Compra presso una gioielleria un Rolex in oro con certificato di garanzia e scatola originaria, fabbricato nel 1987. Dopo scopre che era contraffatto.

(Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 aprile 2017, n. 9174)

Qualora il compratore lamenti (a distanza di un certo numero di anni) la non conformità del bene, è superficiale ed inappagante un accertamento dei fatti che pretende un onere di prova a carico del venditore che il bene al momento della vendita non recava le alterazioni rinvenute anni prima e regoli di qui la lite.

Detta affermazione, o meglio le conclusioni che se ne traggono, risulta infatti, essere errata se non viene preceduta dalla prova, a carico dell’acquirente, che il bene è rimasto inalterato dal momento in cui lo ha acquisito a quello in cui ha denunciato i vizi.

…, omissis …

Esposizione del fatto

Verso la fine del 2000 N.P. , che negli atti si definisce semplice cliente amatore di gioielli, acquistava nel negozio S. Gioielli di (…) un Rolex Daytona in oro, con certificato di garanzia e scatola originaria, fabbricato nel 1987.

Nel 2004 lo vendeva, a suo dire su richiesta dell’acquirente, al negoziante di (…) R.R. , intenzionato a montare sul Daytona, per impreziosirlo e aumentarne il valore di rivendita, un quadrante “Paul Newman” acquisito da altra provenienza.

Nel 2007 R. agiva contro il N. chiedendo la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni.

Assumeva che aveva trovato un cliente interessato all’acquisto del Daytona Newman; aveva inviato l’orologio alla Rolex per una revisione completa e la Rolex lo aveva trattenuto perché contraffatto.

N. chiamava in causa S. Gioielli s.a.s (ora srl), la quale si costituiva precisando che aveva acquistato l’orologio nel 1987 dalla concessionaria Italiana Rolex e che – dopo un primo passaggio di proprietà – lo aveva venduto a N. .

Il tribunale di Torino nel 2009 respingeva la domanda di R. , ritenendo fondata l’eccezione di tardività della denuncia dei vizi sollevata dal convenuto N. e dal terzo chiamato S. ; rilevava la violazione del termine di decadenza e di prescrizione di cui all’art. 1495 c.c..

1.1) La Corte di appello di Torino con sentenza 25 gennaio 2011 accoglieva il gravame di R. , limitato alla risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. e alla restituzione del prezzo.

Dichiarava risolto per inadempimento del N. il contratto di compravendita, condannandolo a pagare all’attore l’importo di 25.000 euro circa.

Dichiarava però la S. tenuta a garantire N. in relazione a quanto da questi dovuto a R. .

S. Gioielli ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 27 febbraio 2012, svolgendo 9 motivi.

N. ha resistito e ha spiegato undici motivi di ricorso incidentale.

R. ha depositato controricorso e ha svolto un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Tutte le parti hanno depositato memorie.

Ragioni della decisione

2) La Corte di appello di Torino con la sentenza 25 gennaio 2011 ha rilevato che secondo le perizie della Rolex e della Federazione Orologiaia svizzera, prodotte in primo grado, l’orologio risultava contraffatto per quanto riguarda la cassa, il quadrante e il movimento, mentre erano originali la ghiera, il fondello, la corona, i pulsanti e le lancette.

Ha attribuito a N. la vendita a R. di un orologio in gran parte contraffatto, perché N. avrebbe dovuto provare la vendita di un orologio “buono”.

Ha affermato che il N. , avendo garantito la legittima provenienza dell’orologio, che era stato prodotto nel 1987 e “poteva aver subito le più varie vicende”, avrebbe dovuto far esaminare il bene ad un perito o alla Rolex prima di venderlo a R. .

Ha ritenuto configurabile una vendita di aliud pro alio e ammissibile la relativa modifica della domanda, introdotta in corso di causa.

3) La sentenza va esaminata in primo luogo alla luce del ricorso dell’originario convenuto N. , che precede logicamente quello della parte chiamata in causa S. , la cui posizione dipende dall’esito del ricorso incidentale.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Con esso parte ricorrente continua a sostenere che l’atto di citazione era nullo per vizi dell’editio actionis, a suo avviso irritualmente espressa per “mancata esposizione dei fatti” (ricorso pag. 21).

La tesi, già contraddetta dai giudici di merito, i quali hanno tutti rinvenuto sufficienti elementi per individuare il tema del decidere e trattare la causa, è smentita dalla stessa esposizione del motivo, oltre che dall’esame dell’atto di citazione.

Consta infatti che, sebbene non approfondita come può esserlo un atto conclusivo, la citazione ha esposto le vicende di causa (nove punti del paragrafo “fatto”) e ha precisato che l’attore intendeva convenire in giudizio N. per la risoluzione del contratto e per le altre domande, subordinate o cumulate, che sono state specificamente indicate al primo capoverso del paragrafo “diritto”. Le successive pagine, relative ai vizi riscontrati sull’orologio e ai danni, completano esaurientemente l’atto.

4) Infondati sono anche il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente, che denunciano violazione degli artt. 183 comma 6, 163, 345, 112 e vizi di motivazione con riguardo alla asserita inammissibilità della domanda di risoluzione della compravendita per la cessione di aliud pro alio, in quanto introdotta nel 2008 solo con la memoria ex art. 183, comma 6 n.1 cpc. Parte N. lamenta che la correzione della domanda R. è avvenuta dopo che il convenuto si era difeso e che l’azione era del tutto nuova e fondata su “presupposti fattuali ben diversi”.

La censura è infondata, giacché la Corte di appello ha già spiegato che la proposizione della domanda sotto il profilo poi accolto era stata radicata sui medesimi fatti già dedotti in citazione (v. ricorso pag. 26).

Inoltre l’interpretazione data dalla Corte di appello è pienamente conforme ai principi espressi da S.U. 12310/15, secondo la quale: “La modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali”.

5) L’esame del quarto motivo può essere differito all’esame dei cinque successivi, giacché il quarto concerne la falsa applicazione degli artt. 1453 cc e delle altre norme sulla vendita e le obbligazioni contrattuali: è quindi logicamente preceduto dalle questioni (trattate nei motivi successivi) concernenti la ricostruzione dei fatti e la interpretazione del negozio concluso. Solo dopo la loro ricognizione precisa, lo si può esaminare.

5.1) Conviene pertanto subito evidenziare la manifesta fondatezza del nono motivo di ricorso, che denuncia violazione dell’art. 1362 c.c. e concerne la parte della sentenza (pag. 20) in cui, nell’addebitare al N. le falsificazioni, muove dal presupposto che il venditore aveva garantito a R. la legittima provenienza dell’orologio, il che significherebbe, secondo la Corte piemontese,: “che si tratta di un orologio originale non contraffatto in alcuna parte”.

Il ricorso ha facile giuoco nel rilevare la violazione dell’art. 1362 c.c. nell’interpretazione del contratto.

Dopo aver ricordato che il modulo prestampato della Watch Center di R. conteneva la sola dichiarazione di garantire “la piena proprietà, la disponibilità e la legittima provenienza” del bene, il ricorso spiega che per legittima provenienza nel comune linguaggio si intende che il bene non proviene da illecita o controversa acquisizione (per furto, o altro possibile reato o acquisto), concetto che non va confuso con la originalità dei pezzi componenti l’orologio.

Opportunamente il ricorso ricorda che, secondo la ricostruzione dei fatti incontroversa, l’orologio era già stato consegnato con la garanzia originale e osserva che non avrebbe avuto senso un ulteriore garanzia di autenticità di non contraffazione di alcuna parte: garanzia che, se contemplata, sarebbe stata espressa esplicitamente ed inequivocabilmente, non con una formula verbale che significa tutt’altro nel lessico corrente.

6) Il grave errore interpretativo di cui sopra, più volte ribadito, ha condizionato tutta la lettura dei fatti di causa. Non a caso parte R. anche in memoria ha concentrato invano su questo punto la linea difensiva.

Il quinto motivo di ricorso denuncia vizi di motivazione “in merito alla asserita colpa del venditore N.”.

Esso censura la parte in cui la sentenza afferma che sussiste colpa dell’inadempiente N. in quanto questi avrebbe dovuto far esaminare il prodotto da un perito o da Rolex, visto che ne garantiva la legittima provenienza.

La Corte di appello, dopo aver riaffermato il principio, desunto da Cass. 3328/83 (confermato anche da Cass.2853/05), secondo cui la colpa dell’inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, è presunta sino a prova contraria e tale presunzione è destinata a cadere solo a fronte di risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che quest’ultimo ha fatto uso della normale diligenza, ha rimproverato al N. la colpa nell’adempimento, nei termini di cui sopra.

Parte ricorrente efficacemente dimostra la illogicità e insufficienza di questa argomentazione, intuitivamente desumibile dalla stessa sequela dei fatti incontroversi: l’acquisto recente da un venditore autorizzato, S. ; l’occasionalità del contatto con R. ; la consegna a questi di certificato di garanzia con scatola originaria (il ricorso richiama il doc. 4 R. con l’allegato 5); il controllo effettuato dall’acquirente, esperto operatore del settore e abituale commerciante di orologi Rolex in (…).

È irrisolvibilmente illogico e quindi inidoneo a reggere la motivazione, come pretende il motivo di ricorso, l’apprezzamento di merito della Corte di appello secondo cui pecca di negligenza nell’adempimento del contratto il privato consumatore che, dopo averlo acquistato da un rivenditore autorizzato, non sottoponga il proprio orologio Rolex alla casa madre prima di rivenderlo a un altro commerciante, che lo ha preventivamente sottoposto a propri controlli.

L’anomalia del ragionamento si spiega solo perché discendente (penultimo periodo di pag. 23) in gran parte dall’errore censurato con il nono motivo, cioè all’aver i giudici di appello inteso la garanzia di “legittima provenienza” in un senso diverso da quello elementare che aveva.

7) Anche il sesto motivo e settimo motivo sono fondati.

Il primo denuncia violazione dei principi in tema di onere della prova e dei principi sulla formazione della prova.

Esso espone più profili, che concernono: la mancata acquisizione di una consulenza tecnica d’ufficio che attestasse la contraffazione dell’orologio; l’affidamento esclusivo su rapporti tecnici provenienti dalla Svizzera, formati fuori dal contraddittorio delle parti.

La doglianza si risolve in realtà in una critica alla motivazione della sentenza, apprezzabile sotto il profilo di cui al n. 5 dell’art. 360, perché attiene alla rilevanza probatoria della documentazione e al connesso rifiuto di disporre una consulenza d’ufficio, provvedimento discrezionale del giudice, che, tuttavia, è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti (da ultimo Cass. 17399/15).

La censura è fondata nella parte in cui rileva che le perizie private non fornivano alcun elemento utile in ordine alla “epoca di insorgenza” della contraffazione e non offrivano elementi utili finalizzati alla individuazione del probabile autore di essa, alla coincidenza tra l’orologio in esame e quello venduto da N. , alla valutazione economica dell’orologio come venduto ai fini di accertare la configurabilità di ipotesi di aliud pro alio.

Ed infatti le perizie effettuate da Rolex o su commissione di essa avevano di mira, come è comprensibile stante l’interesse del produttore la esistenza o meno di parti contraffatte, ma non tutto ciò che maggiormente interessa alla controversia odierna, cioè l’imputabilità delle contraffazioni, la loro percepibilità alle parti in relazione alle rispettive competenze, il tempo in cui erano state verosimilmente effettuate, la verosimiglianza, alla luce di eventuali riscontri positivi, delle ipotesi di modifica dei vari pezzi in particolare della cassa. A quest’ultima infatti parte resistente connette peso perché recante, nel pezzo sottoposto a Rolex, gli stessi numeri già presenti nel contrattino con N. .

Tale circostanza tuttavia può essere rilevante solo se sia dimostrato che la falsa incisione non fosse recente, ma risalente a prima dell’ultimo acquisto e per di più successiva all’acquisto dall’altro rivenditore autorizzato, onde poter ragionare, anche ai fini della azione di garanzia, sull’ipotesi di colpa del venditore e sull’onere della prova, a carico della varie parti in causa, della identità del bene ricevuto nel corso dei vari passaggi.

In relazione a una vicenda così complessa e in cui rilevano competenze superspecialistiche – come comprovato dal doppio esame che anche Rolex ha dovuto compiere (si veda il ricorso a pag. 63 ss e passim) – risulta del tutto immotivato il rifiuto di una consulenza tecnica che, previo accesso al bene e con le garanzie difensive del caso, ricercasse gli elementi utili, sia tecnici, sia conoscitivi quanto al mercato dell’orologeria, indispensabili per la qualificazione giuridica della materia del contendere.

7.1) Restano così spiegate le ragioni dell’accoglimento del settimo motivo nel quale, con puntuale richiamo al vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c..

7.2) Restano così spiegate le ragioni dell’accoglimento del settimo motivo nel quale, con puntuale richiamo al vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., rifluiscono le critiche circa l’approssimatività della valutazione delle condotte delle parti e della imputabilità dei fatti e degli oneri probatori.

Valutazione che è stata illogicamente circoscritta alla posizione dell’acquirente, considerato uno stimato rivenditore insospettabile di alterazioni, a fronte di un venditore, presunto responsabile giuridico della contraffazione, senza alcuno approfondimento sulla circostanza che era l’attore a proporsi ed aver effettuato una professionale manomissione dell’orologio, cambiandone il quadrante (unendo Daytona acquistato e quadrante Newman), per comporre un orologio di maggior pregio rispetto all’originale.

E senza aver svolto verifiche sulla tempistica delle incisioni e riflettere sui relativi oneri probatori, oggetto di doglianza diffusa relativa alla ricostruzione dei fatti e al rimprovero conclusivo al N. fatto dalla sentenza a pag. 22.

In proposito, poiché la Corte di appello si è rifatta alla sentenza 13533/01 delle Sezioni Unite, mette conto chiarire che di essa la corte di appello ha fatto malgoverno sotto il profilo applicativo temporale.

Il ricorso se ne occupa specificamente nel quarto motivo, che attiene alla qualificazione della ipotesi di vendita di aliud pro alio.

La censura resta assorbita, perché la insufficiente ed errata ricostruzione dei fatti e degli accordi negoziali impongono alla Corte di appello un loro riesame e una conseguente nuova qualificazione.

Tuttavia, poiché di onere probatorio discute anche il sesto motivo e le circostanze fattuali sono le medesime, è doveroso qui chiarire che gli oneri probatori relativi alle vicende del bene, alla sua integrità, manipolazione, modificazione, sono circoscritti, per il venditore, al tempo in cui la sua prestazione è stata eseguita e gravano invece sulla controparte, che ha acquisito la disponibilità dell’oggetto, quanto alle vicende successive del bene.

Pertanto, allorquando il compratore lamenti (a distanza di tre anni) la non conformità del bene, è superficiale e inappagante un accertamento dei fatti che pretende che il venditore dimostri che il bene al momento della vendita non recava le alterazioni rinvenute tre anni prima e regoli di qui la lite.

L’affermazione, o meglio le conclusioni che se ne traggono, è in sé errata se non è preceduta dalla prova, che incombe sull’acquirente, che il bene è rimasto inalterato dal momento in cui lo ha acquisito a quello in cui ha denunciato i vizi.

Resta altrimenti insignificante la circostanza, che nel tessuto della sentenza della Corte di appello è stato invece decisivo, che all’inizio della lite (anni dopo la vendita de qua) fossero presenti le contraffazioni.

Per la decisione della causa è indispensabile in primo luogo stabilire quando queste ultime siano state eseguite e in relazione a ciò sceverare i reciproci rimproveri, i relativi oneri probatori, la possibile ricostruzione dei fatti e infine le conseguenze giuridiche.

8) È da rigettare l’ottavo motivo del ricorso N. , che attiene alla violazione dell’art. 345 c.p.c. e concerne l’acquisizione in causa di un documento proveniente dal Procuratore pubblico di Bolzano relativo alla condizione dell’orologio, posto sotto sequestro, perché contraffatto, dal pubblico ministero.

Il ricorrente si duole della produzione avvenuta in corso del giudizio di appello, benché si tratti di documento che avrebbe potuto essere ottenuto prima dell’inizio della causa, se R. avesse chiesto a quel tempo l’attestazione.

Il rilievo non coglie nel segno. In quanto documento formato dopo l’inizio della causa, esso poteva essere prodotto solo dopo tale data.

Né si tratta di attestazione di un fatto già verificatosi, per un tentativo di aggiramento del regime delle preclusioni, ma di un documento che attesta una circostanza perdurante nel tempo e che ha rilevanza per la sua attualità.

Cioè proprio per stabilire se ancora, durante il giudizio di appello, l’orologio fosse fuori dalla materiale disponibilità dell’attore e in possesso della mano pubblica per i noti problemi.

9) Restano invece assorbiti gli altri motivi di ricorso.

Il quarto di cui si è detto. Il decimo, che attiene alla applicabilità della disciplina di cui all’art. 1492 c.c. e dunque è subordinato alle verifiche fattuali di cui si è discusso a proposito dei motivi accolti. L’undicesimo, che attiene alle spese di causa.

10) L’accoglimento di alcuni motivi del ricorso incidentale N. fa sì che resti assorbito il ricorso S. , come preannunciato nel posporne l’esame, stante la posizione subordinata.

11) Va invece esaminato il ricorso incidentale condizionato R. .
Invocando l’art. 360 n. 4 c.p.c., questi lamenta omesso esame di una domanda proposta in atto di citazione di appello.

Con essa aveva chiesto la declaratoria di nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c..

La censura è infondata.

Va infatti ricordato che secondo le Sezioni Unite (Cass. 26243/14 precisamente sub massima n.633566 della raccolta ufficiale CED): “La domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345, primo comma, cod. proc. civ., salva la possibilità per il giudice del gravame – obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. – di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante, giusta il secondo comma del citato art. 345”.

Dunque la censura, qui posta, di omessa pronuncia, risulta infondata alla luce della recente giurisprudenza di legittimità, poiché la domanda era inammissibile.

Quanto all’obbligo del rilievo di ufficio come eccezione in sede di impugnazione, occorre ricordare che l’obbligo del giudice sussiste soltanto ove l’eccezione risulti documentata ex actis (SU 14828/12; 10531/13); poiché l’accertamento dei fatti per cui è causa è ancora controverso anche quanto alla entità e rilevanza della contraffazione ai fini della commerciabilità del bene e di eventuali presupposti della nullità, non v’è materia per occuparsene in questa sede.

12) Discende da quanto esposto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata. La cognizione va rimessa ad altra sezione della Corte di appello di Torino per il riesame dell’appello alla luce dell’accoglimento dei motivi accolti relativi ai vizi di motivazione e alla violazione dell’art. 1362 c.c. nell’interpretazione del contratto e perché si attenga ai principi sull’onere della prova ricordati al paragrafo 7.1.

La Corte di appello liquiderà le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, secondo, terzo e ottavo motivo del ricorso N..

Accoglie il quinto, sesto, settimo e nono motivo del ricorso N. .

Dichiara assorbiti gli altri.

Dichiara assorbito il ricorso S..

Rigetta il ricorso incidentale condizionato R..

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Torino, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.