Assolto per non aver commesso il fatto, chiede risarcimento per ‘ingiusta detenzione’. Negato: in sede di interrogatorio si è dimostrato lacunoso e non collaborativo (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 14 marzo 2022, n. 8547).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SERRAO Eugenia – Presidente –

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere –

Dott. D’ANDREA Alessandro – Rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere –

Dott. BRUNO Mariarosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) GIAMPAOLO nato a NUORO il 19/10/19xx;

avverso l’ordinanza del 18/02/2020 della CORTE APPELLO SEZ. DIST. di SASSARI;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO D’ANDREA;

lette/sentite le conclusioni del PG.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 febbraio 2020 la Corte di appello di Cagliari-Sezione distaccata di Sassari ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da (OMISSIS) Giampaolo in relazione alla sofferta restrizione in custodia cautelare in carcere e poi in regime di arresti domiciliari – per complessivi 393 giorni – impostagli per i reati di cui agli artt.: 10 e 14 legge n. 497 del 1974 (capo A); 81 cpv., 110 cod. pen., 10 e 14 legge n. 497 del 1974 (capo B); 81 cpv., 110 cod. pen., 23, commi 2, 3 e 4, legge n. 110 del 1975 (capo C); 81 cpv., 110 e 648 cod. pen. (capo D).

Con sentenza del 19 ottobre 2012 era stato condannato dal G.U.P. del Tribunale di Nuoro, in esito a giudizio abbreviato, alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 1.000,00 di multa; con sentenza della Corte di appello di Cagliari-Sezione distaccata di Sassari del 3 luglio 2017, in riforma della pronuncia di condanna emessa in primo grado, il (OMISSIS) era stato assolto dalle imputazioni ascrittegli per non aver commesso il fatto.

2. Per la Corte di appello di Cagliari-Sezione distaccata di Sassari, quale giudice della riparazione, le sentenze di merito, pur avendo escluso la sussistenza delle ipotesi delittuose ascrittegli, avevano comunque consentito di accertare la condotta connivente del richiedente nella realizzazione di un illecito passaggio di un fucile con matricola abrasa, presumibilmente destinato alla realizzazione di un omicidio, tra la persona di (OMISSIS) Ionata – che il (OMISSIS) aveva accompagnato, pur procedendo separatamente con la propria autovettura, sul luogo di dazione dell’arma senza avere contezza di quanto stesse avvenendo – e i destinatari (OMISSIS) Giacomo e (OMISSIS) Antonio, successivamente arrestati in flagranza di reato per avere occultato presso la propria autovettura la suddetta arma.

Per il giudice della riparazione, cioè, sarebbe risultata colposa la condotta tenuta dal (OMISSIS), che non solo avrebbe accompagnato il (OMISSIS) fuori dal paese senza chiedere nulla sulle ragioni di tale spostamento, ma che poi anche, una volta avvedutosi che il predetto stava nascondendo un fucile, si sarebbe limitato a rifiutarsi di accompagnarlo dai suoi complici, al contempo, tuttavia, attendendolo per dargli un passaggio in paese. Tale condotta aveva avuto efficacia sinergica rispetto all’errore dell’autorità giudiziaria.

La comprovata connivenza, oltre al comportamento particolarmente lacunoso avuto dal (OMISSIS) in sede di interrogatorio di garanza, ha, pertanto, indotto la Corte territoriale ad escludere, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., il diritto all’indennizzo.

3. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) Giampaolo, a mezzo del suo difensore, lamentando, con un unico motivo, violazione ed errata applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen., con specifico riferimento alla qualificazione della connivenza quale colpa ostativa, oltre a mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla individuazione delle condotte costituenti colpa grave ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen.

Rileva il ricorrente come l’assoluzione sarebbe avvenuta non sulla scorta di nuove emergenze probatorie, bensì solo su un’attenta rivalutazione dei medesimi elementi di fatto già presenti in fase cautelare, in tale ambito considerati da parte del giudice.

La motivazione del provvedimento di rigetto sarebbe, pertanto, erronea, oltre che lacunosa su temi decisivi e contraddittoria rispetto alle evidenze probatorie presenti in atti.

3.1. Non sussisterebbe, in particolare, alcuna ipotesi di connivenza ex art.314 cod. proc. pen., non ravvisandosi nella condotta riferibile al (OMISSIS) alcuno dei parametri indicati a tal fine dalla giurisprudenza di legittimità.

Diversamente da quanto ritenuto dal giudice della riparazione, infatti, il (OMISSIS), non appena avuto contezza dell’anomalo comportamento avuto dal (OMISSIS), avrebbe sin da subito assunto atteggiamenti ostativi e non collaborativi, non rinforzando in alcun modo gli altrui propositi criminosi.

Di nessun pregio, poi, sarebbe la disponibilità mostrata dal (OMISSIS) alla trasferta in campagna ed al successivo passaggio offerto al (OMISSIS) per rientrare in paese, trattandosi di condotte neutre, invalide a determinare alcun tipo di rafforzamento morale.

3.2. Nessun comportamento gravemente colposo si sarebbe, infine, potuto desumere dalla modalità con cui il (OMISSIS) aveva risposto all’interrogatorio di garanzia, connotandosi le sue dichiarazioni – dal contenuto comunque difensivo – per una natura irrilevante e secondaria.

4. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

5. L’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto con memoria scritta il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato, per cui lo stesso deve essere rigettato.

2. Deve, in proposito, essere premesso che è principio giurisprudenziale consolidato quello per cui nei procedimenti per la riparazione per ingiusta detenzione la cognizione della Corte di cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, non potendo mai investire il merito della stessa, in ragione di quanto disposto dall’art. 646, comma 3, cod. proc. pen., da ritenersi applicabile in ragione del richiamo contenuto nel terzo comma dell’art. 315 cod. proc. pen. (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/04/1994, Bollato, Rv. 198097-01).

3. Chiarito il superiore aspetto, deve, poi, essere ribadito che la norma dell’art. 314 cod. proc. pen. prevede, al primo comma, che «chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave».

3.1. In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr., sul punto, Sez. 4, n. 4106 del 13/01/2021, M., Rv. 280390-01; Sez. 4, n. 34181 del 05/11/2002, Guadagno, Rv. 226004-01).

3.2. In proposito, le Sezioni Unite hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203637-01).

3.3. Poiché, inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del suddetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.

3.4. In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato, quindi, che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (così, espressamente, Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034-01; ma cfr. anche, in termini conformi, Sez. 3, n. 51084 del 11/07/2017, Pedetta, Rv. 271419-01).

3.5. Le Sezioni Unite, poi, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664-01).

Più recentemente, lo stesso Supremo Collegio ha precisato che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (così Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606-01).

4. Orbene, applicando gli indicati principi al caso di specie, risulta palese la correttezza dell’impugnata decisione.

4.1. Per come chiarito dalla Corte di appello, risulta giudizialmente accertato che (OMISSIS) Giampaolo è stato presente sui luoghi di effettuazione di un illecito scambio di un fucile con matricola abrasa tra il datore (OMISSIS) Ionata ed i riceventi (OMISSIS) Giacomo e (OMISSIS) Antonio, successivamente arrestati in flagranza di reato per avere occultato presso la propria autovettura la suddetta arma.

Come logicamente evidenziato dal giudice della riparazione, il ricorrente «resosi conto che il (OMISSIS) nascondeva un fucile, aveva semplicemente rifiutato di accompagnarlo all’auto dei complici, ma lo aveva aspettato, per dargli un passaggio in paese.

Ecco quindi che, resosi conto dell’accordo criminoso, non si era allontanato, manifestando solo in tal modo la sua completa disapprovazione e la volontà di prendere le distanze dagli autori di quella che apprendeva essere una condotta delittuosa, ma aveva dato un passaggio al (OMISSIS), informandosi anche del fucile.

Un comportamento che ha destato anche perplessità alla Corte che lo ha assolto, e che non ha potuto fare a meno di qualificarlo in termini di connivenza».

4.2. Ciò ha, pertanto, indotto la Corte territoriale a configurare la condotta imputabile al (OMISSIS), con motivazione esente da vizi, in termini di connivenza passiva, ovvero di contiguità, e quindi di colpa grave ostativa al riconoscimento dell’invocato indennizzo.

4.3. Con riferimento alla natura del comportamento ostativo, questa Corte ha reiteratamente chiarito che lo stesso può essere integrato anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (così, in particolare, Sez. 4, n. 7596 del 20/10/2020, dep. 2021, Abbruzzese, Rv. 280547-01; Sez. 4 n. 45418 del 25/11/2010, Carere, Rv. 249237; Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, Grigoli, Rv. 241218-01).

La colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennità, può, pertanto, ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento:

1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose;

2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia;

3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente (cfr. Sez. 4, n. 4113 del 13/01/2021, Sanyang, Rv. 280391-01; Sez. 3, n. 22060 del 23/01/2019, Diotallevi, Rv. 275970-02; Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, Di Spirito, Rv. 263139-01; Sez. 4, n. 6878 del 17/11/2011, dep. 2012, Cantarella, Rv. 252725-01).

5. Altrettanto conforme ai principi ermeneutici formulati dalla Corte di legittimità risulta la motivazione concernente la condotta endoprocessuale del richiedente, ben potendo il comportamento da lui tenuto nel corso dell’interrogatorio di garanzia essere ritenuto gravemente colposo, in quanto idoneo a lasciar intendere, in ragione delle risposte ampiamente lacunose rese, di essere l’effettivo proprietario dell’arma ceduta.

Il (OMISSIS), infatti: non ha saputo fornire adeguate spiegazioni sul perché il (OMISSIS) gli avesse chiesto di accompagnarlo, genericamente riferendo di dover effettuare il recupero di un pezzo di ricambio di un’auto; ha omesso di dichiarare il fondamentale aspetto di aver compreso che il (OMISSIS) detenesse un fucile; non ha fatto riferimento alcuno alla telefonata preventivamente intercorsa tra lui e il (OMISSIS), di organizzazione dell’incontro.

L’interpretazione resa dal giudice della riparazione si conforma, pertanto, all’esegesi reiteratamente espressa da parte della giurisprudenza di legittimità, per cui le dichiarazioni mendaci, ambigue o reticenti rese in sede di interrogatorio di garanzia dal soggetto sottoposto a custodia possono assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave quando – come nel caso di specie – abbiano avuto incidenza causale sul protrarsi della privazione della libertà (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 51333 del 21/09/2018, C., Rv. 274005-01; Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606-01).

6. Alla stregua degli indicati elementi, deve conclusivamente ritenersi che il provvedimento impugnato si pone in termini pienamente conformi rispetto ai principi interpretativi delineati dalla giurisprudenza della Suprema Corte in ordine alla valutazione dei fattori colposi ostativi al riconoscimento dell’indennizzo in tema di riparazione per ingiusta detenzione, peraltro avendo proceduto la Corte distrettuale ad una puntuale valutazione del comportamento posto in essere dal richiedente, secondo una valutazione ex ante, tenendo conto degli elementi conosciuti dall’autorità giudiziaria al momento dell’adozione della misura cautelare e sino al momento di cessazione della stessa.

La Corte di appello, cioè, ha ritenuto, con motivazione pienamente immune dalle dedotte censure, che l’esponente avesse concorso a dare causa alla misura cautelare a suo carico, e al mantenimento della stessa, in ragione di tutte le circostanze diffusamente rappresentate nel provvedimento gravato.

7. In esito alle superiori considerazioni, deve, pertanto, essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute da! Ministero resistente, da liquidarsi in euro 1.000,00.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente nel presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.000,00.

Così deciso in Roma il 3 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.