tuttavia, trascurarsi, in alternativa all’ipotesi, invero piuttosto semplice, del processo ad un unico imputato per una sola imputazione, la varietà delle situazioni che in concreto possono presentarsi, varietà che pare essere stata tenuta presente dalla S.C., Sez. 3, in occasione della richiamata pronunzia del 2010, ric. Motta: si pensi ai casi, non rari nella prassi, di processi plurisoggettivi con imputazioni tra loro solo soggettivamente ovvero anche oggettivamente connesse, ed in maniera più o meno forte (concorso necessario nel reato, ad es., rissa, incesto; concorso eventuale nello stesso); non senza trascurare le possibilità di riqualificazione da parte del decidente delle condotte contestata dal P.M. all’imputato (ad esempio, da concorso ex art. 110 cod. pen. nel reato a favoreggiamento dell’altrui condotta illecita).

In conseguenza, appare logico e conforme alla ratio dell’istituto della riparazione per ingiusta detenzione ritenere che il giudice di merito adito debba tenere conto del termine biennale decorrente dalla irrevocabilità delle situazioni relative agli altri coimputati, a due condizioni:

1) che non si sia in presenza di un processo per imputazione monosoggettiva;

2) e che il richiedente alleghi puntualmente nella propria domanda ex art. 314 cod. proc. pen. le ragioni per cui la decisione intervenuta nei confronti dei coimputati possa, in tesi, incidere sulla situazione del soggetto che agisce.

Onere di allegazione che appare in linea con la natura essenzialmente civile del procedimento ex art. 314 e ss. cod. proc. pen., sia pure affidato al giudice penale (hanno precisato, infatti, le Sezioni Unite della S.C. che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione ha natura civile, anche se inserito in una procedura che si svolge innanzi al giudice penale: Sez. U, n. 1 del 06/03/1992, P.M. e Min. Tesoro in proc. Fusilli, Rv. 191149; Sez. U, n. 8 del 12/03/1999, Min. Tesoro in proc. Sciamanna, Rv. 213509; in conformità le Sezioni semplici successive, tra cui Sez. 4, n. 3339 del 07/06/2000, Min. Tesoro in proc. Uliano, Rv. 217954; Sez. 3, n. 36195 del 11/07/2001, Min. Tesoro in proc. Rinaldo, Rv. 220069; Sez. 4, n. 23630 del 02/04/2004, Cerminara, Rv. 229074; più recentemente, Sez. 4, n. 18828 del 28/03/2019, Di Zillo, Rv. 276261).

5. Passando ora a “tirare le fila” del ragionamento sinora svolto, deve ritenersi non corretto il ragionamento svolto della Corte di appello nell’ordinanza impugnata, allorché osserva (pp. 1-2) che «il prosieguo del giudizio a seguito del ricorso per cassazione proposto dai coimputati la cui responsabilità fu confermata, rigettato dalla Corte, in mancanza di una impugnativa del P. G., non avrebbe potuto comportare alcuna conseguenza sulla pronuncia di assoluzione emessa nei confronti del Ferrara».

Esso risulta, infatti, assertivo ed eccessivamente rigido a fronte della varietà della pluralità e della varietà delle situazioni che, come si è visto, possono presentarsi.

Discende, invece, delle considerazioni svolte la necessità di annullamento dell’ordinanza impugnata, con contestuale fissazione del seguente principio di diritto: «Ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione, se, in linea di principio, la decorrenza del termine biennale di cui all’art. 315, comma 1, cod. proc. pen. è dal passaggio in giudicato della sentenza assolutoria del richiedente, tuttavia non può escludersi che utili elementi per la valutazione della posizione del richiedente l’equa riparazione possano trarsi anche dalla sentenza che decide irrevocabilmente l’impugnazione proposta dei coimputati per lo stesso fatto o per gli stessi fatti addebitati in concorso necessario o in concorso eventuale ex art. 110 cod. pen.: in tal caso, a condizione che vi sia specifica allegazione del richiedente, il termine biennale deve ritenersi decorrente dalla definizione irrevocabile della posizione degli stessi».

6. Consegue, dunque, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Napoli, che si atterrà al principio di diritto puntualizzato. Il giudice del rinvio provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Napoli cui demanda la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso il 14/04/2021.

Depositata in Cancelleria il 10 agosto 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.