Detenzione abusiva anche se l’arma è guasta ma può essere riparata (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 10 gennaio 2025, n. 1020).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Composta da:

GIUSEPPE SANTALUCIA

FRANCESCO CENTOFANTI

BARBARA CALASELICE

RAFFAELLO MAGI

MICHELE TORIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 13/06/2024 della Corte d’appello di L’Aquila.

Letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Michele Toriello;

sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott. Roberto Aniello, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;

sentito il difensore del (omissis), Avv. (omissis) (omissis) del foro di (omissis), che ha chiesto accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13 giugno 2024 la Corte di appello di L’Aquila ha confermato quella del 9 ottobre 2023 con la quale il Tribunale di Vasto aveva condannato (omissis) (omissis) alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed € 1.250 di multa per i reati di cui agli articoli 23, comma 3, legge 18 aprile 1975, n. 110, 648 e 697 cod. pen., in relazione alla accertata detenzione di un’arma comune da sparo ottenuta mediante la modifica delle canne e del caricatore di uno strumento di segnalazione acustica, e di quattro cartucce cal. 7,65 SB 88; l’arma veniva così descritta nell’editto d’accusa:

«pistola Beretta mod. 85, con la scritta punzonata “Mod. 85 auto K cal. 8 mm K – Italy” con un caricatore inserito e contenente a sua volta n. 4 cartucce cal. 7,65 SB 88, perfettamente funzionante in quanto modificata mediante l’ablazione parziale della canna originaria (occlusa per legge) e l’adattamento al suo posto di una canna metallica ad anima liscia di fabbricazione artigianale, costituita da un tubo metallico opportunamente lavorato, ferromagnetico, verosimilmente in acciaio, e la modifica, altresì, del caricatore, in guisa da renderla una vera e propria arma comune da sparo idonea all’offesa, priva di matricola e, quindi, clandestina».

Incontestata la circostanza che l’arma e le cartucce siano state rinvenute il 30 aprile 2020, nel corso di una perquisizione domiciliare, in una intercapedine dell’abitazione del (omissis), le due sentenze convenivano sul fatto che l’arma, pur se in cattivo stato di conservazione, fosse funzionante, così come accertato a mezzo di perizia durante il giudizio di primo grado, e richiamavano le pronunce con le quali questa Corte ha ritenuto integrato il delitto in contestazione in casi di pistole a salve artigianalmente trasformate in armi da sparo; in punto di elemento soggettivo, la sentenza di primo grado valorizzava la circostanza che l’imputato avesse riferito, nell’udienza di convalida del suo arresto in flagranza, di aver modificato lui stesso l’arma con una mola, dichiarazioni poi ritrattate nel corso dell’esame dibattimentale: se ne inferiva che il (omissis) avesse «un’esperienza» ed «una perizia» che gli avevano consentito di essere «ben consapevole della funzionalità e della conseguente potenzialità lesiva dell’arma» (cfr. pag. 13 della sentenza di primo grado); i giudici di appello, rispondendo al motivo con il quale l’imputato aveva dedotto l’assenza di dolo o, comunque, la configurabilità di un errore di fatto sulla inefficienza dell’arma (essendosi accertato che, quando rinvenne l’arma nel giardino della sua abitazione egli effettuò una prova di sparo, non andata a buon fine: circostanza confermata da un testimone a discarico escusso durante il dibattimento), ritenevano provato l’elemento soggettivo dalla circostanza che il (omissis) avesse occultato l’arma insieme alle cartucce («che senso avrebbe infatti detenere delle munizioni per un’arma inidonea ad esploderle?»: cfr. pag. 4 della sentenza di appello), ed escludevano la configurabilità dell’errore di fatto, «in quanto come si è detto la presenza delle munizioni fa sì che si debba ritenere che l’imputato era ben consapevole di detenere un’arma funzionante» (ibidem).

2. Il difensore di fiducia del Bitritto, Avv. (omissis) (omissis), ha impugnato la sentenza della Corte di appello di L’Aquila, articolando due motivi con i quali deduce violazione di legge e vizio di motivazione.

Rappresenta che nel caso di specie non poteva dirsi superata la soglia del ragionevole dubbio della insussistenza dell’elemento soggettivo, e si duole della ritenuta insussistenza del dedotto errore di fatto: la circostanza che il (omissis) detenesse l’arma unitamente alle cartucce non può di per sé sola escludere che egli non avesse maturato la convinzione dell’inefficienza dell’arma, dovendosi, in tal senso, valorizzare l’esito negativo della prova di sparo che egli compì, alla presenza di un testimone che ne ha dato esaustiva conferma.

Si sarebbe, dunque, in presenza di «un evidente errore sul fatto, la cui inconfigurabilità è motivata in maniera inadeguata, nonché in maniera del tutto illogica rispetto agli atti del processo», essendo stata valorizzata una circostanza in realtà del tutto neutrale, quale la detenzione delle munizioni unitamente alla pistola della quale si discute.

Gli atti in carteggio avrebbero, dunque, dovuto condurre la Corte territoriale ad affermare che il (omissis) «ha ritenuto l’arma in sé un relitto», arma che, peraltro, si presentava in pessimo stato, deteriorata da processi ossidativi, con conseguente esclusione dell’elemento soggettivo dei reati di cui agli articoli 23 legge 18 aprile 1975, n. 110 e 648 cod. pen.

Con il secondo motivo si duole della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, che i giudici di primo grado, pur escludendo la contestata recidiva, avevano motivato sulla base dei suoi precedenti penali che «denotano una sua inclinazione alla commissione dei reati», nonché sulla base «del comportamento processuale dell’imputato, che ha inizialmente fornito, in sede di interrogatorio di garanzia, una versione dei fatti difforme da quella poi riferita durante l’esame dibattimentale», con decisione che i giudici di appello avevano confermato ritenendo che «non sono emerse particolari ragioni idonee a giustificare tale concessione, come un meritevole comportamento processuale, o altre particolari condizioni o circostanze da apprezzare in concreto a favore dell’imputato».

Il ricorrente rappresenta che nell’atto di appello erano stati evidenziati plurimi elementi in grado di giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il cui esame è stato del tutto pretermesso dalla Corte territoriale: la scarsa portata offensiva della condotta, atteso che la contestazione riguardava un’arma rinvenuta casualmente, in pessimo stato di conservazione e, a tutto voler concedere, malfunzionante; la risalenza dei due precedenti penali del (omissis), relativi a fatti commessi nel 2008; la dedizione a stabile e lecita attività lavorativa, poiché il (omissis) è proprietario di una società che gestisce un ristorante ed ha dodici dipendenti.

3. All’odierna udienza il Sostituto Procuratore generale ha chiesto rigettarsi il ricorso.

Quanto al merito della vicenda, ha ritenuto che non sussistano elementi per configurare un errore di fatto sulla funzionalità dell’arma tale da escludere il dolo, essendosi ragionevolmente desunta dalle modalità di detenzione dell’arma (nascosta in una intercapedine, avvolta in uno straccio) la volontà di occultarla, e, dunque, la piena consapevolezza di essere in possesso di un oggetto illecito, cioè di un’arma funzionante; peraltro, le dichiarazioni rese dall’imputato, se pur ritrattate in dibattimento, denotano la sua conoscenza delle manovre necessarie a modificare artigianalmente l’arma.

Quanto alle circostanze attenuanti generiche, il Sostituto Procuratore generale ha evidenziato che la sentenza impugnata è adeguatamente motivata, ed ha ritenuto i motivi di ricorso inidonei ad attaccare quelle motivazioni.

Il difensore dell’imputato ha illustrato i motivi del ricorso, insistendo per l’accoglimento dello stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

2. Quanto alle doglianze con le quali il ricorrente contesta la riconosciuta sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati di cui agli artt. 23, comma 3, legge 10 aprile 1975 e 648 cod. pen., occorre innanzitutto premettere che, perché possa escludersi rilevanza penale al possesso di un’arma, occorre che la stessa sia inidonea in modo assoluto all’impiego cui è destinata, nel senso che, a causa di imperfezioni o anomalie che non possono essere agevolmente rimosse, essa non possa in concreto essere utilizzata (Sez. 1, n. 4556 del 13/03/1981, Schettino, Rv. 148867 – 01): non può, dunque, avere alcun rilievo l’attuale inefficienza dell’arma, poiché solo quando essa risulti totalmente e irrimediabilmente inefficiente viene a mancare quella situazione di pericolo per l’ordine pubblico e per la pubblica incolumità che costituisce la ratio della disciplina dettata dal legislatore.

Poiché nel caso di specie non può dirsi, sulla base di quanto accertato con la perizia balistica svolta nel contraddittorio delle parti, che l’arma, per quanto in cattivo stato di conservazione, fosse del tutto inefficiente per cause non rimovibili, e quindi inidonea in modo assoluto all’impiego, correttamente si è concluso per la sussistenza del reato in contestazione

Ciò posto, nessuna conseguenza in tema di elemento soggettivo può spiegare quanto provato dalla difesa nel corso del giudizio di merito, poiché, come ha correttamente rilevato l’impugnata sentenza, le emergenze istruttorie rivelano che, in conseguenza di quella prova di sparo non andata a buon fine, il (omissis) non maturò certo la convinzione del fatto che l’arma fosse un rottame, ma, più semplicemente, si convinse della sua attuale inefficienza: nessun senso, altrimenti, avrebbe avuto l’occultamento della pistola e del relativo munizionamento in una intercapedine della propria abitazione; l’aver tenuto presso di sé l’arma rivela, dunque, inequivocabilmente l’intenzione del (omissis) di detenerla e di restituirle efficienza, ad esempio attraverso le operazioni artigianali ben conosciute dal ricorrente e descritte al giudice della convalida.

Ed allora, poiché, come si è detto, l’arma non perde tale qualità qualora, pur essendo guasta o priva di pezzi, anche essenziali, possa comunque essere ripristinata nella sua funzione originaria (Sez. 1, n. 895 del 21/06/1985, Para, Rv. 171652 – 01), utilizzando pezzi di ricambio o adottando altri accorgimenti in mancanza dei pezzi originali (Sez. 1, n. 28796 del 04/06/2018, Contaldo, Rv. 273297 – 01; Sez. 1, n. 35648 del 04/07/2008, Saitta, Rv. 240677 – 01), deve concludersi nel senso che dalla condotta complessivamente posta in essere dal (omissis) si ricavano elementi sufficienti per ritenere sussistenti i contestati reati nella loro dimensione materiale e psicologica.

Non sussistono i presupposti per ritenere integrato il dedotto errore di fatto: ed invero, come questa Corte ha già sostenuto con orientamento al quale deve senz’altro darsi continuità, «In tema di detenzione illegale di un’arma, l’errore di fatto sull’inefficienza della stessa ha efficacia scriminante, ai sensi dell’art. 47 cod. pen., solo quando attiene alla completezza ed interessa l’arma stessa in ogni sua parte essenziale, non quando riguarda un difetto di funzionamento (Fattispecie relativa ad illecita detenzione di un’arma antica, risultata inefficiente ma riparabile da un armaiolo)» (Sez. 1, n. 16221 del 04/02/2020, Falsone, Rv. 279132 – 01): nel caso di specie, come si è già detto, il ricorrente maturò la convinzione dell’attuale inefficienza dell’arma, e non certo quella della sua totale e irrimediabile inefficienza, poiché altrimenti non avrebbe deciso di portare nella propria abitazione la pistola e le munizioni fortuitamente rinvenute nel giardino, ma se ne sarebbe immediatamente disfatto, anche solo per evitare il rischio di un’incriminazione; peraltro, se si fosse realmente convinto di avere a che fare con un rottame, il (omissis) non avrebbe certo avvertito la necessità di occultare l’arma in un’intercapedine, manovra che illustra nitidamente la sua piena consapevolezza dell’illiceità della propria condotta.

3. Quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, occorre ricordare che la loro applicazione non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede che venga provata la sussistenza di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo, Rv. 281590 – 01): ed invero, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il loro riconoscimento richiede necessariamente la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018, Villani, Rv. 275640 – 01).

Alla luce di questi principi, non è censurabile la motivazione sul punto adottata dall’impugnata sentenza, dovendo senz’altro condividersi la negativa valutazione della personalità del Bitritto che è stata correttamente ricavata dai suoi due significativi precedenti penali, avendo egli riportato una sentenza di applicazione della pena di anni 2 e mesi 9 di reclusione ed € 12.000 di multa per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso in Vasto nel luglio del 2008, ed una sentenza di condanna alla pena di anni 1 di reclusione ed € 4.000 di multa per il reato di cui all’art. 644 cod. pen., commesso in Vasto nell’aprile 2006.

Per converso, nessuno degli elementi enfatizzati dal ricorrente appare idoneo a scalfire la tenuta motivazionale della sentenza impugnata: non la scarsa portata offensiva della condotta, che non si ritiene sussistente, essendosi accertato che il (omissis) era in possesso di un’arma clandestina e del relativo munizionamento, e che l’arma, all’esito di una ordinaria attività manutentiva, sarebbe stata perfettamente efficiente; non la risalenza dei due precedenti penali del (omissis), che è certamente bilanciata dalla obiettiva gravità dei delitti per i quali è intervenuta condanna (spaccio di sostanze stupefacenti e usura), idonei a lumeggiare la negativa personalità del (omissis); non la circostanza che il (omissis) sia dedito a stabile e lecita attività lavorativa, che, ai fini che qui rilevano, appare del tutto neutra.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del (omissis) al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così é deciso, 05/12/2024

Il Consigliere estensore                                                                                           Il Presidente

MICHELE TORIELLO                                                                                         GIUSEPPE SANTALUCIA

Depositato in Cancelleria, oggi 10 gennaio 2025.

SENTENZA