REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4330/2020 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, Viale (OMISSIS) n. 123, presso lo studio dell’avvocato Stefania (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) Rosa, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma, Via (OMISSIS) (OMISSIS) n. 29, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) Giulia, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7199/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/04/2022 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – Il Tribunale di Roma ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da (OMISSIS) e (OMISSIS), respingendo la domanda di assegno divorzile proposta dalla prima nei confronti del secondo.
2. – La Corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata il 23 novembre 2019, ha rigettato il gravame spiegato avverso la pronuncia di primo grado da (OMISSIS) (OMISSIS).
Il giudice distrettuale ha osservato:
che il matrimonio era durato solo sei anni, non potendosi computare, ai fini della decisione sull’assegno, «eventuale precedente convivenza more uxorio;
che l’istante nulla aveva provato in ordine a un suo concreto apporto alla vita familiare, in termini di rinunce ad aspettative professionali ed economiche collegate alle comuni scelte dei coniugi;
che l’unione matrimoniale era intervenuta in età nella quale i coniugi erano ben consapevoli di aver superato il tempo della vita destinato a porre le basi e a sviluppare una dimensione di realizzazione professionale;
che, anche ammesso che la moglie avesse sacrificato le proprie aspettative di lavoro in conseguenza di scelte di vita familiare, ciò avrebbe al più riguardato un’attività interrotta per pochi anni (attività che, quindi, ben poteva essere ripresa};
che l’unione matrimoniale non era stata all’origine di un patrimonio immobiliare comune, né del patrimonio personale del marito;
che (OMISSIS) (OMISSIS) aveva documentato redditi da lavoro dipendente con particolare riguardo al periodo intercorrente tra il 2007 e il 2009, dal che doveva desumersi che la stessa appellante, anche nel corso della convivenza coniugale, aveva conservato una sua specifica capacità lavorativa;
che quest’ultima non poteva ritenersi venuta a meno nel tempo successivo, essendo indimostrata la relazione causale tra la patologia tiroidea da cui era affetta (OMISSIS) (OMISSIS) e la nominata capacità lavorativa;
che l’istante non aveva fornito prova di essersi attivata per trovare un’occupazione, soprattutto in considerazione delle pregresse, non risalenti, esperienze lavorative;
che la stessa (OMISSIS) disponeva di un prestigioso immobile che le assicurava un introito mensile e godeva, poi, di disponibilità liquide che ammontavano a euro 100.000,00 nel 2014.
3. – La pronuncia di appello è stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) (OMISSIS) con ricorso basato su due motivi.
– (OMISSIS) (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
– Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., per non avere il giudice di merito valutato gli elementi di prova in atti circa il contributo dato dalla ricorrente alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio.
Viene anzitutto lamentato che la Corte di merito avrebbe mancato di considerare il periodo di convivenza more uxorio della coppia, posto che la progettualità della vita in comune era stata d finita fin da allora.
Viene poi osservato che la ricorrente, stante la scelta condivisa con il coniuge di dedicarsi alla cura della famiglia e all’accudimento della figlia, aveva rinunciato a risiedere stabilmente nella propria città e a coltivare, quindi, le proprie aspettative professionali.
Si osserva che il percorso di vita pianificato fin dal periodo della convivenza prematrimoniale si era tradotto negli avanzamenti della carriera parlamentare, accademica e professionale del compagno, a discapito della posizione dell’istante, la quale aveva subìto, nel tempo, un «vertiginoso decremento dei redditi derivanti da lavoro dipendente e assimilato, avendo relegato tale attività ad elemento di contorno della vita familiare tutto orbitante intorno al marito».
Si lamenta, in sintesi, che la Corte di appello non abbia valorizzato quegli elementi da cui dedurre, anche in via presuntiva, una progettualità di coppia resa possibile grazie all’apporto riferibile alla ricorrente.
Il motivo non merita accoglimento.
In base al noto arresto delle Sezioni Unite, l’art. 5, comma 6, I. 898 del 1970 attribuisce, bensì, all’assegno di divorzio una funzio11e assistenziale, riconoscendo all’ex-coniuge il diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi «adeguati» e non possa procurarseli per ragioni obiettive; il parametro dell’adeguatezza ha nondimeno carattere intrinsecamente relativo ed impone una valutazione in cui sono coinvolti gli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, «al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex-coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte qi conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professi<;mali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione d uh ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di cias un coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro» (così Cass. Sez. U. 11 luglio 2018, n. 18287, in motivazione).
Al giudice del merito è dunque richiesto un apprezzamento comparativo delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex-coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto: in tal senso, l’assegno divorzile assume, oltre che natura assistenziale, natura perequativo-compensativa, quale declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (Cass. Sez. U. 11 luglio 2018, n. 18287, cit.).
La ricorrente anzitutto si duole, come si è detto, del mancato apprezzamento dei sacrifici che ella avrebbe affrontato nel periodo di convivenza che ha preceduto il matrimonio: ma, a prescindere da ogni ulteriore rilievo, tale deduzione risulta essere carente di specificità, giacché nel ricorso non è precisato in quali esatti termini una tale questione fosse stata sollevata nel giudizio dì merito e se e come fosse stata provata, in quella se e, la detta convivenza prematrimoniale (che la Corte di merito non dà per accertata, limitandosi a dar conto, in termini generali, delle non rilevanza di una «eventuale» precedente convivenza more uxorio, pag. 8 della sentenza impugnata).
Per il resto, è da osservare che la sentenza risulta essersi conformata ai principi enunciati dalle Sezioni Unite e che quanto rilevato dalla Corte di appello – in ordine, per un verso, al concreto ruolo assunto dalla ricorrente nella vita familiare e, per altro verso, all’evidenza di elementi che, ad avviso della stessa Corte, risulterebbero incompatibili col reale sacrificio di aspettative professionali di (OMISSIS) (OMISSIS) – riflette valutazioni che, in quanto riservate, al giudice del merito, sfuggono al sindacato di legittimità.
Non vale opporre che nella pronuncia impugnata si sia esposto che l’istante abbia conseguito, in costanza del matrimonio (o meglio: negli ultimi tre anni di vita coniugale), redditi decrescenti nel tempo: poiché, come si è visto, la Corte di appello ha rilevato essere mancata la prova del contributo dato dalla ricorrente alla conduzione familiare, la sentenza non ha inteso evidentemente stabilire alcuna correlazione effettuale tra decremento delle entrate e impegni della stessa istante ipoteticamente correlati alle esigenze nascenti dal rapporto matrimoniale.
2. – Il secondo mezzo oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, l. n. 898/1970 per non avere il Giudice di appello verificato, in violazione del principio di affidamento, l’incidenza in concreto degli indicatori di legge, come declinati nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018.
Viene osservato che l’indirizzo interpretativo inaugurato da detta pronuncia imponeva la valorizzazione di profili fattuali non considerati dalla pregressa giurisprudenza; si sostiene che solo la cassazione con rinvio della sentenza impugnata consentirebbe di tutelare l’affidamento incolpevole della parte ricorrente, che aveva conformato la propria attività processuale a una interpretazione che si era consolidata nel tempo, consentendole di rimetterla nei poteri di allegazione e prova in punto di rinunce ad aspetta ive professionali collegabili alle scelte comuni dei coniugi.
Il motivo è inammissibile.
Va in primo luogo rilevato che la rimessione in termini è un rimedio che, sia nella norma dettata dall’art. 184 bis c.p.c., sia in quella di più ampia portata contenuta nell’art. 153, comma 2, c.p.c., presuppone che la parte incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile si attivi con tempestività, non appena le si appalesi la necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa (Cass. 5 agosto 2021, n. 22342; Cass. 11 novembre 2020, n. 25289; Cass. 26 marzo 2012, n. 4841; Cass. 11 novembre 2011, n. 23561).
Nella specie, pertanto, poiché la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 è stata emessa quando la causa era ancora pendente in grado d’appello (quasi un anno prima dell’udienza del 20 giugno 2019, fissata nel grado per la precisazione delle conclusioni), la ricorrente avrebbe dovuto avanzare l’istanza di rimessione in termini nel corso del giudizio di seconde cure.
Può aggiungersi che alla fattispecie è certamente inapplicabile l’istituto del prospective overruling; questo, infatti, garantisce alla parte il diritto di azione e di difesa, neutralizzando i mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, imponendo di ritenere produttivo di effetti l’atto di parte posto in essere con modalità e forme ossequiose dell’orientamento dominante al momento del compimento dell’atto stesso, poi ripudiato, ma non è certamente invocabile per il caso di mutamenti giurisprudenziali che riguardino, come nel caso in esame, norme sostanziali (in termini: Cass. 14 gennaio 2021, n. 552; più in generale, sul tema: Cass. Sez. U. 12 febbraio 2019, n. 4135).
3. – Le spese di giudizio seguono le soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1 comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per li ricorso, se dovuto;
dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza, venga omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, in data 7 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria, addì 23 maggio 2022.