Condannato anche il titolare della discoteca per la condotta illecita del disc-jockey (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 6 aprile 2022, n. 12929).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Rel. Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Mariano, nato a Roma il 16/9/19xx;

avverso la sentenza del 15/7/2021 della Corte d’appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni Liberati;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Domenico Seccia, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 luglio 2021 la Corte d’appello di Ancona ha respinto l’impugnazione proposta da Mariano (OMISSIS) nei confronti della sentenza del 2 luglio 2018 del Tribunale di Ascoli Piceno, con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di quattro mesi di reclusione e 1.800,00 euro di multa in relazione al reato di cui all’art. 171 ter, commi 1, lett. a), e 2, lett. b), I. 633 del 1941.

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione di disposizioni di legge penale e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione della propria responsabilità per aver consentito la diffusione nella propria discoteca di brani musicali protetti dal diritto d’autore in assenza della prescritta autorizzazione, pur non essendo emerso che egli avesse consentito una tale condotta da parte del d.j. e non potendo, di conseguenza, affermarsi la responsabilità in relazione al reato contestato per una omessa vigilanza, non essendo il reato contestato punibile a titolo di colpa; dall’istruttoria era emersa solamente la presenza nella memoria del personal computer del d.j. di brani sprovvisti della autorizzazione alla loro diffusione da parte della S.I.A.E., ma non anche l’effettiva diffusione di tali brani, né, tantomeno, la partecipazione dell’imputato a tale attività o il suo consenso, con la conseguente erroneità della affermazione di responsabilità.

2.2. Con il secondo motivo ha denunciato il travisamento delle dichiarazioni testimoniali, con riferimento alla affermazione, contenuta in entrambe le sentenze di merito, secondo cui la musica diffusa nella discoteca del ricorrente proveniva dall’hard disk del personal computer del d.j. (in assenza di autorizzazione) e non invece mediante streaming (modalità per la quale vi era autorizzazione, giacché al momento dei fatti il servizio Night Box Italia era in prova presso l’azienda del ricorrente e quindi era lecitamente utilizzabile), in quanto nessuno dei testi escussi aveva riferito tale circostanza, ma solo che nel suddetto hard disk vi erano brani privi di autorizzazione S.I.A.E.

2.3. Con il terzo motivo ha lamentato la mancata assunzione di una prova decisiva, costituita dalla assunzione della testimonianza del d.j. (OMISSIS), che avrebbe potuto chiarire le modalità di diffusione della musica nella discoteca del ricorrente e l’eventuale consapevolezza del ricorrente medesimo delle modalità illecite di diffusione.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando la manifesta infondatezza del primo motivo, in quanto diretto a sollecitare una non consentita rivalutazione delle prove, e la genericità del secondo motivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Deve, anzitutto, rilevarsi che, come si ricava dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata, tutti e tre i motivi di ricorso sono riproduttivi dei motivi d’appello, tutti adeguatamente considerati e motivatamente disattesi dalla Corte territoriale, con la conseguente inammissibilità del ricorso, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato, ma sono, in realtà, prive del necessario confronto critico con la struttura argomentativa e l’efficacia giustificativa della motivazione della sentenza impugnata (in termini v. Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708, nonché Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822), costituendo mera riproposizione di censure già esaminate e correttamente valutate dal giudice dell’impugnazione.

3. Ciò premesso osserva, comunque, il Collegio che il primo e il secondo motivo di ricorso, mediante i quali sono stati lamentati vizi della motivazione e violazioni di disposizioni di legge penale, con riferimento alla partecipazione del ricorrente alla condotta contestata e alla effettiva diffusione di brani musicali in mancanza della prescritta autorizzazione da parte della S.I.A.E., sono inammissibili, essendo entrambi volti a sollecitare una non consentita rivisitazione delle risultanze istruttorie, allo scopo di giungere a una loro valutazione alternativa e a conclusioni diverse rispetto a quelle dei giudici di merito, che, però, hanno affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato contestatogli sulla base di una valutazione degli elementi disponibili pienamente logica, come tale non suscettibile di riconsiderazione sul piano del merito nel giudizio di legittimità.

Sulla base di quanto riferito dall’ispettore della S.I.A.E. (OMISSIS) la Corte d’appello ha dato atto che nel locale utilizzato dalla società (OMISSIS) (OMISSIS), di cui il ricorrente era amministratore, veniva diffusa musica riproducendola da file audio presenti nel personal computer della stessa (OMISSIS) (OMISSIS), utilizzando il software Jet Audio 8.08.1500 della B & H, in assenza di alcuna licenza d’uso; nell’hard disk di tale computer vi era una specifica cartella denominata “Musica vari” con sottocartelle relative a vari artisti e generi musicali, con circa 24.868 file audio, per i quali il d.j. non era stato in grado di esibire alcuna autorizzazione alla fissazione sul supporto e alla diffusione in pubblico, che risultava comunque essere mai stata autorizzata dalla S.I.A.E.; l’attrezzatura utilizzata dal d.j. gli era stata posta a disposizione dalla società di cui il ricorrente era amministratore unico.

Alla luce di queste, invero univoche, risultanze, avendo i testi escussi tutti sottolineato che la musica diffusa nel locale proveniva dai file audio presenti nella memoria del personal computer di proprietà della (OMISSIS) (OMISSIS) e utilizzato dal d.j., la Corte d’appello ha ritenuto che l’abusiva riproduzione in un esercizio aperto al pubblico dei file audio musicali sprovvisti di licenza S.I.A.E. realizzasse gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa contestata e che in essa avesse concorso il ricorrente, nella sua veste di amministratore della società proprietaria del personal computer e gestrice del locale di intrattenimento nel quale avvenne la diffusione non autorizzata dei brani musicali protetti dal diritto d’autore.

Si tratta di motivazione idonea, fondata su una valutazione pienamente logica delle risultanze istruttorie, sia quanto alla diffusione di file audio protetti dal diritto d’autore in assenza della necessaria autorizzazione da parte della S.I.A.E. (avendo tutti i testi riferito concordemente che la musica proveniva dai file audio presenti nell’hard disk del personal computer utilizzato dal d.j.), sia quanto alla partecipazione del ricorrente a tale condotta, realizzata utilizzando il personal computer della società (OMISSIS) (OMISSIS) dallo stesso amministrata e mediante i file audio presenti nella memoria di tale computer, dunque fornendo un apporto decisivo e certamente, alla luce di tali modalità della condotta, pienamente consapevole e volontario.

Di tale ricostruzione della vicenda e delle valutazioni che ne sono state tratte, in modo del tutto logico, il ricorrente propone una riconsiderazione e una rivalutazione sul piano del merito, fondata esclusivamente su una diversa lettura sia della condotta (cioè delle modalità di diffusione della musica e della sua provenienza, univocamente accertate), sia del proprio ruolo (anch’esso univocamente accertato, tra l’altro attraverso la sottolineatura della appartenenza alla (OMISSIS) (OMISSIS) del personal computer utilizzato per la diffusione della musica), non consentita, in presenza di motivazione idonea, nel giudizio di legittimità, posto che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

4. Il terzo motivo, mediante il quale è stata lamentata la mancata assunzione di una prova decisiva, costituita dalla testimonianza del d.j. (OMISSIS), che dovrebbe chiarire l’origine (lecita) della musica riprodotta, è manifestamente infondato, avendo la Corte d’appello già chiarito la non indispensabilità di tale prova, in considerazione del completo e indiscutibile accertamento della origine e della provenienza della misura diffusa nel locale (il night club Mirage di (OMISSIS) della (OMISSIS) (OMISSIS)) della società amministrata dal ricorrente.

La mancata assunzione di una prova decisiva, infatti, è configurabile quando sia dimostrata l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello, tali da determinare un esito diverso del giudizio (cfr. Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, PR., Rv. 261799; conf. Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher, Rv. 265323; Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, Gianpà e altri, Rv. 271163; Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzeri, Rv. 273577), mentre nel caso in esame non è dato rilevare alcuna lacuna nella motivazione della sentenza impugnata, che neppure il ricorrente ha individuato, essendosi limitato, in realtà, a prospettare un diverso svolgimento dei fatti e una diversa valutazione delle prove, non consentite, come ricordato, nel giudizio di legittimità.

5. Il ricorso deve, in conclusione, essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza di tutte le censure alle quali è stato affidato.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 23/3/2022.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.