Autostrade, falsità su report viadotti per ridurre costi (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 11 giugno 2020, n. 17973).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente –

Dott. BRANCACCIO Matilde – Rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere –

Dott. MOROSINI Elisabetta – Consigliere –

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

GALATA’ ANTONINO nato a TORINO il 06/02/1970;

avverso l’ordinanza del 06/11/2019 del TRIBUNALE DEL RIESAME di GENOVA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MATILDE BRANCACCIO;

sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. FERDINANDO LIGNOLA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore del ricorrente, avv. TAGLIAFERRI, che chiede l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata o l’annullamento con rinvio della stessa.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la decisione in epigrafe, il Tribunale del Riesame di Genova, in sede di appello cautelare proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del GIP del 3.10.2019 di rigetto delle misure cautelari richieste, ed in suo parziale accoglimento, ha disposto nei confronti di Antonino Galatà la misura cautelare della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio di concessionario di attività pubbliche per la durata di mesi dodici e, congiuntamente, del divieto temporaneo di esercitare l’attività professionale in relazione a qualunque attività in favore di soggetti collegati con concessionari di attività pubbliche e per qualunque attività comunque relativa a funzioni legate alla sicurezza per la durata di mesi dodici, perché, in qualità di amministratore delegato di SPEA Engineering (attualmente dimissionario e collocato in stato di quiescenza dalla società Autostrade per l’Italia s.p.a., di seguito ASPI, del medesimo gruppo Atlantia, nonché sottoposto a procedimento disciplinare con sospensione cautelare dal servizio), concorreva nella realizzazione delle numerose condotte di falsa attestazione contestate agli altri complici – riferite all’attività di sorveglianza delle opere d’arte della rete autostradale in concessione ed all’effettuazione di ispezioni con esito positivo dello stato di conservazione dei viadotti “Bisagno” e “Veilino”, ispezioni in realtà mai effettivamente svolte con verifiche interne ai cassoni strutturali ma solo esterne.

L’indagine attiene a numerosi reati di falso ideologico, emersi all’indomani del crollo del viadotto Polcevera a Genova (noto come Ponte Morandi), commessi dai molti coindagati oltre a Giampaolo Nebbia, ed ha ad oggetto gli esiti delle attività ispettive sui viadotti BISAGNO e VEILINO da parte del personale di SPEA Engineering s.p.a. (società controllata da ASPI) contrattualmente obbligata ad eseguire l’attività di manutenzione e di ispezione, vigilanza e controllo della rete autostradale in forza della Convenzione n. 20089 del 4.12.2007, esiti riversati nei rapporti ispettivi trimestrali e nelle relazioni trimestrali oggetto delle singole contestazioni mosse a ciascuno degli autori materiali della loro redazione ad ai responsabili di settore e generali, secondo la scala gerarchica interna, sino alla figura dell’amministratore delegato, ai quali viene contestato di aver concorso moralmente nel reato.

La contestazione ai concorrenti morali (nei confronti di Galatà, tra le molte contestazioni di falso, sono stati esclusi i gravi indizi per i reati di cui ai capi 21A, 22A, 23A e 25A) viene formulata in termini che rimandano (anche) ad una condotta omissiva, mentre il Tribunale del Riesame ha individuato in motivazione una prevalente concorsualità commissiva, che pure ha ritenuto cumulativamente contestata dal pubblico ministero insieme alla porzione omissiva, consistita nella condivisione e nella sostanziale istigazione morale alla reiterazione dei reati di falso da parte degli autori materiali.

In particolare, il falso riguarderebbe i documenti in cui erano trasfusi gli accertamenti sugli “impalcati a cassone” e sugli “appoggi-apparecchi”, rispettivamente al viadotto Bisagno ed al viadotto Veilino, i quali sarebbero ideologicamente falsi in quanto riportano il tipo di difetto riscontrato e la valutazione della sua gravità ovvero l’assenza di difetti, mentre tale condizioni sarebbero state verificabili solo con l’accesso all’interno delle strutture che, secondo quanto accertato, non veniva più effettuato dal 2013.

In relazione a tali fatti, il pubblico ministero aveva avanzato una prima richiesta cautelare (diversamente modulata in relazione alle differenti posizioni soggettive), che era stata rigettata il 23 luglio 2019 per carenza di gravità indiziaria. Il 26 settembre 2019 la richiesta cautelare era stata reiterata, sulla base di nuove allegazioni, costituite, in particolare, da una relazione del consulente del pubblico ministero datata 8 settembre 2019 e da alcuni verbali di sommarie informazioni testimoniali.

Il 3 ottobre 2019 il GIP aveva rigettato anche tale seconda richiesta cautelare, sempre per carenza di gravità indiziaria e, nelle more tra il secondo rigetto e la presentazione dell’appello, era stata svolta ulteriore attività di indagine (indicata a pag. 42 dell’ordinanza impugnata) ed ulteriore documentazione era stata depositata nella Cancelleria del Tribunale del riesame il giorno prima dell’udienza.

2. Avverso il citato provvedimento propone ricorso l’indagato, tramite il proprio difensore, avv. Francesco Tagliaferri, deducendo quattro distinti motivi.

2.1. Il primo argomento di censura attiene al vizio di carenza di motivazione del provvedimento impugnato che ha omesso qualsiasi considerazione relativa alla sussistenza della necessaria qualifica di pubblici ufficiali del personale della SPEA Engineering s.p.a. ed alla natura di atti pubblici dei rapporti di ispezione delle opere d’arte autostradali e delle relative relazioni trimestrali.

Ed invece, secondo la giurisprudenza di legittimità, il Tribunale del Riesame, qualora abbia intenzione di accogliere l’appello del pubblico ministero avverso un diniego di applicazione di misura cautelare, ha l’onere di prendere in considerazione e valutare la ricorrenza di tutti gli elementi di cui all’art. 292 cod. proc. pen. (si citano Sez. 3, n. 37086 del 19/5/2015 e Sez. 6, n. 17749 del 1/3/2017) e di motivare adeguatamente in relazione a tutti i presupposti della misura, anche a quelli già a suo tempo analizzati e ritenuti sussistenti dal GIP (si cita Sez. 6, n. 57529 del 29/11/2017).

Nella motivazione del provvedimento impugnato, peraltro, manca anche qualsiasi richiamo alle argomentazioni spese in proposito dal GIP nell’ordinanza di rigetto del 3.10.2019, in cui pure si erano spiegate le ragioni di ipotizzabilità del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale nelle diverse ipotesi criminose contestate.

Non basta il riferimento generico al provvedimento del GIP del Tribunale di Genova per ritenere la legittimità di una motivazione per relationem carente di autonoma valutazione sulle condizioni di configurabilità del reato quanto alla natura pubblica degli atti ed alla qualifica pubblica degli autori delle condotte di falso.

2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione del principio di ne bis in idem ed il relativo vizio di motivazione manifestamente illogica, avuto riguardo all’ordinanza del GIP del Tribunale di Genova datata 23.7.2019 con cui era stata già rigettata l’originaria richiesta cautelare proposta il 14.7.2019.

La difesa aveva dedotto in sede d’appello l’inammissibilità dell’impugnazione per tale ragione, respinta dai giudici del Riesame alla luce del novum fattuale aggiunto alle indagini e costituito dalla consulenza tecnica del pubblico ministero svolta dall’ing. Buratti, dalle dichiarazioni del 18.9.2019 dell’ing. Migliorino e dalle dichiarazioni del nuovo direttore di Tronco 1 di Autostrade per l’Italia s.p.a., ing. Verzilli.

Il ricorrente contesta, in particolare, le ragioni sulla base delle quali la predetta consulenza tecnica è stata ritenuta rappresentativa di un novum processuale, laddove in realtà la novità richiesta dalla giurisprudenza di legittimità per superare il giudicato cautelare ed il divieto di ne bis in idem cautelare non può risolversi in una nuova, ancorchè diversa, valutazione di elementi probatori già sottoposti alla precedente valutazione del GIP, non importa se implicita o esplicita (si cita Sez. 5, n. 27710 del 4/5/2018; Sez. 6, n. 7375 del 3/12/2009; Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007).

Il carattere di novità, in altre parole, deve riguardare l’elemento di prova, nel senso che deve essere idoneo a modificare in modo obiettivo la situazione di fatto, sulla quale era intervenuta l’originaria decisione (si cita Sez. 5, n. 17986 del 9/1/2009) e non può limitarsi a rappresentare una nuova valutazione delle stesse prove.

Tale carattere di novità non appartiene, secondo la difesa, né alla consulenza tecnica del pubblico ministero, che costituisce una diversa, soggettiva valutazione di un compendio indiziario già offerto al GIP con la prima richiesta cautelare del 14.7.2019, né alle sommarie informazioni, solo formalmente diverse e successive rispetto a tale richiesta di misura, laddove invece esse sono soltanto ripetitive di contenuti già noti (peraltro le dichiarazioni di Verzilli sono comunque del 2.7.2019).

2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a titolo di concorso omissivo.

Il Riesame ha ritenuto insussistente la condotta omissiva contestata nella rubrica provvisoria del provvedimento cautelare ed ha riqualificato la condotta del ricorrente come commissiva sostenendo che quest’ultimo non solo sarebbe stato al corrente delle mancate ispezioni degli interni dei cassoni ma soprattutto avrebbe istigato e incoraggiato per anni la sistematica realizzazione di atti pubblici falsi, rafforzando il proposito criminoso di tutta la catena gerarchica dei concorrenti in relazione agli episodi successivi.

Tale mutamento della contestazione provvisoria, che determina comunque una violazione del diritto di difesa, è comunque anche immotivato poiché il Riesame non ha spiegato in cosa sarebbero consistiti le istigazioni e gli incoraggiamenti delittuosi che pure si sarebbero protratti per anni.

3.4. Il quarto motivo di ricorso deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato in ordine alle ritenute esigenze cautelari relative al pericolo di reiterazione dei reati.

L’ordinanza si diffonde nel chiarire il contesto di accadimento dei fatti e dimentica di motivare adeguatamente sull’attualità e concretezza del pericolo di recidiva, soprattutto in relazione alla posizione del ricorrente.

Si prende atto, infatti, della circostanza che Galatà risulta sospeso dall’attività lavorativa in ASPI per contestazioni disciplinari, ma si afferma apoditticamente che tale sospensione del rapporto lavorativo (anche per gli altri concorrenti nel reato in posizione di vertice) non ha comportato la completa recisione di ogni rapporto tra i singoli indagati e la realtà aziendale in cui le gravi condotte contestate sono maturate.

Tuttavia, quale sia l’attuale collegamento del ricorrente con la realtà aziendale ASPI o SPEA non è chiarito né si specifica come egli possa ingerirsi ancora nelle scelte societarie, tanto più nell’evidente contrasto tra la posizione del lavoratore, sottoposto a procedimento disciplinare, e datore di lavoro che tale procedimento ha proposto.

Il ricorrente, peraltro, a differenza di quanto sostenuto con il provvedimento impugnato, è stato sospeso dall’incarico di amministratore delegato ben prima dell’ordinanza cautelare e autonomamente dalla società SPEA.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.

2. Il primo motivo è infondato.

L’appello cautelare ha certamente una funzione di rivalutazione globale della posizione dell’indagato e non è limitato ai singoli punti oggetto di specifica censura, in applicazione del principio devolutivo, bensì comporta un’integrale verifica delle condizioni e dei presupposti per l’adozione della misura genetica delineati dall’art. 292 cod. proc. pen., spettando al giudice dell’impugnazione tutti i poteri rientranti nella competenza funzionale del primo giudice (Sez. 6, n. 41997 del 24/9/2019, Romano, Rv. 277205; Sez. 3, n. 37086 del 19/05/2015, Grasso, Rv. 265008; Sez. 5, n. 42847 del 10/06/2014, Ambrus, Rv. 261244).

Conseguenza di tale affermazione è che l’ordinanza ex art. 310 cod. proc. pen. che accolga l’appello del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione di misure cautelari personali deve fornire, in conformità alle ge prescrizioni di cui all’art. 292, comma 2, cod. proc. pen., adeguata motivazione in relazione a tutti i presupposti della misura (gravi indizi di colpevolezza, esigenze cautelari e criteri di scelta della misura stessa): Sez. 6, n. 57529 del 29/11/2017, Desiderato, Rv. 272205. Ciò perché l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego di emissione dell’ordinanza cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l’adozione delle misure cautelari (Sez. 6, n. 17749 del 1/3/2017, Friggi, Rv. 269853; Sez. 1, n. 36861 del 5/4/2016, Catarisano, Rv. 268114; Sez. 6, n. 10032 del 3/2/2010, Picchi, Rv. 246283).

Nel caso di specie, diversamente da quanto deduce il ricorrente, i principi poc’anzi esposti sono stati osservati dai giudici dell’appello cautelare, i quali ben possono riferirsi, per la stesura della motivazione, alla tecnica generalmente ammessa del richiamo per relationem ad uno o più atti del procedimento, purchè sostenuto dalla dimostrazione dell’autonoma valutazione compiuta quanto al complessivo contenuto degli atti richiamati.

La motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima, infatti, quando:

1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;

2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione;

3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (ex multis, Sez. 2, n. 55199 del 29/5/2018, Salcini, Rv. 274252; Sez. 6, n. 48428 del 8/10/2014, Barone, Rv. 261248; Sez. 4, n. 4181 del 14/11/2007, dep. 2008, Benincasa, Rv. 238674; Sez. U, n. 17 del 21/6/2000, Primavera, Rv. 216664).

Il richiamo all’ordinanza reiettiva del GIP appellata, che ha ricostruito più dettagliatamente i fatto la vicenda, è stato svolto dal Riesame ed il provvedimento richiamato, benché di rigetto, è stato estremamente preciso e puntuale nel descrivere le ragioni di fatto e giuridiche sulla base delle quali ha ritenuto che ASPI e la controllata SPEA, cui la controllante ha demandato i servizi di ingegneria riguardanti la sorveglianza, la progettazione e la direzione lavori di interventi di manutenzione, adeguamento, ampliamento e nuova costruzione di opere autostradali in forza della convenzione n. 20089 del 4.12.2007, dovessero ritenersi affidatarie della gestione di un servizio pubblico in un settore di particolare rilievo strategico come quello dei trasporti.

Del resto, la giurisprudenza di legittimità pacificamente ammette che i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l’attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici (ex multis, Sez. 6, n. 19484 del 23/1/2018, Bellinazzo, Rv. 273781; Sez. 6, n. 36874 del 13/6/2017, Romeo, Rv. 270816; Sez. 6, n. 1327 del 7/7/2015, Caianiello, Rv. 266265; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257384; per un’ipotesi di società concessionaria di servizio pubblico: Sez. 6, n. 49759 del 27/11/2012, Zabatta, Rv. 254201).

Ciò è quel che emerge sicuramente nel caso di specie, in cui la notorietà delle aziende e l’importanza strategica nazionale del servizio pubblico offerto (la manutenzione, la gestione della sicurezza strutturale e le verifiche della rete autostradale italiana) sono del tutto evidenti e traspaiono dal complesso motivazionale dei provvedimento dei giudici cautelari, al di là del loro esito decisorio rispetto alla richiesta di misura cautelare, essendo rimasto indubbio che ciascuno degli indagati coinvolti fosse inserito nell’organigramma aziendale delle società SPEA e/o ASPI (per il rilievo di attività connesse a settori strategici dell’economia nazionale, ai fini della qualifica pubblicistica dei dipendenti, cfr. Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bonomelli, Rv. 267045).

3. Il secondo motivo di ricorso è egualmente infondato.

E’ insussistente la dedotta violazione del principio del cd. giudicato cautelare, sotto il profilo della violazione della regola di ne bis in idem cautelare. Il Collegio premette che, sul tema interpretativo sollevato, le opzioni della giurisprudenza di legittimità sono attualmente attestate sugli approdi, mai superati, delle Sezioni Unite Librato (Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato, Rv. 235908), secondo cui le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame.

E’ stato, altresì, chiarito che la preclusione processuale conseguente alle pronunzie emesse, all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, dalla Corte di cassazione ovvero dal Tribunale in sede di riesame o di appello, avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata, sia perché è limitata allo stato degli atti, sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni dedotte, esplicitamente o implicitamente, intendendosi per queste ultime quelle che si pongono in rapporto di stretta connessione logica con le prime (Sez. 1, n. 47482 del 6/10/2015, Orabona, Rv. 265858; Sez. 6, n. 8900 del 16/1/2018, Persano, Rv. 272338).

Dunque, il tema, correttamente inquadrato nell’alveo del venir in essere di una preclusione processuale (rectius, endoprocessuale, che si manifesta, cioè, soltanto nell’ambito di uno stesso procedimento (cfr., sul punto, Sez. 6, n. 54045 del 27/9/2017, Cao, Rv. 271734) piuttosto che di un vero e proprio “giudicato”, sia pur cautelare, attiene, da un lato, all’esistenza delle condizioni affinchè tale preclusione possa dirsi verificata (e quindi l’esaurirsi delle eventuali impugnazioni previste dal legislatore e la deduzione implicita od esplicita della questione che si vorrebbe “chiusa”); dall’altro, alla possibilità, anch’essa pacificamente ammessa dalla giurisprudenza di legittimità, di dedurre in ogni momento, in sede cautelare, elementi nuovi (cfr. Sez. U, n. 18339 del 31/03/2004, Donelli, Rv. 227357), che costituisce l’aspetto diverso ma collegato del problema, anche nel caso di specie.

Quanto alla prima questione, vi sarebbe da discutere sul se possa dirsi o meno formatasi una preclusione processuale, là dove – come accaduto nella fattispecie in esame – la prima ordinanza reiettiva del GIP di Genova datata 23.7.2019, sulla quale la difesa centra il solidificarsi del quadro accertativo di fase, non sia stata affatto impugnata.

La pronuncia Librato e la giurisprudenza successiva sembrano concordemente calibrate sulla necessità che la preclusione processuale si colleghi all’essere stati dedotti e devoluti al giudice dell’impugnazione cautelare i temi controversi e che il percorso di impugnazione sia stato “completato” (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 23295 del 17/3/2015, Volpin, Rv. 263627; unica voce che muove diversamente i principi, benché in una fattispecie peculiare, potrebbe ritenersi la recente Sez. 5, n. 27710 del 4/5/2018, Bertocchi, Rv. 2673648).

Tuttavia, a prescindere dalla soluzione preferibile alla questione relativa ai confini interpretativi della nozione di “preclusione processuale cautelare” ed all’estensione dei suoi ambiti applicativi, è il secondo profilo ermeneutico che risolve il motivo difensivo nel senso della sua infondatezza.

E’ indubbio, infatti, che nel caso di specie siano stati portati all’attenzione del Tribunale del Riesame, adito in sede di appello cautelare dal pubblico ministero, elementi di fatto nuovi e non mere rivalutazioni di argomenti già esaminati dal GIP nel provvedimento di rigetto iniziale, che, si ribadisce, non è stato impugnato (così come indicato anche dalla più stringente opzione interpretativa di legittimità, cfr. Sez. 5, n. 17986 del 9/5/2009, Massone Brega, Rv. 243974, secondo cui in tema di misure cautelari l’effetto preclusivo di un precedente giudizio cautelare viene meno soltanto in presenza di un successivo, apprezzabile, mutamento del fatto che non può essere ritenuto tout court rappresentato da una consulenza di parte o da una perizia formalmente nuovi, dovendo aversi riguardo al loro contenuto).

Ed è, altresì, pacifico che la preclusione processuale in materia cautelare opera solo allo stato degli atti ed ai limitati effetti dell’impossibilità di esaminare questioni già dedotte, sia implicitamente che esplicitamente, essendo preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento; essa, invece, ben può essere superata qualora intervengano elementi di fatto nuovi che alterino il quadro precedentemente definito (Sez. 5, n. 1241 del 2/10/2014, dep. 2015, Femia, Rv. 261724; Sez. 2, n. 49188 del 9/9/2015, Masone, Rv. 265555; vedi anche Sez. 3, n. 10976 del 19/1/2016, Grasso, Rv. 266712).

Pur potendosi convenire con la difesa, pertanto, che una valutazione giuridica differente di elementi già noti non possa costituire uno dei nova che è consentito dedurre per superare la preclusione processuale invocata (e la giurisprudenza di questa Corte di legittimità non ha mancato di sottolinearlo (Sez. 6, n. 39346 del 3/7/2017, Castagna, Rv. 271056; Sez. 3, n. 43193 del 3/5/2018, P., Rv. 273944), nel caso di specie deve essere evidenziato che gli elementi di novità utilizzati dal Riesame (benché non valorizzati dal GIP nella seconda ordinanza di rigetto, presupposto dell’appello il cui esito è oggi impugnato) sono tutti concreti ed evidentemente non rappresentano una mera, diversa riproposizione di quelli già esaminati.

Invero, la consulenza tecnica svolta dal pubblico ministero è stata effettuata proprio per superare il dubbio su cui si era arrestata l’ordinanza di rigetto del GIP datata 23.7.2019 (quella emessa a seguito della prima richiesta cautelare), e cioè se, per verificare i difetti indicati nella sezione “impalcati-cassoni” e “appoggi-apparecchi” oggetto di valutazione nei rapporti di ispezione evocati nei capi d’accusa, fosse necessario entrare nei cassoni e quindi estendere l’ispezione alle parti visibili solo dall’interno.

Il consulente, per rispondere, e seguendo la ricostruzione del Tribunale del Riesame nel provvedimento impugnato, ha effettuato accertamenti sui luoghi, analizzato il contenuto delle schede e delle relazioni trimestrali, ha esaminato gli elaborati grafici e la normativa in materia, nonché il contenuto delle sommarie informazioni rilasciate dal personale e dai responsabili SPEA.

Da tale tessuto fattuale, facendo leva sulle proprie competenze tecniche e sugli accertamenti in concreto direttamente esperiti, il consulente ha concluso nel senso che:

– l’ispezione del cassone di un ponte è completa nel momento in cui viene verificata sia la faccia esterna sia quella interna;

– l’ispezione limitata all’esterno del cassone è riduttiva e verifica solo i difetti esterni, sicchè l’atto ispettivo deve riferire espressamente di essere stato condotto con tale limitata e parziale valenza;

– l’ispezione del cassone limitata alla sola parte esterna è del tutto carente ed irregolare in quanto non vengono osservati i difetti interni al cassone che potrebbero essere anche più gravi di quelli esterni e, soprattutto, non evidenzia le cause che generano il danno.

Premesse tali verifiche concrete, il consulente ha dedotto che esisteva un obbligo di ispezione “completa”, e cioè idonea a descrivere l’effettivo stato della sicurezza della struttura dell’opera ispezionata, che deve desumersi dal contenuto della disciplina di settore (le circolari ministeriali e il cd. Manuale di sorveglianza, che contiene le regole per l’attività di sorveglianza sulle opere stradali delineate dal legislatore e dalla concessione) sulle modalità di ispezione e redazione dei rapporti e delle relazioni trimestrali, la cui interpretazione è stata confermata dall’autorità pubblica di controllo (il Ministero dei trasporti nella persona dell’ispettore ing. Migliorino), nonché dai nuovi vertici della stessa ASPI, committente dell’attività di sorveglianza di SPEA.

Ebbene, tale complessa attività di consulenza correttamente è stata considerata dai giudici del Riesame quale novum nel momento in cui sono stati chiamati a rivedere la posizione cautelare degli indagati e la motivazione fornita su tale punto dal provvedimento impugnato è assolutamente logica e plausibile, oltre che rinforzata da ulteriori dati di novità che rendono la piattaforma indiziaria senza dubbio differente da quella esaminata dal GIP nella prima ordinanza ai cui esiti di rigetto il ricorrente abbina il formarsi di un “giudicato cautelare” preclusivo alla rivalutazione della sua posizione indiziaria.

Tali ulteriori e significativi dati di novità sono costituiti dai contenuti, ritenuti rilevanti, di alcune dichiarazioni assunte a sommarie informazioni: quella dell’ing. Migliorino del MIT (del 18.9.2019); quella del nuovo responsabile dell’UTSA di Genova di SPEA, ing. Zimmaro (del 25.9.2019 e del 9.10.2019); quella dell’arch. Di Somma del 11.10.2019; quella dell’ing. Pancani, nuovo responsabile della Sorveglianza dell’UTSA Genova, del 9.10.2019.

Tali contenuti dichiarativi sono stati valorizzati nella ricostruzione del provvedimento impugnato in modo logico e coerente (cfr. pag. 48 dell’ordinanza del Riesame, in particolare) in uno con i risultati della consulenza tecnica.

Può, dunque, affermarsi che, in tema di impugnazioni cautelari, può costituire novum idoneo a superare l’eventuale preclusione processuale (cd. giudicato cautelare) formatasi sule questioni già dedotte, esplicitamente o implicitamente, la consulenza tecnica che abbia ad oggetto il tema generale di accertamento già valutato da un’ordinanza cautelare di rigetto, ma lo riesamini dal punto di vista tecnico-scientifico (nel caso di specie, ingegneristico delle costruzioni) proprio per superare i dubbi e le incertezze che la precedente analisi, non confortata da tale consulenza, non aveva saputo dirimere.

Tanto più che, come già si è sottolineato, nel caso in esame si dubita anche dell’esistenza di una preclusione endoprocedimentale in assenza di impugnazione avverso la prima ordinanza di rigetto e di questioni formalmente dedotte con le quali confrontarsi.

I motivi di ricorso esaminati, pertanto, si rivelano infondati sia dal punto di vista della ricostruzione giuridica che si è sinora sinteticamente esposta, sia dal punto di vista dell’asserito deficit motivazionale, rispetto al quale rasentano anzi l’inammissibilità per l’evidente mancanza di fondamento delle censure di illogicità e carenza motivazionali avanzate.

4. Il terzo argomento difensivo si rivela anch’esso infondato e privo di pregio.

Anzitutto, si evidenzia l’inesattezza dell’eccezione rivolta al Collegio di violazione del diritto di difesa, per il mutamento tra il contenuto della contestazione provvisoria formulata dal pubblico ministero e le conclusioni del Tribunale del Riesame (la prima avrebbe optato per una condotta concorsuale di tipo omissivo, le seconde si sono orientate nel senso di una concorsualità commissiva).

Si rammenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità cui il Collegio intende uniformarsi, la contestazione cautelare rappresenta una descrizione ancora sommaria del fatto che prevede un nucleo minimo di dati informativi che siano idonei a rendere l’indagato edotto delle circostanze essenziali delle accuse che gli vengono mosse sì da renderlo in grado di costruire un adeguato esercizio del diritto di difesa (cfr. in tal senso Sez. U, 16 del 14/7/1999, Ruga, Rv. 214004; Sez. 6, n. 50953 del 19/9/2014, Patera, Rv. 261372).

In tale nucleo minimo rientrano anzitutto gli elementi descrittivi della condotta materialmente commessa (ovvero dell’omissione posta in essere) e, ovviamente, anche le collocazioni temporali di essa, che, tuttavia, possono lasciare margini non essenziali di aspecificità (si pensi alla contestazione, pacificamente ammessa, con condotta “aperta” del reato associativo mafioso e del concorso esterno in esso).

In altre parole, il requisito della “descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate”, previsto a pena di nullità dall’art. 292, comma secondo, lett. b), cod. proc. pen., può essere soddisfatto con un’enunciazione dell’accusa riassuntiva, che tuttavia deve presentare un minimo di specificità quanto alle concrete modalità di realizzazione della condotta rispetto alla norma violata e al suo tempo di commissione, così da porre l’interessato in condizione di difendersi e da informarlo di tutti gli elementi necessari per consentirgli un’adeguata difesa (ad esempio, sulla base di tale principio, Sez. 3, n. 23978 del 15/5/2014, Alleva, Rv. 259671 ha ritenuto corretto l’annullamento dell’ordinanza custodiale riguardante il traffico di un quantitativo imprecisato di sostanze stupefacenti del tipo eroina e cocaina mediante plurime condotte collocate genericamente in un ampio arco temporale; cfr. anche Sez. 3, n. 15671 del 15/3/2014, Diarassouba, Rv. 259432).

Orbene, nel caso di specie, sono indubbi i contenuti concreti essenziali della contestazione mossa agli indagati – l’aver partecipato ad una violazione sistematica degli obblighi di verità (impliciti ed espliciti) nella formazione di attestazioni circa lo stato delle strutture dei viadotti Bisagno e Veilino, di rilevante importanza per la sicurezza stradale e la salute pubblica – ed essi corrispondono all’analisi fattuale e giuridica condotta dal Riesame.

Peraltro, a ben vedere, va chiarito che la ricostruzione del concorso delle figure di vertice della SPEA nei falsi commessi dai singoli redattori dei documenti incriminati in termini commissivi non confligge con la contestazione anche omissiva mossa dal pubblico ministero.

Il provvedimento impugnato ha evocato, in un passaggio motivazionale, la coesistenza sia di una contestazione di concorso commissivo (presente nell’imputazione attraverso il richiamo all’art. 110 cod. pen.) sia di concorso omissivo (collegato all’indicazione dell’art. 40, comma 2, cod. pen.), pur dando atto di una sorta di incompatibilità tra loro.

Successivamente lo stesso Riesame ha chiarito che la costruzione del contributo concorsuale come commissivo supera ed assorbe quella del concorso omissivo, sicchè – senza incoerenze logiche – si è ipotizzato che la piena consapevolezza, da parte del ricorrente e delle figure di vertice di SPEA, dell’incompletezza delle verifiche sui viadotti e della mancanza di fedeltà nei rapporti (del resto ci sono espresse dichiarazioni in merito dell’ing. Migliorino e una mail inviata da altro coindagato, Vezil, al ricorrente: vedi pag. 74 dell’ordinanza impugnata), nonché la condivisione di una politica aziendale tesa al risparmio dei costi di manutenzione e controllo ed a dare l’immagine di una piena funzionalità della rete autostradale (che costituiva la ragione aziendale della scelta di non effettuare le verifiche interne alle strutture), configurino condotte idonee ad istigare e ad incoraggiare i falsi materialmente commessi dai sottoposti.

In altre parole, il Riesame ha ritenuto, senza illogicità manifeste, che le condotte accertate in capo al ricorrente ed ai vertici SPEA (e cioè, come detto, aver contribuito ad una politica aziendale tesa alla riduzione degli oneri di manutenzione; aver saputo e tollerato l’esistenza di rapporti e di relazioni che non davano atto della parzialità delle verifiche; avere adempiuto all’invio delle relazioni trimestrali alla sede centrale di ASPI ed al I Tronco di ASPI, come previsto nella procedura operativa di SPEA, nonostante la loro falsità), fossero tutte condotte che si erano risolte in una forma di istigazione e di vero e proprio incoraggiamento nei confronti dei firmatari dei rapporti e delle relazioni periodiche.

È evidente che, al momento dell’eventuale esercizio dell’azione penale, saranno più chiari tutti gli elementi che compongono il quadro indiziario e saranno meglio delineati i caratteri fattuali della contestazione, oggi naturalmente e fisiologicamente “più fluida”, dato il contesto cautelare in cui si inscrive.

Non è vero, infine, che il Riesame, in concreto, non abbia dato atto di quale sia stata la condotta commissiva di concorso del ricorrente, il quale, nella sua posizione di vertice, più volte informato della situazione di incompiutezza delle verifiche sui viadotti oggetto di contestazione (come di altri) e, anche dopo il crollo di quello denominato Polcevera (il Ponte cd. Morandi a Genova), ha avallato la strutturale mancanza di verifiche effettive, compiute “a regola d’arte” e completamente consentendo ed anzi sostanzialmente indicando ai suoi sottoposti di violare la disciplina dei protocolli ingegneristici e di sicurezza insiti nel contratto di concessione per la manutenzione di cui era contraente ASPI che si serviva di SPEA per l’esecuzione ed evincibili anche dalla normativa di settore e dalle indicazioni del Ministero dei Trasporti.

5. La quarta censura del ricorrente è infondata, ai limiti dell’inammissibilità.

Le esigenze cautelari sono ampiamente state esposte come era doveroso partendo dal contesto complessivo delittuoso e, da qui, le ragioni del riesame si sono soffermate in modo adeguato ad individuare la posizione dei singoli indagati, ed in particolare del ricorrente in relazione al quale si evidenzia anche la complicata gestione della posizione professionale e disciplinare che potrebbe non escludere reintegri nel ruolo.

Anzitutto, però, il profilo cautelare si innesta sulla gravità e sulla reiterazione delle condotte così come in concreto emerse nella fase delle indagini preliminari, secondo uno schema motivazionale consentito dal legislatore anche successivamente alla riforma del 2015.

Si è affermato, infatti, che il nuovo testo dell’art. 274, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., risultante dalle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (Sez. 5, n. 49038 del 14/6/2017, Silvestrin, Rv. 271522; Sez. 1, n. 37839 del 2/3/2016, Biondo, Rv. 267798).

In tale quadro, è innegabile la gravità della condotta di falso continuato, cui il ricorrente ha contribuito e che ha direttamente ed autorevolmente avallato – secondo la plausibile e logica ricostruzione in fatto svolta dal Riesame – tanto da far sì che essa divenisse una vera e propria scelta strategica aziendale di contenimento dei costi di verifica, controllo e manutenzione di strutture essenziali per la rete viaria nazionale.

Non deve, poi, essere dimenticato che Galatà, amministratore delegato di SPEA Engineering s.p.a., risulta aver avuto un ruolo determinante in molte delle condotte che hanno in qualche modo aumentato la preoccupazione concreta per il sovraccarico di una rete autostradale la cui sicurezza non era stata salvaguardata né monitorata secondo la disciplina di settore (è lui che preme ad esempio per consentire il passaggio di un trasporto eccezionale su altro viadotto – il Pecetti – oggetto del medesimo procedimento), con ciò aggravando le esigenze cautelari a suo carico.

Ciò posto, è evidente che assume rilievo non esiziale, ai fini cautelari, una situazione non ancora del tutto definita di sospensione dagli incarichi e dal ruolo formale aziendale del ricorrente, perché, appunto, il rapporto lavorativo di primario rilievo che egli ha avuto con SPEA ed il gruppo ATLANTIA non consente, allo stato, di verificare la cesura totale e definitiva dei suoi interessi nell’azienda; anche perché, come ha sottolineato il Riesame, tutti i provvedimenti assunti nell’ambito del rapporto lavorativo nei confronti del ricorrente sono seguiti all’indagine che lo vede coinvolto.

6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, il 7 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria l’11 giugno 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.