Militare s’appropria della sua tessera di riconoscimento dopo che gli era stata ritirata: è furto (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 25 maggio 2022, n. 20442).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. RUSSO Carmine – Rel. Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE MILITARE PRESSO LA CORTE MILITARE D’APPELLO;

nel procedimento a carico di:

(OMISSIS) PIETRO, nato a Ferentino (FR) il 18/01/19xx;

avverso la sentenza del 13/04/2021 della CORTE MILITARE D’APPELLO;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Carmine Russo;

udite le conclusioni del PG, Dott. Luigi Maria Flamini, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 13 aprile 2021 la Corte militare d’appello, riformando la sentenza di condanna del Tribunale militare di Roma del 19 febbraio 2020, ha assolto l’appuntato scelto della Guardia di Finanza Pietro (OMISSIS) dal reato di furto militare della propria tessera di riconoscimento avvenuto in Gaeta tra il 9 novembre 2018 ed il 28 gennaio 2019.

Si trattava, in particolare, di una tessera ritirata al militare a seguito del collocamento dello stesso in aspettativa per motivi di salute, e sottratta con modalità imprecisate dal plico sigillato in cui era stata riposta in occasione del ritiro, plico custodito in un armadio metallico degli uffici della Scuola nautica presso cui prestava servizio il ricorrente.

Nella sentenza impugnata la Corte militare di appello ha ritenuto non sussistere il dolo di profitto del reato di furto, atteso che la tessera non aveva alcun valore economico e non era esattamente identificabile il vantaggio che la sottrazione aveva determinato in capo all’autore del reato.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il Procuratore generale militare, che con unico motivo lamenta l’erronea applicazione della legge penale, rilevando che il dolo di profitto non deve avere necessariamente un contenuto patrimoniale.

3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale militare presso la Corte di cassazione ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Il difensore dell’imputato ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

Come correttamente rilevato in ricorso, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non consiste necessariamente nella volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma si può anche risolvere nel soddisfacimento di un bisogno psichico (cfr., per tutte, da ultimo, Sez. 4, Sentenza n. 4144 del 06/10/2021, dep. 2022, Caltabiano, Rv. 282605 – 01: in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non ha necessario riferimento alla volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta; in senso contrario, in una fattispecie, però, sensibilmente diversa da quella oggetto del presente giudizio, v. Sez. 5, Sentenza n. 30073 del 23/01/2018, Lettina, Rv. 273561 – 01: in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, va interpretato in senso restrittivo, e cioè come possibilità di fare uso della cosa sottratta in qualsiasi modo apprezzabile sotto il profilo dell’utilità intesa in senso economico/patrimoniale. Nella fattispecie, la Corte non ha ritenuto integrato l’elemento soggettivo del reato di furto nella condotta dell’imputato che aveva sottratto la borsa alla persona offesa solo per finalità “di dispetto, di reazione o come modalità per mantenere il contatto con lei”).

Nel caso in esame, il fine per cui l’appuntato scelto della Guardia di Finanza Pietro (OMISSIS), dopo aver riconsegnato la tessera di riconoscimento, ha deciso di asportarla dal plico sigillato in cui era custodita negli uffici della Scuola nautica, è rimasto inesplorato nella sentenza impugnata.

Nonostante non abbia individuato il fine che ha indotto il militare ad appropriarsi della tessera di riconoscimento, la Corte militare di appello ha comunque pronunciato sentenza liberatoria in considerazione della impossibilità per l’agente di trarre dalla condotta un vantaggio di tipo patrimoniale.

Poiché, però, come detto, la mancanza di vantaggio patrimoniale di per sé non esclude la sussistenza del reato, perché il dolo del furto si può anche risolvere nel soddisfacimento di un bisogno psichico, la pronuncia di appello si rivela non sufficientemente motivata, in quanto la Corte d’appello, prima di trarre le conclusioni sulla rilevanza penale o meno della condotta, avrebbe dovuto individuare il motivo, anche non patrimoniale, che in concreto ha determinato la condotta dell’agente.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte militare di appello, che ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen, si uniformerà al seguente principio di diritto:

in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non ha necessario riferimento alla volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte militare di appello.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.