REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Dott. Pierluigi Di Stefano – Presidente –
Dott. Orlando Villoni – Relatore –
Dott. Antonio Costantini – Consigliere –
Dott. Maria Sabina Vigna – Consigliere –
Dott. Federica Tondin – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), n. (OMISSIS) (xx) xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza n. 75/24 del Tribunale di Perugia del 15/10/2024;
letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;
udita la relazione del consigliere Dott. Orlando Villoni;
letta la requisitoria scritta del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Alessandro Cimmino, che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Perugia ha rigettato l’istanza di riesame proposta da (OMISSIS) (OMISSIS) avverso il decreto del G.i.p. del Tribunale di Spoleto che il 20/09/2024 aveva convalidato il sequestro preventivo emesso di urgenza dai Carabinieri NAS di Perugia avente ad oggetto il macchinario (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) operante presso il centro estetico (OMISSIS) (OMISSIS) S.p.A. di Foligno con l’ipotesi di reato di esercizio abusivo della professione medica (art. 348 cod. pen.).
Si contesta, in particolare, alla titolare del centro di avere adoperato e consentito al personale dipendente di utilizzare detto macchinario benché fosse stato “inserito dal Ministero della Salute al nr. 1847573 dell’elenco dei dispositivi medici utilizzabili esclusivamente da medici professionisti in campo estetico”.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagata, che deduce due motivi di censura.
2.1. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 348 cod. pen. tanto in punto di elemento oggettivo quanto soggettivo del reato nonché in relazione all’art. 2, punti 2 e 11 del Regolamento UE 745/2017.
Evidenziata l’incertezza in cui versa lo stesso Ministero della Salute nella corretta classificazione del macchinario (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) e dell’interlocuzione avviata a tal fine con la società produttrice, la difesa della ricorrente lamenta che il Tribunale ha illegittimamente ritenuto che esso costituisca un dispositivo medico, basandosi sulla mera circostanza che esso figura ancora nell’apposita banca dati, sì da reputare operativi criteri di esclusione e di precauzione d’impiego compatibili unicamente con l’uso ad opera di personale sanitario.
Deve, per contro, ritenersi – continua il difensore – che ai sensi dell’art. 2, punti 2 e 11 del Regolamento UE 745/2017 è il fabbricante a indicare l’uso del dispositivo tramite il manuale d’uso, mentre la banca dati costituisce un mero elenco, istituito ai sensi del Decreto del Ministero della Salute del 21 dicembre 2009, alimentato dai fabbricati dei dispositivi stessi e non già un ente incaricato di certificarne la destinazione d’uso.
La banca dati costituisce in definitiva un sistema di registrazione e tracciabilità istituito per raccogliere informazioni su tutti i dispositivi medici messi in commercio in Italia ma non possiede alcuna autorità legale per definire o modificare la destinazione d’uso di un macchinario.
La destinazione d’uso deve, infatti, essere vincolata alla dichiarazione del fabbricante, che specifica se il dispositivo sia destinato a scopi diagnostici, terapeutici oppure estetici, tanto che nella scheda tecnico-informativa 13b del d.m. 206/2015 viene chiaramente specificato che rientrano nei dispositivi di cui alla legge n. 1 del 4 gennaio 1990 gli apparecchi che generano calore attraverso un generatore di corrente a radiofrequenza e che la normativa di riferimento è la EN 60601-1, esattamente la stessa con cui è stato certificato il macchinario in questione.
Il fabbricante ha, inoltre, specificato il campo di applicazione del macchinario, destinato ad essere utilizzato in procedure estetiche e cosmetiche quali il rassodamento cutaneo, la riduzione temporanea della circonferenza corporea, la riduzione della cellulite e delle rughe, potendo, quindi, essere utilizzato da professionisti sia medici che estetisti.
Aggiunge la difesa che l’art. 20 del d.lgs. n. 137 del 5 agosto 2022, che ha dettato le disposizioni per l’adeguamento nazionale al Regolamento UE 745/2017, stabilisce, inoltre, che ogni provvedimento di diniego o restrizione o limitazione dell’immissione sul mercato ovvero di ritiro o di richiamo dei dispositivi deve essere motivato e che l’interessato deve essere invitato a presentare le proprie controdeduzioni, a meno che ciò non sia reso impossibile dall’urgenza del provvedimento; viene, infine, espressamente regolamentato il caso in cui può configurarsi un grave rischio per la salute pubblica derivante dall’impiego del macchinario. Nulla di tutto ciò è avvenuto, in assenza di qualsivoglia provvedimento da parte del Ministero della Salute.
Quanto alla mancata considerazione da parte del fabbricante del rilievo da attribuire all’anamnesi nel procedimento di impiego, va rilevato che detto termine non indica necessariamente che la raccolta di dati preliminari debba essere eseguita da un medico, potendo le cd. avvertenze di sicurezza essere impartite anche da un estetista, senza che per tale fatto dispositivi estetici si trasformino automaticamente in dispositivi medici.
Tutto ciò è, altresì, confermato dal fatto che ai sensi dello stesso d.m. n. 206 del 2015, ogni qualvolta le schede delle singole apparecchiature prevedano raccomandazioni o valutazioni anche di condizioni patologiche ed il soggetto non disponga di informazioni certe, si rende necessario il coinvolgimento di un medico di fiducia.
Lamenta, pertanto, la difesa che i criteri di esclusione e/o precauzione valorizzati dal Tribunale onde affermare la natura medica del dispositivo in esame costituiscono criteri standard per molti dispositivi estetici, che fungono da guida per garantire un trattamento in sicurezza dell’utente e non per diagnosticare o trattare patologie, ma deve ribadirsi che gli avvisi di sicurezza non trasformano un dispositivo estetico in uno medico.
Quanto, infine, alla ritenuta esclusione della buona fede dell’indagata – ricavata dalla circostanza che al momento del sequestro mancavano nel manuale d’uso rinvenuto proprio le pagine relative alle indicazioni sul personale abilitato all’utilizzazione del macchinario ed ai criteri di esclusione e di precauzione – si osserva che detto manuale non è stato acquisito agli atti, sicché il Tribunale non avrebbe potuto addivenire a quella conclusione e in ogni caso che la circostanza non avrebbe mai potuto costituire prova della consapevolezza dell’indagata di violare le norme vigenti.
2.2. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta sussistenza del periculum in mora inerente all’utilizzo del macchinario.
Il provvedimento impugnato, deduce la difesa della ricorrente, si è soffermato esclusivamente sul tema del fumus commissi delicti, senza, invece, considerare quello dell’individuazione di un vincolo pertinenziale tra bene sequestrato e reato ipotizzato (art. 348 cod. pen.) nella specie da escludere, sussistendo una relazione meramente occasionale tra res ed illecito penale ipotizzato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e come tale deve essere rigettato.
2. Con il primo articolato motivo di censura, la difesa dell’indagata pone il tema del fumus del reato ipotizzato (art. 348 cod. pen. in relazione all’esercizio della professione medica) sotto il profilo della asseritamente erronea applicazione di norme di cui si deve tenere conto nell’applicazione di detta previsione penale.
Le norme sono quelle contenute nel Regolamento UE 745/2017 dettato in tema di impiego nel territorio dell’Unione europea di dispositivi e strumentazioni mediche e nelle previsioni nazionali integrative della disciplina eurounitaria, primo fra tutti il Decreto del Ministero della Salute del 21 dicembre 2009, istitutivo di una banca finalizzata a raccogliere informazioni su tutti i dispositivi medici messi in commercio in Italia.
Secondo la difesa dell’indagata, da una errata interpretazione delle norme interne di carattere sub-primario è dipesa un altrettanto erronea applicazione delle previsioni europee, a sua volta implicante una scorretta applicazione dello art. 348 cod. pen.
Il Collegio condivide solo in parte tale ricostruzione del composito quadro normativo di riferimento.
Il Regolamento UE 745/2017 (d’ora in avanti, solo Regolamento) disciplina, infatti, l’immissione nel territorio dell’Unione “dei dispositivi medici per uso umano e degli accessori per tali dispositivi” (art. 1).
La banca dati istituita dal Ministero della Salute mediante il ricordato Decreto 21 dicembre 2009 si limita, dunque – e tale limite non può oltrepassare, essendo stata istituita da atto interno non avente neppure efficacia normativa primaria – a recepire le indicazioni provenienti dai fabbricanti dei dispositivi, in un sistema chiaramente definito quanto al suo ambito applicativo.
Ciò premesso, la difesa della ricorrente postula la possibilità di ricavare allo interno di tale sistema un diverso spazio di applicazione, volto a sottrarre il dispositivo alla disciplina generale propria dei dispositivi medici.
L’art. 2, par. 1 del Regolamento definisce, infatti, dispositivo medico qualunque strumento, diagnosi, prevenzione, apparecchio, apparecchiatura, software, impianto, monitoraggio, previsione, reagente, materiale o altro articolo destinato dal fabbricante ad essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle seguenti destinazioni d’uso mediche specifiche: diagnosi, monitoraggio, trattamento, attenuazione o compensazione di una lesione o di una disabilità; studio, sostituzione o modifica dell’anatomia oppure di un processo o stato fisiologico o patologico; fornire informazioni attraverso l’esame in vitro di campioni provenienti dal corpo umano, inclusi sangue e tessuti donati e che non esercita nel o sul corpo umano l’azione principale cui è destinato mediante mezzi farmacologici, immunologici o metabolici, ma la cui funzione può essere coadiuvata da tali mezzi.
Al par. 12 dà, inoltre, la definizione di destinazione d’uso, come l’utilizzo al quale è destinato un dispositivo secondo le indicazioni fornite dal fabbricante sull’etichetta, nelle istruzioni per l’uso o nel materiale o nelle dichiarazioni di promozione o vendita e come specificato dal fabbricante nella valutazione clinica.
L’allegato XVI al Regolamento fornisce, inoltre, l’elenco dei gruppi di prodotti non aventi destinazione d’uso medica di cui all’art. 1, par. 2, ivi indicando al punto 4, le apparecchiature destinate a essere utilizzate per ridurre, rimuovere o distruggere il tessuto adiposo, quali apparecchiature per la liposuzione, lipolisi o lipoplastica e al punto 5 quelle che emettono radiazioni elettromagnetiche ad alta intensità (ad esempio infrarossi, luce visibile e ultravioletti) destinate a essere utilizzate sul corpo umano, comprese fonti coerenti e non coerenti, monocromatiche e ad ampio spettro, come laser e apparecchiature a luce pulsata ad alta intensità per foto ringiovanimento cutaneo, tatuaggio o epilazione o altro trattamento dermico, categoria quest’ultima in cui sembrerebbe rientrare, secondo le prospettazioni difensive, il macchinario (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) oggetto di discussione.
Parrebbe, quindi, astrattamente possibile attribuire alla determinazione del fabbricante quella efficacia selettiva ed esclusiva che la difesa dell’indagata propugna, anche alla luce delle ulteriori norme nazionali di adeguamento al Regolamento stesso (d. Igs. n. 137 del 5 agosto 2022) che introducono una procedura apposita per l’introduzione di provvedimenti di diniego o restrizione o limitazione dell’immissione sul mercato ovvero di ritiro o di richiamo dei dispositivi su scala generale.
Reputa, tuttavia, il Collegio che l’ordinanza impugnata non meriti censura nella parte in cui ha valorizzato la necessità dell’impiego del macchinario sotto la supervisione di un medico professionista, in particolare nella fase prodromica all’uso del dispositivo stesso.
Come evidenziato nell’ordinanza impugnata, il contenuto dell’anamnesi richiesta e la natura dei ‘criteri di esclusione’ sembrano implicare competenze proprie di un medico – venendo in considerazione conoscenze e strumenti propri della scienza medica – all’esito della cui valutazione e delle conseguenti indicazioni, può intervenire l’impiego della macchina, inteso quale parte del servizio più completo, che appare, dunque, richiedere anche competenze mediche, esattamente del resto nei termini indiati dallo stesso fabbricante.
Benché non espressamente enunciato, infatti, è del principio di precauzione, stabilito dall’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che l’ordinanza impugnata mostra di avere fatto applicazione.
Principio di precauzione, cui sono informati alcuni strumenti normativi della Unione europea come ad es. in tema di sostanze chimiche (Regolamento CE n. 1907/2006, noto con il nome di REACH) o di legislazione alimentare (Regolamento CE n. 178/2002), notoriamente consistente in un approccio alla gestione del rischio per cui, qualora sia possibile che una determinata politica o azione possa arrecare danno ai cittadini o all’ambiente e qualora non vi sia ancora un consenso scientifico sulla questione, la politica o l’azione in questione non dovrebbe essere perseguita, salvo riesame delle stesse non appena si rendano disponibili maggiori informazioni scientifiche.
Sotto questo profilo, allora, il provvedimento impugnato appare allo stato incensurabile, ferma restando sempre la possibilità di una rivisitazione della questione, anche alla luce di ulteriori determinazioni del Ministero competente.
3. Risulta, invece, improponibile il motivo di censura riguardante il periculum in mora – per quanto avrebbe potuto essere oggetto di concreto apprezzamento alla luce delle stesse circostanze di fatto riportate in ordinanza (v. pag. 3) – non essendo stato lo stesso dedotto al Tribunale (v. pag. 1 ord.) con l’istanza di riesame e non potendo come tale assurgere a parametro di riferimento per configurare un vizio del provvedimento impugnato, che oltre tutto atterrebbe alla sua motivazione in violazione del divieto di cui all’art. 325, comma 1, cod. proc. pen.
4. Al rigetto dell’impugnazione segue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
Orlando Villoni Pierluigi Di Stefano
Depositato in Cancelleria, oggi 22 aprile 2025.