Condannati i proprietari di un locale che, in orario notturno, diffondevano musica ad alto volume disturbando la fauna del parco vicino (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 23 settembre 2019, n. 38945).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente –

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere –

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere –

Dott. CORBO Antonio – Consigliere –

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) C.E., nato a (OMISSIS);

2) B.E., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 21/09/2018 della Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gianni Filippo Reynaud che ha concluso chiedendo il rigetto;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Barberini Roberta Maria, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 21 settembre 2018, la Corte d’appello di Firenze ha respinto gli appelli proposti dagli odierni ricorrenti, confermando la sentenza con cui i medesimi erano stati condannati alle pene di legge per il reato, siccome riqualificato, di cui alla L. 6 dicembre 1991, n. 394, artt. 6 e 30 per aver organizzato, presso l’area esterna di un locale pubblico situato in un parco regionale protetto, senza il prescritto nulla-osta ed in contrasto con il regolamento del parco, serate danzanti con diffusione di musica ad alto volume e forti luci colorate, fisse ed intermittenti, proiettate in tutte le direzioni, compreso il bosco.

2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo dei difensori di fiducia, hanno proposto ricorso i due suddetti imputati, deducendo, con il primo motivo, inosservanza della L. n. 394 del 1991, art. 11, comma 3, art. 13, comma 1 e art. 30, comma 1, per essere stata affermata la penale responsabilità pur in assenza di condotte lesive del bene tutelato, con conseguente violazione del principio di offensività.

Rilevando che si tratta di reato a pericolo concreto, si lamenta che non sia stato provato nocumento all’equilibrio ecologico e, in particolare, alla fauna selvatica presente all’interno del parco, non essendosi effettuato alcun accertamento tecnico o strumentale ed essendosi i giudici di merito basati su mere valutazioni discrezionali/sensoriali degli organi di vigilanza, peraltro trascurando che analoghe emissioni acustiche provenivano anche da limitrofi locali. Qualora, poi, si volesse ritenere che si tratti di reato a pericolo presunto, si sarebbe comunque dovuto dimostrare che le emissioni acustiche superavano le soglie stabilite dal regolamento dell’Ente Parco.

3. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta vizio di illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta irrilevanza delle dichiarazioni rese dai testimoni assunti a discarico – ritenute valutative e generiche – attribuendo per contro fede privilegiata alle dichiarazioni, del pari valutative, rese dal teste di polizia giudiziaria G.. Nessuna motivazione era poi stata fornita in relazione alle oggettive informazioni sul rispetto dei limiti normativi in materia di diffusioni sonore degli impianti del locale pubblico in questione ricavabili dalla consulenza tecnica del Dott. T..

Motivi della decisione

1. Premesso che in tema di tutela delle aree protette, i divieti di effettuazione di attività che possano compromettere la salvaguardia di tali aree di cui alla L. n. 394 del 1991, art. 11 si applicano anche con riferimento ai parchi naturali regionali e possono essere derogati solo per effetto dei relativi regolamenti, la cui adozione spetta agli Enti Parco (Sez. 3, n. 35393 del 21/05/2008, Pregnolato e a., Rv. 240786) e che, a norma della L. n. 394 del 1991, art. 30, comma 8, “le sanzioni penali previste dal comma 1 si applicano anche in relazione alla violazione delle disposizioni di legge regionali che prevedono misure di salvaguardia in vista della istituzione di aree protette e con riguardo alla trasgressione di regolamenti di parchi naturali regionali”, le doglianze contenute nel primo motivo di ricorso non sono fondate.

I ricorrenti, invero, lamentano che sarebbe mancato l’accertamento di quel pericolo concreto di compromissione dell’ambiente naturale tutelato, con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette, richiesto dalla previsione di cui alla L. n. 394 del 1991, art. 11, comma 3, e non tengono conto limitandosi a contestare l’accertamento di fatto operato dal giudice di merito – che la sentenza impugnata, viceversa, attesta di come le condotte oggetto d’imputazione, accertate nelle conformi decisioni di primo e secondo grado, fossero oggettivamente lesive dell’equilibrio ecologico e idonee ad integrare il pericolo concreto di un danno all’ecosistema.

La valutazione del giudice di merito – in questa sede insindacabile – trova peraltro un’oggettiva conferma nella previsione, il cui contenuto la sentenza riporta, dell’art. 48 del Regolamento del parco regionale, che stabilisce il divieto di “emissioni sonore che possono arrecare disturbo all’habitat naturale nelle sue varie componenti, agli utenti e fruitori del parco e in generale alla tranquillità dei luoghi”.

Proprio la diffusione di musica ad alto volume all’esterno del locale la cui gestione è stata ricondotta agli imputati, ove al momento degli accertamenti di polizia giudiziaria gli avventori ballavano – sì che quel luogo, autorizzato a parcheggio del locale, era stato di fatto destinato a discoteca all’aperto – ha indotto i giudici di merito a ritenere integrata la contravvenzione oggetto di contestazione, essendosi peraltro accertato anche lo “specifico allestimento con luci colorate di forte intensità posizionate all’esterno del locale, visibili in ogni direzione, compreso dall’antistante arenile e dalla limitrofa area boscata” (pag. 2, sentenza di primo grado, ove, a pag. 7, si riporta il contenuto dell’art. 49 del Regolamento dell’Ente Parco che sancisce il divieto di “tutte le emissioni luminose, fisse o temporanee, che possono arrecare disturbo agli habitat naturali, agli utenti del Parco nonchè alla tranquillità dei luoghi”).

A fronte di questi divieti – che integrano e specificano la più generale previsione di cui alla L. n. 394 del 1991, art. 11, comma 3, – e della loro riconosciuta violazione da parte di una “doppia conforme”, non sussiste la dedotta inosservanza di legge.

1.1. Quanto al fatto che tale giudizio non si sia fondato su accertamenti tecnici, bensì soltanto sulle “soggettive percezioni” degli operanti, si tratta di doglianza manifestamente infondata, perchè la sentenza impugnata riferisce di come l’attività ispettiva, la sera del (OMISSIS), sia stata documentata mediante la ripresa di un filmato acquisito agli atti che ha obiettivamente confermato le dichiarazioni al proposito rese dagli operanti, i quali, peraltro, avevano riscontrato, nelle due serate in cui gli accertamenti furono svolti, l’assenza, nelle zone limitrofe al locale, della fauna selvatica che di regola invece abbonda in quelle zone (come emerge dalle stesse dichiarazioni testimoniali rese dalla guardia forestale G. riportate in ricorso).

Nè coglie nel segno l’obiezione secondo cui non sarebbe certo che la musica provenisse dal locale degli imputati: la sentenza di primo grado (pag. 4) attesta che nel corso del primo sopralluogo non fu accertata attività sonora o luminosa proveniente dal vicino locale “Buffalo” e nel corso del secondo era stato possibile distinguere le emissioni provenienti dall’uno e dall’altro locale.

1.2. Con riguardo, da ultimo, al fatto che non si sarebbe accertato il superamento dei limiti massimi di emissione sonora stabiliti nella tab. B del D.P.C.M. 14 novembre 1997, richiamato dal Regolamento dell’Ente Parco, trattasi di doglianza inammissibile, giusta la preclusione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 3, u.p., trattandosi di violazione di legge – e connesso vizio di mancanza di motivazione – non dedotta nei motivi d’appello.

Deve ribadirsi, al proposito, che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, Ciccarelli e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, Carrieri, Rv. 259066). Nella specie ciò non è stato fatto e per ciò solo il motivo in esame sarebbe inammissibile per genericità.

Deve aggiungersi che l’esame dell’atto d’appello ha consentito al Collegio di verificare che la doglianza relativa al mancato superamento dei limiti massimi di emissione sonora stabiliti nella tab. B del D.P.C.M. 14 novembre 1997, richiamato dal Regolamento dell’Ente Parco, non era stata effettivamente dedotta, sicchè, da un lato, la violazione di tali disposizioni – di cui, nell’ottica dei ricorrenti, si deve tener conto nell’applicazione della legge penale – non è deducibile in sede di legittimità e, d’altro lato, non può sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi dal disposto di cui al citato art. 606 c.p.p., comma 3, il principio secondo cui è precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni di cui il giudice dell’impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553).

2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per mancanza di specificità e manifesta infondatezza.

La sentenza impugnata, invero, attesta che le dichiarazioni rese dai testimoni a discarico sono generiche e, soprattutto, non riferite alle due serate in cui avvennero gli accertamenti e già si è detto che le contrarie dichiarazioni rese dai testi operanti erano riscontrate dalla registrazione audio-video acquisita agli atti.

Quanto alla consulenza del Dott. T., già la sentenza di primo grado (pag. 4) aveva attestato che la taratura del imitatore dell’impianto di diffusione sonora del locale effettuata dal medesimo, al fine di rispettare la Delibera del Consiglio comunale di Viareggio in tema di attività di intrattenimento musicale, che in periodo notturno prevedeva di non superare i 50 decibel, non aveva evidentemente impedito che nelle due serate in cui l’accertamento si era svolto tale limite fosse stato senz’altro superato, come appunto riscontrato sulla base degli elementi di prova richiamati.

La stessa sentenza (pag. 10) dà peraltro atto che quella Delibera – con gli obiettivamente contenuti limiti sonori individuati – si riferiva all’emissione di musica di ascolto e di accompagnamento alla cena, vale a dire ad una situazione ben diversa da quella (che la sentenza impugnata ha definito “assimilabile ad una discoteca”) nella specie riscontrata, che per il fortissimo volume della musica impediva una normale conversazione tra le persone.

Non sussiste in alcun modo, pertanto, il dedotto vizio di illogicità della motivazione, che, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è denunciabile con il ricorso per cassazione soltanto ove sia manifesto, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013, Cento e a., Rv. 259643).

L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, inoltre, ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).

Alla Corte di cassazione, invero, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).

3. I ricorsi, nel complesso infondati, debbono dunque essere respinti con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2019